Venezuela: i perche' di uno sciopero generale



Scioperi anti-Chavez
Venezuela, sindacato e confindustria guidano la protesta
(www.ilmanifeasto.it)
MAXIMILIEN ARVELAIZ TEMIR PORRAS PONCELON
CARACAS
Secondo giorno di sciopero, ieri, in Venezuela. La Ctv (Confederacion de
Trabajadores de Venezuela) e la Fedecamaras (la «Confindustria» venezuelana)
hanno prolungato di 24 ore la protesta contro il presidente Chavez, dopo
averlo accusato di intransigenza ed intolleranza. Intanto è guerra delle
cifre sul risultato della prima giornata di mobilitazione. La Ctv ha
dichiarato l'80% delle adesioni mentre Chavez - davanti ad un gruppo di
sostenitori - ha confermato che «il paese non è stato bloccato e,
soprattutto, l'azienda petrolifera Pdvsa (pomo della discordia) ha
continuato a funzionare e ad estrarre greggio». Approfittando del conflitto
che oppone una parte dell'alta dirigenza della società nazionale venezuelana
del petrolio (Pdvsa) al governo del presidente Hugo Chavez, la Confederacion
de Trabajadores de Venezuela (Ctv) il 9 aprile ha proclamato uno sciopero
nazionale. Una seconda dimostrazione di forza nello spazio di quattro mesi
che ha come unico scopo quello di voler cacciare un governo la cui politica
viene considerata troppo sociale. Questo atteggiamento paradossale da parte
della principale organizzazione sindacale venezuelana si spiega con gli
stretti rapporti che la legano con i vertici del precedente regime. Il suo
segretario generale, Carlos Ortega, è l'uomo di paglia di Carlos Andrés
Pérez, capo storico dell'ex partito di governo. Inoltre, la Ctv si segnala
ancora una volta per il suo cinismo, accettando il sostegno di Fedecamaras,
la principale organizzazione padronale del Venezuela, e chiama i lavoratori
a mobilitarsi per difendere i privilegi degli alti dirigenti della compagnia
del petrolio.

All'origine di questo conflitto, il licenziamento dei membri del Consiglio
di amministrazione della Pdvsa deciso dal presidente Hugo Chavez. La vecchia
dirigenza - secondo il governo - stava attuando una politica che aveva come
sbocco la privatizzazione del «cuore» dell'economia nazionale e chiedeva il
ritiro del Venezuela dall'Opec (il cartello di Vienna). Ora, uno dei
successi incontestabili del governo Chavez è stata proprio la sua politica
di concertazione con i partner dell'Opec, che ha permesso in meno di tre
anni di far passare il prezzo del barile da 7 a più di 20 dollari e di
portare il Venezuela sulla scena internazionale. Nonostante ciò, la salute
della prima impresa venezuelana non ha cessato di peggiorare: i suoi costi
di funzionamento hanno raggiunto il 67% del fatturato. Un vasto sistema di
cooptazione ha portato alla creazione di più di 4000 posti di lavoro fittizi
e alla fine del 2001, un anno difficile per la compagnia, i membri della
direzione si sono assegnati un «premio» di 100mila dollari a testa. I quadri
dell'azienda, vale a dire 870 persone, rappresentano in volume una massa
salariale più grande di quella dei 18mila tra impiegati e operai. Gli
stipendi annuali di questi dirigenti oscillano tra i 150mila e i 500mila
dollari, in un paese dove l'80% della popolazione si pone nella fascia dei
poveri. Agli stipendi d'oro si aggiunge un numero proporzionale di privilegi
in natura.

La politicizzazione del conflitto localizzato dà la prova della logica «a
ogni costo» di un'opposizione assai eterogenea, che cerca di mettere il
governo con le spalle al muro, ignorando le conseguenze di tutto ciò per
l'insieme della società. Se il sindacato ha prolungato lo sciopero, il
presidente Chavez ha, da parte sua, riaffermato l'intenzione di continuare
nella sua politica di riforme e di giustizia sociale.

Nello

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