Venezuela: Le riforme non piacciono a multinazionali e latifondisti



GUIDO PICCOLI (Il Mattino www.ilmattino.it)
Fino a pochi giorni fa, Roman Gomez Ruiz era un oscuro generale dell'
aviazione venezuelana. Adesso è diventato l'ufficiale più alto in grado a
chiedere pubblicamente le dimissioni del presidente Hugo Chavez. Anche se
nel Paese regna la calma, tutti sanno che il futuro del Venezuela si gioca
dentro le caserme. Sebbene da tempo Chavez ripeta, nei suoi infuocati
comizi, che «questo non è il Cile di Salvador Allende», la sua «rivoluzione
bolivariana» dipende ormai completamente dal grado di fedeltà dei suoi
militari. Da quando, nel dicembre 1999, assunse il potere con una trionfo
travolgente, l'ex colonnello dei paracadutisti si è inimicato tutti i poteri
che dettano solitamente legge nei paesi latinoamericani, dall'oligarchia
locale alle maggiori multinazionali, dalla gerarchia cattolica fino al
governo degli Stati Uniti. Vi ha contribuito certamente il suo fare da
caudillo vulcanico, che pure gli ha conquistato le simpatie della gente
comune, nauseata dalla corruzione e dall'ipocrisia dei partiti tradizionali.
L'opposizione, appoggiata dalla quasi totalità della stampa nazionale, lo
accusa di non rispettare le libertà civili e le regole della democrazia. Ma
la vera causa della drammatica polarizzazione della società venezuelana sono
alcune leggi, approvate nelle settimane scorse, che affrontano questioni
centrali e storiche non solo del Venezuela, ma di tutti i Paesi
sottosviluppati. E cioè la «legge della terra», che prevede l'eliminazione
del latifondo improduttivo, la «legge degli idrocarburi» che condiziona le
possibilità di sfruttamento del sottosuolo da parte delle compagnie
multinazionali e altre misure per bloccare la continua fuga di capitali dal
Paese.
I provvedimenti, che l'opposizione giudica un attacco alla «proprietà
privata» e un tentativo di trasformare il Venezuela in «un'altra Cuba», sono
difesi ardentemente da Chavez che definisce «intollerabile che milioni di
persone siano costrette a sopravvivere di stenti nelle baraccopoli della
periferia di Caracas mentre più di dieci milioni di ettari di terra
coltivabile sono mantenuti nell'abbandono dai grandi proprietari terrieri».
In alcune regioni del Paese si sono già verificati scontri armati tra i
guardiani dei latifondisti e gruppi di contadini senza terra. Il Venezuela
non preoccupa gli Stati Uniti solo per queste misure economiche
«rivoluzionarie, ma anche per la sua posizione strategica, ai confini dell'
infuocata Colombia, e soprattutto per essere il suo secondo fornitore di
petrolio. Chavez non ha fatto niente per tranquillizzare il potente vicino:
nei mesi scorsi ha rafforzato i legami politici, militari ed economici con
Cuba, stretto accordi tendenti al alzare il prezzo del petrolio con alcuni
dei Paesi definiti «canaglia» da Washington, come l'Iran, l'Irak e la Libia
e ha perfino firmato patti di non aggressione con i guerriglieri colombiani.
Molti sostengono che il Venezuela di Chavez rischi di essere inserito, nel
prossimo aprile, nella lista nera dei Paesi accusati dagli Usa di appoggiare
il terrorismo. Comunque, finche l'ex colonnello dei parà sarà capace di
controllare le sue truppe, potrà dormire sonni tranquilli.

Nello

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