Ho mandato una mail…ed ecco non so chi la leggerà. Affidandomi ad una mailing ho gettato il mio pensiero e ciò che mi passa per il cervello, questo pomeriggio, a centinaia o forse migliaia di persone che adesso leggeranno; magari anche in America, in Asia in qualunque parte della terra. Qualcuno si chiederà se non avessi proprio niente da fare mentre scrivevo queste cose. Qualcuno ne trarrà beneficio. Ma è una possibilità che mi viene offerta dalla tecnologia… perché sprecarla? Basta affidarsi al servizio giusto e il gioco è fatto! Globalizzazione dei mercati, dell’informazione e anche della cultura! Mi fa un po’ paura questo gioco. Ciò che può essere fatto attraverso una mail da uno sciagurato come me, può essere fatto attraverso mezzi più potenti da qualcuno che magari non ha solo intenzione di esternare ciò che gli passa per la mente in un qualunque pomeriggio di primavera. Qualcuno meno sciagurato, forse più industriato nei suoi obiettivi, con qualche mezzo più potente a disposizione può conquistare la terra, o anche forse solo l’Italia! Gli ultimi anni della storia d’Italia parlano chiaro. Ma parliamo di una cosa che mi fa ancor più paura: ricordata che sono le paure di uno “sciagurato qualunque”. Quando sento l’espressione “villaggio globale” mi viene da tremare. Un villaggio consta di usanze, costumi, feste, tradizioni molto, ma molto particolari. L’altro giorno sono stato in un paesino della Capitanata (vicino Foggia) e ho partecipato ad una festa locale. Certe cose, certe espressioni culturali, certi modi di fare festa e condividere…io che ero di Taranto (250 Km di distanza) dinanzi alla “diversità” delle espressioni culturali ho anche sorriso. Ma quanto è bella questa diversità che esiste tra paese e paese, nazione e nazione, tra i popoli, le etnie. Ma anche solo tra me e il mio amico barese. Può essere la terra, questo nostro pianeta un solo villaggio? “Villaggio” non è espressione di una data cultura, di una data tradizione? Insomma che significa villaggio globale se non annientamento di tradizioni e culture? O meglio: monopolio culturale da parte di determinate tradizioni e culture. (Richiamo al commento di una foto che alluderebbe alla conquista culturale da parte dell’America apparso su “VITA” di questa settimana) La “globalizzazione”, d’altra parte, contemporaneamente, ha anche aumentato la consapevolezza delle differenze religiose, culturali che ci differenziano da un indigeno dello Zambia o dello Zaire. Grazie al potere dei mezzi di informazione…Cioè, ad un aumento della consapevolezza in tutti che ci sono delle “alterità” da rispettare e ad una migliore conoscenza di tali identità corrisponde l’atteggiamento di chi vorrebbe soppiantare ogni alterità. È un atteggiamento riflesso di determinate forze economiche che ormai hanno preso il sopravvento. Forse non esistono “soggetti” di questo atteggiamento. È un meccanismo di appiattimento asoggettuale, senza veri protagonisti al di la delle forze economiche. L’economia ormai ha sostituito ogni velleità politica che invece sarebbe sinonimo di cultura. Ieri ho mangiato al “Mc Donald”. Vorrei non farlo perché so cosa significa mangiare al “Mc Donald”. Ma mi sono ritrovato dinanzi a quella scritta in rosso e ho pensato al buon “Mc Nuggets” o al “Big Mac”…la fame mi ha soggiogato. Cosi ancora una volta sono entrato nell’esercizio; mi sono seduto dopo aver fatto il mio ordine e con il panino alla bocca ho cominciato a pensare. Anche ieri era un bel pomeriggio di primavera; ero solo e fortunatamente mi sono rimesso ancora una volta a pensare. Mi è venuto alla mente mentre mi interrogavo sul mio comportamento (oltre al fatto che avrei dovuto esternare in “confessione” la mia “canna”, che in Puglia significa “gola”… vedete!) uno scritto di Jean Baudrillard (Lo specchio della produzione, Milano 1979) laddove egli critica la distinzione marxista tra “valori d’uso” e “valori di scambio”. Questa nostra società “globalizzata” non accetta più quella distinzione, semplicemente perché è una società di consumo. Il “consumo” si è impadronito dell’uomo cosicché anche l’uomo è divenuto un oggetto di consumo. Non esiste più la “merce” atta a soddisfare il “bisogno”, perché la mercificazione di oggi produce sempre nuovi bisogni e nuovi consumi nella logica capitalistica che soppianta ogni cultura. All’interno di questo mondo “globalizzato” dall’economia, all’interno di questa “società dei consumi”, per la filosofia nascono nuovi interrogativi. Il problema è ancora più evidente in campo etico: che cosa è “giustizia” in un mondo del genere? Dobbiamo optare per una visione “universale” della giustizia o per una giustizia particolarizzante. Nel primo caso si tratterebbe di mettersi d’accordo tra culture, paesi e religioni di che cosa sia giustizia (una sorta di ethos comune) intendersi sulla giustizia in un villaggio globale. O dobbiamo favorire visioni “particolaristiche” di tali concetti? Il problema non è di facile risoluzione. Tenterò di illustrarlo.
Io mi mostro abbastanza confuso dinanzi alle due posizioni! Che cosa è la giustizia? Che cosa è la pace? In un primaverile pomeriggio chiedo aiuto. Favorire la visione particolaristica significherebbe favorire la “cultura” come “diversità”, favorire il “pluralismo” sfuggendo in un certo senso alla bufera globalizzante che tutto appiattisce. Ma favorirebbe l’interesse dei più forti e di chi meglio riesce a “vendere” cultura. Un “liberismo culturale di mercato” insomma. Favorire la visione universalizzante sarebbe espressione di una cultura “globale” e a me fa paura. Sarebbe formale e astratto, sulla base di principi “ a priori” nella più pura tradizione Kantiana che sminuirebbe valori particolari e troppo distante da pratiche contestuali e dalla storia. Una visione “metafisica” della giustizia insomma laddove metafisico è da intendersi come “al di la della realtà”, “al di là della storia”. Ecco i drammi della “globalizzazione” che si ripercuotono nella riflessione filosofica e culturale. A presto. Daniele D’Elia ---- |