Indios sempre più ultimi



(Il Manifesto)
La prima conferenza mondiale dei popoli indigeni del nuovo millennio si è
riunita a Panama con la partecipazione di 200 delegati dai cinque
continenti. Nonostante le belle parole dei governi e dell'Onu, nell'ultimo
decennio la situazione non è per nulla migliorata: razzismo imperante,
diritti negati alla cultura e alla terra, esclusione sociale
GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTO'BAL DE LAS CASAS

Si è conclusa venerdì a Città di Panama la prima conferenza del millennio
dei popoli indigeni, che ha riunito più di 200 delegati provenienti da
cinque continenti. Prendendo la parola a nome di culture e situazioni molto
diverse tra loro - dai meti canadesi alle etnie tribali del Ruanda - i
rappresentanti dei popoli indigeni hanno coinciso nel denunciare il razzismo
di cui sono oggetto nei rispettivi paesi e il ritardo storico nel
riconoscimento dei loro diritti e della loro autonomia. Concordi sul fatto
che i governi continuano a ignorarli e che, nonostante le belle parole, poco
è cambiato nell'ultimo decennio.
Altri punti in comune sono stati la condanna delle politiche imposte dalla
Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, che sono state definite
"distruttive quanto le guerre"; le critiche all'Onu, che da più di vent'anni
patrocina una Carta dei diritti dei popoli indigeni che non vede mai la
luce; e la denuncia dell'Alca, l'area di libero commercio delle Americhe di
cui i leader americani hanno discusso il 20-22 aprile a Quebec City, come
una grave minaccia alla sovranità indo-americana.
"Vogliamo essere riconosciuti come soggetti di diritto, con diritti
collettivi e usufrutto dei nostri territori ancestrali", ha detto il kuna
Nelson de León, dell'organizzazione Napguana, che ha ospitato la conferenza.
"Non stiamo chiamando alla violenza destabilizzante, al contrario, vogliamo
essere una parte importante dei nostri paesi, essere parte della soluzione
dei conflitti."
Il clima di razzismo imperante nei confronti delle popolazioni indigene è
stato esemplificato facilmente dagli organizzatori: cinque delegati alla
conferenza, provenienti dall'India e dal Ruanda, sono stati fermati in
aeroporti europei e, impedendogli illegalmente di proseguire per Panama,
sono stati rispediti a casa senza neanche una spiegazione. Ad altri 13
delegati sono stati trattenuti i passaporti al loro arrivo a Panama, dietro
il pretesto che nei loro paesi si rilasciano "visti ristretti". C'è stato
bisogno di fare pressioni sulle autorità panamegne per superare questi
problemi.

Autodeterminazione
Mililani Trask, delegata hawaiana, ha affermato:"Il rifiuto degli stati di
garantire pieni diritti di autodeterminazione ai nostri popoli riflette il
livello del razzismo attuale". Deplorando che la loro voce continui a non
essere ascoltata, Mililani ha aggiunto: "E' una tragedia che il mondo si
neghi ancora a riconoscere i diritti dei popoli indigeni. Questa è l'eredità
della colonizzazione".
Fra i punti principali della conferenza c'era quello di valutare i progressi
registrati nel decennio dei popoli indigeni, dichiarato dall'Onu nel 1994, e
fissare gli obiettivi degli stessi popoli per il 2004. Si è anche elaborata
una strategia e una piattaforma comune per partecipare alla conferenza
mondiale delle Nazioni unite contro il razzismo, che si terrà in settembre
in Sudafrica.

