articolo per ADISTA dall-Ecuador, da parte di Cristiano Morsolin



ARTICOLO ADISTA SULL-ECUADOR

Hola Peacelink,
Un salutone dal vostro corrispondente in Ecuador.
Invio l-articolo di Claudia Fanti, che ringrazio
affettuosamente, che esce questa settimana
sull-agenzia di stampa cattolica ADISTA, proponendo la
traduzione di alcun materiale che ho inviato anche
alla rete Peacelink.
A presto
cristiano Morsolin

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Morsolin Cristiano, e-mail: utopiamo at yahoo.it
Fundacion “CRISTO DE LA CALLE”,
Calle Maldonado 14-119 y Guillermina Garcia
Ibarra - Ecuador
Telefono (00593) 6.641056	 ( 7 ore di differenza
dall'Italia)
Directora Claudia Ibadango, e-mail:
cristodelacalle at yahoo.com
Telefono : (00593) 6.953955
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QUITO-ADISTA. Sembra impossibile ottenere qualcosa di
importante, in Ecuador, per la via del dialogo: questo
pare indicare il fallimento dei negoziati tra il
governo e la Conaie, la Confederazione delle
nazionalità indigene dell'Ecuador, dovuto alla
manifesta mancanza di volontà del governo di andare
incontro alle richieste degli indigeni. Così, se
alcuni dei punti sollevati dalla Conaie non sono
neppure stati affrontati (come quello del
decentramento dello Stato), sugli altri non è stato
raggiunto alcun accordo: né sul prezzo dei trasporti,
né sulla quota di indennizzo per le vittime
dell'insurrezione, né sulla distribuzione del gas di
uso domestico, sull'aumento dell'Iva (in vigore dallo
scorso primo giugno), sul Plan Colombia. «Con ciò - ha
dichiarato la Conaie - risulta chiaro che l'attuale
governo non è interessato a politiche statali in grado
di affrontare i grandi problemi nazionali e,
soprattutto, quelli dei popoli e delle nazionalità
indigeni e contadini». Cosicché non rimarrà altra
strada, se l'Esecutivo non darà risposte concrete
nell'arco di una settimana, di dare nuovamente avvio
alle proteste.
Grande è inoltre la preoccupazione della Conaie per la
regionalizzazione del conflitto colombiano conseguente
all'applicazione del Plan Colombia, il programma
contro il narcotraffico varato dal presidente Pastrana
con il sostegno militare degli Stati Uniti. Di fronte
alla crescita della violenza nella zona di frontiera,
dove sono segnalate frequenti incursioni di
paramilitari e guerriglieri colombiani, gli indigeni
chiedono al presidente Noboa di dichiarare il Paese
“zona neutrale”, ritirando l'autorizzazione concessa
agli Usa per l'utilizzazione della base aerea di Manta
e creando una zona di distensione alla frontiera con
la Colombia.
Sull'escalation di violenza nelle province di confine
si è soffermata anche la Commissione di solidarietà e
di diritti umani di Imbabura (provincia settentrionale
dell'Ecuador): «il governo - afferma in un comunicato
- deve andare oltre una strategia di contenimento
della violenza alla frontiera», contribuendo al
processo di pace nella regione attraverso la
«concertazione tra distinti attori sociali» e misure
di sostegno sociale ed economico alla popolazione. Una
politica antitetica, dunque, a quella promossa dagli
Stati Uniti, orientata a garantire, come dichiarato
dal capo del Comando sud Peter Pace, «addestramento
militare all'Ecuador per rafforzare la capacità di
controllo della frontiera nord».
Alle stesse conclusioni della Conaie e della
Commissione di solidarietà e di diritti umani di
Imbabura è giunto anche il rapporto che la Commissione
specializzata su Amazzonia e Frontiera ha reso noto
sull'impatto del Plan Colombia nelle province di
confine di Orellana, Sucumbíos, Carchi ed Esmeraldas.
Secondo il rapporto, se per più di 40 anni il
conflitto colombiano non ha avuto ripercussioni in
Ecuador, dall'avvio del Plan Colombia e dell'accordo
sulla base di Manta, il Paese ha invece cominciato a
soffrire pesanti danni (dall'aumento dei casi di
violenza all'impiego massiccio di prodotti chimici,
fino alla crescita del flusso migratorio e alla
comparsa di rifugiati interni). Il rapporto raccomanda
allora la revisione dell'accordo firmato con gli Usa
per l'utilizzo della base di Manta e la creazione di
una zona di pace nella fascia di frontiera tra i due
Paesi, con la conseguente presenza di forze di pace
internazionali.
A lanciare l'allarme sulla situazione alla frontiera
nord dell'Ecuador è stata anche la Chiesa cattolica:
di fronte alle voci sulla formazione di gruppi di
autodifesa di stampo paramilitare nella zona di
confine, mons. Antonio Arregui, vicepresidente della
Conferenza episcopale ecuadoriana, ha invitato il
governo ad adottare misure urgenti di sicurezza in
difesa della cittadinanza, prima che questa possa
adottare strategie repressive che potrebbero condurre
il Paese, come ha denunciato il segretario della
Conferenza episcopale mons. José Eguiguren, ad un
«abisso pericoloso».