[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Aggiornamento n.14 dall'Ecuador
- Subject: Aggiornamento n.14 dall'Ecuador
- From: Cristiano Morsolin <morsolin at yahoo.it>
- Date: Sat, 29 Sep 2001 20:49:49 +0200 (CEST)
AGGIORNAMENTO ECUADOR N.14 Hola Peacelink, La scorsa settimana sono passato per Quito dove ho incontrata l’economista Susana Chu Yep del Centro de Derechos Economicos y Sociales CDES, che ha partecipato al Genos Social Forum e mi ha raccontato del viaggio del Senatore Verde Francesco Martone (vecchio conoscitore dell’Ecuador dove ha documentato lo storico leviantamento del 2000 come inviato speciale del Manifesto) di cui vi allego questa sua relazione che mi sembra particolarmente interessante. Saluti latinoamericani Cristiano morsolin Ibarra (Ecuador), sabato 29 settembre 2001 ---------- Morsolin Cristiano, e-mail: utopiamo at yahoo.it Fundacion “CRISTO DE LA CALLE”, Calle Maldonado 14-119 y Guillermina Garcia , Ibarra - Ecuador Telefono (00593) 6.641056 ( 7 ore di differenza dall’Italia) Directora: Claudia Ibadango, e-mail: cristodelacalle at yahoo.com Telefono : (00593) 6.953955 ---------- “Mi poncho no es blindado, pero mi corazon si” “il mio poncho non e’ blindato, ma lo e’ il mio cuore” sta scritto su un muro dalle parti della Lizardo Garcia, nel quartiere di Quito pieno di negozietti di artigianato e di Internet Café’ per turisti di passaggio. A ricordare forse la rivoluzione dei Poncho e degli Elmetti del gennaio 2000 o la repressione sanguinosa del levantamento seguente? E poi macchie di vernice nera, e spray che traccia scritte quasi incomprensibili “cuIDado a la OCP”, “OCP= Olvidaron Consulta Previa”, “Oro Nero muerte lenta”, e cosi’ via. Tornare in Ecuador un anno e mezzo dopo il levantamiento del 21 gennaio 2001, e ritrovare un paese in ginocchio. Attraversare l’Ecuador con ancora negli occhi e nella mente le immagini del dramma di Genova e l’odore nauseante dei gas lacrimogeni, le pozze di sangue della scuola Diaz, l’incubo di Bolzaneto, per riflettere, studiare, confrontarsi e cercare conferme. Per meglio capire come per crescere ed essere credibile il movimento antiglobalizzazione nel Nord del mondo dovra´necessariamente coniugarsi con le mobilitazioni nel Sud, conoscerne le ragioni e le proposte. Un Sud devastato dal debito estero e dalla speculazione finanziaria e dal ruolo di “lebensraum” di risorse strategiche, prima fra tutte il petrolio, imposto dalle imprese multinazionali e dal Fondo Monetario Internazionale. Un Sud succube degli interessi dell’Impero, di cui l’Ecuador sembra essere l’icona, insieme agli altri paesi dell’America Latina, Argentina in testa. Altro che una raffigurazione simbolica del Male , qui Wall Street, Washington ed il Pentagono, sono i tre assi cartesiani lungo i quali si muove forzatamente il destino dei popoli. Ed a ricordarcelo ogni momento e’ il nostro portafoglio, non piu’ sucre nelle tasche dei cittadini ecuadoriani, ma dollari, da cinque, da uno, pennies e dime, perche’ per i pezzi piu’ grandi e’ difficile avere il resto. Mi dicono che ai cittadini ecuadoriani hanno dovuto fare un corso per riconoscere le faccione dei padri dell’indipendenza americana. L’unica cosa che e’ rimasta all’Ecuador, l’ultima briciola di una delle prerogative della sovranita´di uno stato, quella di battere moneta, e’ stata il conio di alcune monetine, da mezzo dollaro o giu’ di li’. Chissa’ se alle migliaia di Ecuadoriani emigrati venga garantito il diritto di reciprocita´´, chissa´se mai quelle monetine potranno essere usate negli States, magari nelle slot machine di Las Vegas per cercare fortuna o i soldi per pagarsi un viaggio di ritorno. Arrivo a Quito e subito balzano agli occhi le grandi contraddizioni e la forza micidiale della Trimurti del neoliberismo. O meglio di una, la piu’ spietata, il Fondo Monetario