Un assaggio dell'Alca
Fra lunedì e venerdì, negli stessi giorni in cui nell'hotel Soloy si è
svolta la conferenza del millennio, un altro hotel della capitale,
l'esclusivo Caesar Park, ha ospitato una riunione interministeriale dei 34
paesi interessati all'Alca. Niente di paragonabile al glamour di Québec,
evidentemente. Nessun capo di stato o di governo da inseguire, solo quelle
riunioni tecniche di sottosegretari e fotocopie, così discrete da non
attirare neanche la stampa locale ma indispensabili per dare gambe al
progetto del neoliberismo continentale.
L'incredibile è successo mercoledì. Mentre i superburocrati discutevano
diligentemente l'agenda fissata da Bob Zoellick, responsabile del commercio
estero di Washington, e cercavano di fissare una politica unitaria di
servizi e tariffe, fuori dall'hotel Caesar Park una manifestazione di
diecimila persone che protestavano - lupus in fabula - contro l'aumento dei
trasporti pubblici veniva brutalmente attaccata dalla polizia. Risultato: 13
feriti, di cui 5 da armi da fuoco, e 150 arrestati.
Secondo gli organizzatori, la marcia, convocata dal Movimento nazionale di
difesa della sovranità, integrato da sindacati, professori, studenti e
impiegati pubblici, era stata autorizzata dalle autorità e si stava
dirigendo pacificamente al palazzo presidenziale per consegnare una
petizione alla presidentessa Mireya Moscoso. I disturbi sono cominciati
quando un centinaio di persone ha tentato di sfondare un cordone di
sicurezza nelle vicinanze del palazzo presidenziale, provocando gli scontri.
Lo stesso ministro degli interni, Winston Spadafora, ha dovuto riconoscere
che i manifestanti si sono comportati "in modo impeccabile" e ha attribuito
"a ignoti" la provocazione che ha causato i disordini.
Dopo questa dimostrazione esplicita di come si applicano le politiche
neoliberali, l'attenzione è ritornata alla conferenza del millennio, dove
gli interventi dei delegati mostravano le situazioni di sopruso e violenza
provocate dall'avanzata del "libero commercio" nei territori indigeni.
Particolarmente gravi le denunce dalla regione colombiana del Naya, dove
l'Eln ha ucciso un governatore degli indios Páez e questi ultimi sono
vittime di continui massacri da parte dei paramilitari antiguerriglia.

Onu impantanata
Marcial Arias, un kuna di Panama, ha appuntato la sua critica al progetto di
Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni, impantanato da sei
anni nell'apposita commissione dell'Onu per volontà di alcuni governi "che
si negano a riconoscere il nostro diritto all'autodeterminazione e alla
libera amministrazione delle risorse naturali."
Per quanto riguarda la creazione di un'area continentale di libero
commercio, Arias ha affermato: "Prima dobbiamo discutere se siamo in
condizioni di partecipare a questo gioco, perché è evidente che abbiamo
bisogno di regole speciale per poter entrare a giocare".
Tomás Alarcón, un aymara del Perù, ha ricordato che esistono due progetti di
Dichiarazione universale, uno delle Nazioni unite, l'altro
dell'Organizzazione degli stati americani, ancora più restrittivo, e che
bisogna riconoscere che i popoli indigeni sono oggetto di colonizzazione
interna in molti paesi che si dicono democratici. "Tuttavia, la forza dei
movimenti indigeni - ha detto -, come quelli di Perù, Bolivia, Ecuador, o
quello zapatista del Messico, sta aprendo un cammino e lasciando alle spalle
un progetto assistenzialista che risulta troppo stretto per le aspirazioni
dei popoli".
Gli interventi più frequenti sono stati quelli contro la formazione
dell'Alca, un mercato per gli 800 milioni di potenziali consumatori delle
tre Americhe regolato da Washington.
Il mapuche cileno Aulcan Huilcaman ha dichiarato che i governi dei paesi
americani non hanno risolto i problemi dei territori dei popoli indigeni,
dei diritti alle risorse naturali e biologiche che contengono. Huilcaman ha
citato l'esempio del Cile, dove la politica economica neoliberale imposta
dalla dittatura - e sostanzialmente proseguita dai governi democratici
post-pinochettisti - ha prodotto una situazione conflittiva nell'ambito
territoriale e portato alla presenza massiccia delle compagnie forestali.

Bio-pirateria
Fra i delegati, c'è stato anche chi ha menzionato i diritti di proprietà
intellettuale, denunciando come numerose multinazionali, specialmente
farmaceutiche, non si fanno alcuno scrupolo di saccheggiare risorse naturali
e conoscenze ancestrali dei popoli indigeni per poi brevettarle sul mercato.
E la bio-pirateria medicinale è la più vistosa ma non l'unica, purtroppo.
Ha ragione Fidel Castro, dunque, quando denuncia le vere intenzioni
dell'Alca - "Gli Stati uniti si annetteranno l'America latina e la
semineranno di Disneyland e McDonald's" -? In realtà, non si può neanche
tacciare di allarmista questa battuta del líder máximo, visto che omette di
menzionare i "semi" più velenosi del nuovo mercato panamericano: dighe, basi
militari, pozzi di petrolio, monocolture e maquiladoras. Insieme a
megaprogetti di devastante impatto ambientale, come il corridoio
transistmico e il piano Puebla-Panama.



Nello
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