Articolo di Frei Betto



  L'economia del casinò

Frei Betto


    C'è chi cerca di salvare l'ordine capitalista mondiale  che ha
fallito in relazione ai 2/3 dell'umanità, cambiandogli il trucco, come è
successo negli anni 30, quando il liberalismo cedette il passo al
keynesismo.
   Le teorie di Keynes furono presentate come una specie di terza via
tra il libero mercato e la pianificazione centralizzata. In effetti
stimolarono un  programma strategicao capace di salvare gli interessi
privati del grande capitale. Non era importante la sorte dei poveri. Era
importante disciplinare il gioco capitalista, in modo tale che
l'acutizzarsi della competizione non finisse per distruggere lo stesso
sistema.
   Il keynesismo vincolava investimenti e crediti alla sfera produttiva,
un binomio che stimolò la crescita economica delle nazioni
industrializzate e favorì le politiche di pieno impiego e di
distribuzione del reddito. Grazie ai fattori che regolavano l'economia
centrata sulla produttività, la sfera  finanziaria non fu contaminata
dalla febbre del gioco di casinò e Borse valori. L'ordine monetario
assicurava la parità fissa delle monete e la conversione da una moneta
all'altra  obbediva ad alcune restrizioni. I crediti internazionali
erano gestiti da relazioni intergovernative e, in generale, legati a
progetti di sviluppo.

   Dagli anni 70, Keynes  è emigrato  nel limbo delle voci delle
enciclopedie e dei ritratti alle pareti.  Il capitale privato ha
spezzato le manette che lo legavano alla sfera produttiva.  E poiché,
all'interno dei propri rispettivi paesi, il capitale privato non
riusciva a spogliarsi dalla sua fantasia di bravo-ragazzo, si è inserito
nel vagabondaggio internazionale, dove non ci sono restrizioni legali o
è più facile burlarsene con il controllo di organismi come il FMI e la
OMC e con la creazione del FarWest finanziario nei paradisi fiscali.

   E' uscito Keyes è entrato il neoliberismo. Il credito privato si è
canalizzato verso il panno verde del mercato dei capitali. Nel casinò
globale, la speculazione ha superato la produzione. E poiché il capitale
speculativo non genera capacità produttiva, a poco a poco è diminuita la
possibilità di remunerare il lavoro ed è aumentata quella di concentrare
sempre più il reddito in un numero sempre minore di mani.

  Con tanto denaro pirata  che viaggia per i mari e i cieli del pianeta,
i paesi periferici hanno steso i loro piattini. Quanto più denaro
prendevano nelle mani, tanto più si allargava il buco per terra (vedi
Argentina). Negli anni 80, la crisi del debito e(s)terno ha portato alla
svalutazione delle monete e ha gettato i paesi periferici nelle acque
agitate dell'instabilità monetaria. Nel 'si salvi chi può', è stata
abbandonata la parità fissa e il libero flusso di capitali ha stimolato
i venti speculativi, sommergendo sempre più le economie del Terzo Mondo.

    Barchette tirate dal galeone del FMI, i paesi periferici, affogati
dai loro debiti esteri hanno raccolto il suggerimento di liberarsi di
pesi per evitare il naufragio. Così hanno sospeso le loro barriere
doganali e hanno ipotecato le loro infrastrutture produttive.
Strangolati, hanno aperto  le loro porte ai prodotti stranieri,
rafforzando le imprese transnazionali e indebolendo le proprie.
   Nel 1982, la partecipazione delle 200 maggiori imprese al PMB
(Prodotto Mondiale Lordo) era del 24%; oggi, è del 35%. Più del 50% del
PML è in mano di 35.000 imprese transnazionali, secondo  Jorge Beinstein
(La crisis de la economia global, Buenos Aires,  Corrigidor, 1999).

   In sintesi, il mercato mondiale è controllato da imprese
transnazionali  a danno di economie nazionali. E' il controllo di questo
mercato che assicura il lucro esorbitante di queste imprese e non
l'aumento della loro produttività. Queste potenti imprese forzano i
governi a privatizzare i patrimoni pubblici e statali e sottomettono
l'iniziativa privata nazionale a fusioni e incorporazioni, in modo di
concentrare il capitale in un numero sempre più ristretto di mani.
   E' l'uovo di Colombo, che alla fine sta in piedi: si ottengono
vantaggi concentrando in poche mani il reddito mondiale senza stimolare
la crescita di questo reddito. In questo modello escludente, ogni
fusione, acquisizione o privatizzazione, significa più tagli di
personale. Pertanto, più disoccupazione, meno reddito famigliare e più
perdita di cittadinanza.
   Il reddito accumulato non privilegia gli investimenti produttivi, ma
quelli speculativi. E' l'economia del casinò.  Gli investimenti non
creano necessariamente ricchezze e, ancor meno, posti di lavoro.
  I debiti pubblici e privati si aggravano. Viene ipotecato così il
futuro che, inevitabilmente entrerà in una fase di collasso.
Questa economia del casinò ha vita breve
  In Borsa, la quotazione delle azioni non corrisponde al valore delle
imprese. Il denaro virtuale non ha copertura nella ricchezza reale. Le
Borse salgono, gli indici sociali calano. La crescita economica
decresce e, anche così; è puramente virtuale, poiché non si traduce in
benefici per la maggioranza della popolazione (vedi Brasile).
  Keynes ha evitato il collasso negli anni 30 perché ha ristretto i
vincoli tra investimento e sfera produttiva, favorendo l'occupazione e
la redistribuzione di      reddito. Una alternativa post-capitalista
dovrà vincolare gli investimenti alla produttività  e adottare una
redistribuzione di reddito su scala planetaria. Poiché quanto maggiore è
la concentrazione di reddito a livello mondiale, tanto minore è la
domanda.
   Confrontati con la maggioranza povera della popolazione, i più ricchi
destinano una porzione minore al consumo. I salariati canalizzano tutte
le loro risorse verso il consumo. Solo l'ambizione smisurata impedisce
ai padroni del denaro di capire che, quanto maggiore è la concentrazione
di reddito, maggiore è la paralizzazione della domanda. Per questo
l'indice di crescita reale del PML si è abbassato dal  5,2%, nel
1966-1973, al 3,4% nel 1974-1980. Ed è caduto al   3,1%, tra il  1981 e
il 1990, al 2,8% tra il 1991 e il 1999.