Internazionale. L’FMI, che, leggo sul Manifesto, verra’ protetto con cura, come un pupo in fasce, da una muraglia di acciaio per permettere lo svoglimento del prossimo Annual General Meeting a Washington, poco ha potuto di fronte al pronunciamento della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale l’aumento dell’IVA dal 12 al 14 percento, una delle condizioni poste dall’FMI per la concessione , lo scorso aprile, di un prestito di aiuto di 300 milioni di dollari al paese. Come a dire che tutta la retorica del buon governo, del rispetto della legge che trasuda dai documenti ufficiali della Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale si infrange contro la realta’ nuda e cruda: quello che l’Fmi chiede di fare al governo ecuadoriano e’ contro la costituzione del paese. Nientedimeno. Lasciando aperto il campo ad un’ ipotetica grave crisi istituzionale il presidente Noboa aveva dapprima contraddetto il pronunciamento del Tribunale costituzionale. L’aumento dell’IVA, quel 2 percento, che pagheranno soprattutto i piu’ poveri, sarebbe servito per pagare i debiti del paese. Va ricordato che proprio grazie alla dollarizzazione il paese ha visto un aumento delle importazioni del 64%, soprattutto nei beni di maggior consumo. Proprio quelli sui quali piu’ pesa l’IVA. Poi di fronte al pericolo di una nuova ondata di scioperi, il 10 agosto, il giorno della Nazione, Noboa annuncia al paese che l’IVA calera´ e che comunque il FMI non cambiera’ la sua politica nei confronti del paese. Tanto a metterlo all’indice ci avrebbero pensato i ben piu’ implacabili mercati finanziari, che, punzecchiati dalle ricorrenti voci di dimissioni del ministro delle finanze Jorge Gallardo, hanno sentenziato che il rischio paese dell’Ecuador e’ aumentato proprio in conseguenza della decisione del Tribunale Costituzionale. Gli analisti della Morgan Stanley hanno infatti dichiarato che “l’FMI vede l’aumento dell’IVA come segnale fondamentale dell’impegno del governo ecuadoriano per migliorare la sostenibilita’ dei conti nel medio termine...e pertanto crediamo che l’FMI sara’ sempre piu’ frustrato dalla mancanza di consenso nazionale sulle riforme in Ecuador”. E comunque una volta accettato “obtorto collo” la riduzione dell’IVA, il Presidente Noboa si e’ affrettato a chiarire che questo 2 percento in meno significhera’ una riduzione ulteriore delle spese sociali, ed un aumento dello sfruttamento petrolifero, il nuovo vaso di Pandora, la cornucopia piena di oro nero che dovrebbe salvare il paese. “Dopo aver privatizzato il petrolio, privatizzeranno anche il sole” diceva un attivista dei movimenti sociali nella Cumbre Social riunitasi qui a Quito, nella Casa della Cultura il 9 agosto scorso. Gia’ si parla infatti di vendere al miglior offerente ed in anticipo i giacimenti di petrolio del paese, di quello di migliore qualita’. Solo che la costituzione dice che le riserve naturali restano di proprieta’ dello stato fintantoche’ sono sottoterra, e solo dopo essere estratte possono essere di proprieta´delle imprese, anche straniere.. Un dettaglio non di poco conto, per un paese che ogni giorno corre sul filo del rasoio, e che sguazza nelle zone d’ombra della legalita’ e della costituzionalita’. Zone d’ombra nelle quali le ragioni della politica intesa come servizio del pubblico interesse e riaffermazione dei diritti fondamentali di cittadinanza cedono quotidianamente il passo a quelle del mercato. Lo stato di diritto sempre ostaggio del mercato. Come mi dice con disarmante serenita’ Susana Chu Yep, del CDES (Centro de Derechos Economicos y Sociales) che ho rivisto dopo le giornate di Genova: “ La regola del gioco in questo paese e’ di essere al fuori delle regole del diritto e della legge”. E quanto costerebbe la legalita’ costituzionale in Ecuador, in caso la decisione di abbassare l’Iva risultasse poco gradita ai mercati ? Il conto e’ presto fatto: 80 milioni di dollari in meno da parte della Banca mondiale, 90 milioni in meno dalla Banca Interamericana di Sviluppo, 50 dalla Corporacion Andina de Fomento, e ben 104 in meno dal Fondo Monetario. Internazionale. Un effetto domino che potrebbe trascinare anche il negoziato con i creditori del Club di Parigi. Non e’ il caso di illudersi, l’Fmi certamente fara’ pagare con gli interessi la decisione del Tribunale Costituzionale. Basta guardare alla vicina Argentina per capire che non c’e’ nuovo corso , ne’ perestrojika nelle stanze del Fondo Monetario, checche’ ne dicano i nostri governanti e le pubblicazioni patinate di propaganda. Di fronte ad un debito totale che supera il 130 miliardi di dollari le condizioni poste all’Argentina per il nuovo pacchetto di salvataggio di 8000 milioni di dollari , che si vanno ad aggiungere ai precedenti per un totale di 22 miliardi di dollari (negoziato da Horst Koehler con il vice ministro dell’economia argentino – ironia della sorte – Marx, e con l’amministrazione Bush e guarda caso con i ministri delle finanze del G8) sono, di nuovo, come sempre, la totale liberalizzazione dei settori produttivi e la drastica riduzione delle spese sociali (ma quanto ancora si puo’ raschiare il fondo?), insieme ad un impegno di applicazione di politiche neoliberiste per ben dieci anni. Ora vien da pensare di nuovo alla retorica dell’FMI sulla democrazia ed il rispetto della “rule of law”, delle regole fondamentali del diritto. Quale sistema democratico pero’ potrebbe pero’ accettare un ipoteca di ben dieci anni sul suo programma economico e finanziario? Quale possibilita’ di alternanza di governo e di politica economica e di sviluppo potrebbe esistere a tali condizioni? O forse ancora la politica, di nuovo, dovra’ accettare passivamente le ricette imposte da altre istituzioni ed essere solo un minuscolo accessorio rispetto alle esigenze degli investitori stranieri e delle imprese multinazionali? Torniamo all’Ecuador e mettiamo un nuovo pezzo nel complesso mosaico della crisi del paese, quello del fallimento e della messa in liquidazione della Banca Filanbanco, un nuovo scandalo alla sudamericana, che ha marcato un ulteriore grave colpo alla credibilita’ della Presidenza Noboa.. Filanbanco e’ solo l’ultima delle banche fallite e salvate solo in parte dall’intervento dello stato, utilizzando per questo parte dei fondi concessi dall’FMI. La memoria storica riporta che il fallimento del Banco del Progreso, e di altre istituzioni finanziarie, con il conseguente congelamento dei conti fu uno dei prodromi del levantamento del 21 gennaio 2000, che avrebbe portato Noboa al potere. Solo che il Filanbanco gestiva e garantiva il 71% delle operazioni di commercio estero del paese, ed era di proprieta’ di una delle famiglie piu’ importanti del paese, gli Isaias. E, ciligina sulla torta, tramite il Filanbanco il governo tramite il Seguro Social aveva depositato milioni di dollari con gli interessi dei quali pagava anche le pensioni, e non solo. Ora il Filanbanco e’ in liquidazione, il pagamento delle pensioni congelato, dopo che il governo aveva emesso ben 300 milioni di dollari in obbligazioni per cercare di salvarlo. Ben poca cosa di fronte ad un deficit ipotizzato nell’ordine del miliardo e mezzo circa di dollari. Anche un’ asta di liquidazione ando’ deserta. Ed ora quel che resta e’ un indebitamento pubblico maggiore di 300 milioni di dollari, gia’ perche’ quelle obbligazioni ora le dovranno pagare non gli Isaias, ne’ i ministri del governo Noboa, ma gli Ecuadoriani, come se non ne avessero gia’ abbastanza. Sono qui anche per capire meglio i dettagli essere dell’accordo per la conversione del debito tra Italia ed Ecuador. Me ne avevano gia’ parlato a Genova, durante il Forum Andino prima del G8 e poi a Roma Suzana, Menthor Sanchez della CONAIE (Confederazione delle Nazioni Indigene dell’Ecuador) e Monica Espinoza della Campagna Jubileo 2000 Ecuador. I nuovi dettagli me li illustrano Isa Giunta del CRIC, ONG Italiana attiva da anni in Ecuador insieme a Terranuova e ad altre 18, l’Ambasciatore italiano a Quito , Legnaioli e Nina Pacari, parlamentare indigena del Movimento Pachatutik-Nuevo Pais. Per coloro che pensassero che questa cosa della conversione del debito, il “canje” lo chiamano qui, sia stata cosa studiata a tavolino nei corridoi del ministero degli Affari Esteri, vale la pena di ricordare che nell’accordo siglato tra rappresentanti dei Popoli indigeni e dei movimenti social del Paese ed il governo Noboa, ed anche nella proposta della CONAIE inviata lo scorso anno al Club di Parigi c’era esplicitamente il riferimento a possibili “conversioni del debito estero in programmi di sviluppo nelle aree piu’ povere del paese”. Il “canje” con l’Italia permettera’ di condonare un totale di 87 milioni di dollari di crediti di aiuto, che generano debito concessionale. In cambio il governo dell’Ecuador deposita 5 milioni di dollari l’anno per 5 anni in un fondo di sviluppo. Nonostante sulla carta esistano garanzie sulla partecipazione della societa’ civile ecuadoriana e sulla trasparenza, occorrera’ vigilare attentamente in Ecuador ed in Italia affinche’ le finalita’ del programma rispecchino le aspettative dei movimenti sociali ecuadoriani. Aspettative non di poco conto: Blanca Chancoso e Antonio Vargas, rispettivamente responsabile esteri e presidente della CONAIE vedono nel “canje” una soluzione momentanea che possa permettere alle comunita’ locali di partecipare a progetti di sviluppo, educazione, recupero ambientale su piccola scala. Lo stesso dicasi per l’alcalde indigeno di Cotachachi, Auki Tituana, che incontro nel suo ufficio, adornato di fotografie di Che Guevara e Fidel Castro. In odore di candidatura per le prossime Presidenziali e fautore di un programma di democrazia partecipativa e di sviluppo locale basato sui precetti della morale indigena Quichua, e dell’istituzione del primo cantone ecologico del continente, Auki mi confida di sperare di poter vedere nel “canje”, uno strumento per la messa in atto di progetti innovativi su piccola scala. Ma tutti sono d’accordo: il “canje” non e’ la soluzione definitiva al problema del debito. Me lo spiega bene e con passione Alberto Acosta, esperto di debito dell’ILDIS e tra i promotori di ATTAC Ecuador: “Qua bisogna trovare una soluzione organica e definitiva al problema del debito. Queste sono solo soluzioni tampone che non cambiano l’essenza del problema. Bisogna partire dalla definizione di un nuovo diritto finanziario internazionale e poi ribaltare i rapporti di forza. Lanciare cioe’ un modello di negoziato sul debito che sia equo e trasparente, una sorta di processo di mediazione o arbitrato internazionale”. Anche Nina Pacari, nella sua stanza al terzo piano del Palazzo del Congresso, e’ d’accordo. Fa riferimento alla legge italiana sulla cancellazione del debito ed al possibile ricorso alla Corte Internazionale diGiustizia dell’Aia per un pronunciamento sulla illeggittimita’ del debito estero. Ancora diritto quindi, pero’ stavolta dalla parte giusta. E proprio per questo si annunciano nel continente sudamericano una serie di azioni legali e di tribunali nazionali ed internazionali sul debito estero. Ci provano gli attivisti, gli esperti, gli indigeni a rielaborare, a rafforzare i concetti fondamentali del diritto, i DESC, i Derechos Economicos y Sociales. Pero’ l’impressione e’ che questa costruzione faticosa e costante, sia simile ad un castello di sabbia sulla riva di un mare impetuoso, ad un novello Mito di Sisifo, che ti riporta sempre all’inizio del percorso. E’ sempre li’ il mantra del neoliberismo, a tentare di azzerare questa sfida quotidiana. A quello