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Marino Bocchi - 30-11-2002
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Noi abbiamo un senso della moralita' che agli occhi degli altri e' amoralita
'.
Noi abbiamo un senso della liberta' che agli occhi degli altri e'
libertinismo. Noi anarchici siamo i perdenti. Perche' abbiamo scelto di
perdere. Perche' il potere, ogni volta che ci e' toccato, lo abbiamo
scagliato dalle mani "dove l'amore non era adulto e ti lasciava graffi sui
seni".

Quando studiavo a Parigi ho conosciuto il mio amico peruviano Raoul, che si
innamoro' della mia amica Patrizia e ogni sera le parlava di Gramsci e della
sua terra, dove i contadini masticano le foglie di coca per sentir meno il
peso della fame. Era un esule politico, sfuggito alla dittatura che allora
maciullava e stuprava la sua gente. Lo seguiva come un ombra il suo compagno
Pablo, un equadoregno dal volto di indio, lo stesso volto che ho ritrovato
stampato sul viso del colonnello Gutierrez, colui che pochi giorni fa ha
vinto le elezioni in quel piccolo stato dove grandi vulcani dalle bocche
materne e matrigne "governano il ritmo dei giorni e delle stagioni". Io mi
alzavo sempre tardi, alla Cite' Universitaire e il barista nero mi teneva
sempre la brioche di riserva. Una notte nella camera di Raoul, appoggiato
alla finestra, sotto una luna di fuoco, il corpo esorbitante di Pablo,che
indossava un largo poncho colorato, mi spinse via, facendomi ruzzolare,
allorche' uno strano scalpiccio risuono' dietro la porta. Poteva essere un
sicario con la pistola.

Perche' allora non era facile vivere a Parigi, tra i profughi. Io con loro,
fra loro, mi sentivo un fratello, anche se Raoul era un comunista e io no.
Perche' noi anarchici, semplicemente non siamo. O siamo, in negativo, cio'
che gli altri non sono. Siamo stranieri. Per scelta.

E non bresciani o bergamaschi, come Lei ha detto al Senato, caro Ministro
Bossi, erano quei giovani che accompagnarono Garibaldi nell'avventura dei
Mille. Erano stranieri senza patria, perche' quella anagrafica era solo un
accidente. Andarono e in quelle terre battute dalla miseria trovarono altri
fratelli, fratelli pur nell'essere tanto diversi da loro, per condizione
sociale, culturale, lingua. Visto che molti di loro erano ricchi e
possidenti e colti. Come Francesco Nullo, che dalla Sicilia e poi dall'
Aspromonte, ando' con pochi compagni bergamaschi a morire in Polonia nel
1863, in un posto dal nome geografico incomprensibile, Krzykawka, anche se
per gente come lui nessun luogo e' incomprensibile. "Cavaliere e poeta della
liberta'", come ebbe a scrivere Giuseppe Cesare Abba nella Storia dei Mille.
O come il bresciano Angelo Targhini, che fu giustiziato a Roma insieme a
Leonida Montanari a Piazza del Popolo, durante il pontificato di Leone XIII,
nell'anno del giubileo del 1825. Cronache dell'epoca riportano che erano
vietate "le conversazioni clamorose ove si cantava e si suonava e fu altresì
proibito agli osti e caffettieri di tener aperte le loro botteghe nelle ore
in cui si dispensava la parola divina".

Montanari e Targhini scelsero di morire per la liberta', non la loro ma
quella di altri stranieri come loro.
I loro corpi vennero deposti in un cimitero sconsacrato presso il Muro Torto
in cui venivano seppelliti ladri, vagabondi e donne di malaffare.
Ed oggi, secondo una delle tante leggende che rendono Roma cosi' fiabesca e
magica, "ogni notte i fantasmi dei due personaggi vagano sotto le mura con
la propria testa in mano dando i numeri da giocare al Lotto ai coraggiosi
che sostengano il loro sguardo".

A lei, caro Ministro Bossi, dedico volentieri le parole di un anarchico
romano, che ricorda ai giornalisti attenti alla ricostruzione esatta delle
parole del Potere che , se possono campare di questo lavoro, lo devono a chi
immolò la propria vita a quegli ideali e alla libertà che oggi potete
sfruttare, per scarabocchiare quei fogli bianchi che tanto sangue sono
costati. Fra tanti eroi artefici del risorgimento dovete ringraziare i vari
Leonida Montanari, Angelo Targhini, Giuditta Tavani Arquati...(che forse
nemmeno sapete chi sono) e invece pur di non spendere una riga per ricordare
quegli eventi, "sete iti a rompe li cojoni pure a li gatti de torre
Argentina...". Eh, i gatti, caro Ministro Bossi, i gatti, fratelli nel
sangue, per noi anarchici. E infine: dubito che Lei abbia tempo per andare
al cinema e voglia e talento per vedere un film di Luigi Magni, cantore
della Roma del Risorgimento. Senno' saprebbe che un bellissimo film e' stato
girato anni fa su quella vicenda di Montanari e Targhini. Si intitola "Nell'
anno del signore" e si avvale di una splendida colonna sonora. La quale
piaceva molto al nostro sommo poeta (di noi anarchici) De Andre' che per
accordare la chitarra prima dei concerti ne accennava il leit motiv:
"La bella che e' prigioniera, ha un nome che fa paura:
liberta', liberta,liberta'".