che e’ stato gia’ detto mancano solo due pezzi, la liberalizzazione dei settori produttivi, e la svendita delle risorse naturali, petrolio in testa. Anche queste due prescrizioni sono attuate con cura. La prima, la liberalizzazione del settore elettrico, procede, nonostante le mobilitazioni dei sindacati e dei movimenti sociali, a colpi di spot televisivi che ne declamano i vantaggi per il paese. Spot che tralasciano di sottolineare che una delle multinazionali, americana ovviamente, che si sta affacciando sul mercato, e’ la AES, gia’ prima cliente della Banca mondiale. L’AES, un gigante del settore, e´coinvolta un numerosi progetti ed affari sospetti, non ultimo un caso di corruzione in Uganda per convincere il governo nazionale ad andare avanti con un progetto idroelettrico, quello di Bujagali, che potrebbe godere dei benefici finanziari della Banca mondiale stessa. Mentre la privatizzazione del settore delle Telecomunicazioni procede un po’ piu’ a rilento, stanno iniziando i lavori per la costruzione dell’OCP, l’Oleoducto Crudo Pesado e procede il negoziato sulla Decima Ronda Petrolera. Gli schizzi fenetici che disegna su un pezzo di carta Fernando Villavicencio, gia’ conosciuto nel corso del levantamento indigeno del gennaio 2000, attivo sindacalista del settore petrolifero, ora collaboratore del vicepresidente del Congresso, sempre del Movimento Pachakutik, fanno impressione. Cerchi concentrici a descrivere le concessioni petrolifere nell’Amazzonia Brasiliana, linee rette per spiegare come l’Oleoducto Crudo Pesado nasconda una megatruffa ai danni dello stato, attraverso la speculazione sul prezzo del greggio pesante e di quello leggero, e poi nomi, cognomi ed indirizzi dei politici coinvolti nel saccheggio delle risorse petrolifere del paese. Uno fra tutti Rene’ Ortiz, gia’ Ministro delle Miniere del paese ora presidente dell’AGIP Ecuador, l’uomo che sta dietro l’OCP, l’uomo dell’ex Presidente Mahuad, ora a Boston dopo essere stato cacciato dal fermento dei Poncho e degli Elmetti. L’OCP non servira’ solo a trasportare il “crudo pesado” ma anche ad aprire la strada allo sfruttamento di tutti i giacimenti petroliferi dell’Oriente, su un’area di oltre 20 milioni di ettari di foresta amazzonica. Una riserva di 700 milioni di barili di crudo pesado che – secondo Fernando – proprio grazie all’OCP ed alla Ronda Petrolera potrebbero svanire in 12 anni lasciando il paese senza una delle principali fonti di entrata, e facendo a pezzi il programma di dollarizzazione. Altra bella ipoteca, stavolta non imposta dall’FMI, come nel caso argentino, ma dalle imprese petrolifere. Tra le mani mi capita anche un documento interno dell’SRI (Servicio de Rentas Internas) del 2000: riporta tabelle e cifre. Sono le cifre delle dichiarazioni fiscali delle imprese petrolifere straniere operanti nel paese, Cerco l’AGIP Petroleum Ecuador Limited e trovo una tabella dove sotto al nome IVA pagato in ritenuta d’acconto ci sono solo zeri dal’anno 1995 all’anno 2000 e dove alla tabella imposta sul reddito ci sono note al margine che dicono come nel 1995 1996 e 1998 l’ “impresa non presenti nella sua dichiarazione movimenti che permettano la generazione di base imponibile”, nel 1997 non ci siano dichiarazioni, e nel 1999 l’impresa abbia dichiarato di essere in perdita. Anche leggendo l’annuario pubblicato dall’autorevole rivista economica Gestion, nel 2000 l’unica cmpagnia petrolifera ad aver avuto un guadagno rilevante sembra essere la Oxy, mentre nessun’altra compare nella lista delle prime 25 imprese a livello nazionale. Cosa piuttosto strana per l’AGIP una impresa che e’ tra le piu’ attive del paese, soprattutto nella regione amazzonica di Pastaza. Una voce ricorrente tra gli attivisti dice che l’AGIP abbia firmato un accordo con il popolo Huaroani, che vivono nel Bloque 10 quello rilevato dalla multinazionale ARCO, nel quale si dice disponibile a fare una serie di regali agli indigeni, in cambio del loro impegno a non avanzare alcuna rivendicazione o iniziare alcuna azione legale in caso di danni sociali o ambientali. Anche questa e’ storia quotidiana in Ecuador, dove sta iniziando alla chetichella la campagna per le elezioni presidenziali, con Alvaro Noboa, quello delle banane, quello che sta sudando freddo per lo sciopero ad oltranza dei trasportatori del settore, svende a prezzi stracciati i fiocchi d’avena ai futuri elettori (ma non funzionavano meglio le scarpe di Achille Lauro?). Dove la nazionale di calcio non ha fatto uno di quei miracoli che tanto sarebbero piaciuti ad Osvaldo Soriano o Darwin Pastorin, ed e’stata battuta a Ferragosto da uno splendido gol di Veron e da un rigore di Crespo, incuranti del sole midiciale e dell’altura di Quito. “Si’ se puede” gridavano i 50mila dello stadio Atahualpa di Quito. Dovranno aspettare la prossima sfida per sapere se saranno qualificati al prossimo sogno: i mondiali di calcio del 2002. La frenesia del pallone che fa dimenticare tutto, come un buon bicchiere di “trago”, magari di aguardiente colombiana, dal vago sapore di sambuca. Fa dimenticare le due creature, le “guaguite” neonate soffocate in incubatrice dai gas lacrimogeni lanciati all’interno dell’ospedale pediatrico di Quito da un criminale poliziotto durante la repressione dello sciopero dei medici e paramedici. Due piccine che nessuno si e’ azzardato a trasformare in martiri. O le fumigazioni di glicosato al confine con la Colombia, che secondo i militari servono per eradicare le colture di coca e che invece stanno avvelenando la terra e gli animi, in quello che i dirigenti della CONAIE mi dicono somigli piu’ ad un genocidio camuffato. Tanto per rinfrescare la memoria, Accion Ecologica puntalizza che le fumigazioni sono fatte con Roundup-Ultra (Monsanto se non erro), POEA e cosmoflux, tutti cancerogeni in quantita’ ben 104 volte superiori a quelle permesse negli Stati Uniti, nell’Imperio. Tutto questo in un paese dove gli amici, i compagni di Accion Ecologica, della CONAIE, dei movimenti sociali, sono oggetto di minacce di morte da parte di una fantomatica formazione paramilitare, la “Legion Blanca”, che e’ comparsa sulla costa e promette di farsi giustizia da sola. Forse in un eccesso di zelo hanno preso fin troppo alla lettera il Presidente Noboa che dichiara guerra “trincea per trincea” a quei quattro “rompicoglioni” che minacciano l’interesse del paese opponendosi all’OCP, e che accusa le associazioni ambientaliste internazionali di un complotto per togliere alla sovranita’ ecuadoriana le isole Galapagos dove i leoni marini e le fregate sono le ennesime vittime di questo sistema impazzito. Un paese dal quale risultano sterili le polemiche nostrane su Vertice NATO si’, Vertice FAO no, come anche vacua la retorica complottarda o quella pseudorivoluzionaria. Dove le giornate di Genova per alcuni sono state solo uno sfogo esistenziale di ragazzi del Nord ricco, per altri un pezzo di un percorso di riappopriazione dei diritti di cittadinanza globale. Dove profonde affondano le radici ed evidenti sono le ragioni dell’impegno globale contro il neoliberismo. Da dove per i piu’Genova altro non e’ che la citta’ con la piu’ grande comunita’ di migranti ecuadoriani in Italia, di parenti che si spera di poter raggiungere presto. E dove le sparate “legaliste” di Bossi e del governo Berlusconi sull’immigrazione fanno venire i brividi a tutti. Me compreso. ______________________________________________________________________ Do You Yahoo!? Il tuo indirizzo gratis e per sempre @yahoo.it su http://mail.yahoo.it
- Prev by Date: Aggiornamento n.14 dall'Ecuador
- Next by Date: Fw: news
- Previous by thread: Aggiornamento n.14 dall'Ecuador
- Next by thread: Cile: marcia della pace
- Indice: