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la storia del conflitto fra palestinesi e israeliani
Il conflitto fra palestinesi e israeliani
Dopo l'Olocausto gli ebrei poterono finalmente tornare nella loro terra
d'origine.
Quando tornarono in Palestina però, si accorsero che quella che una volta
era stata la loro patria ora era occupata da popoli arabi detti palestinesi.
Questi ultimi non volevano spartire la loro terra con nessuno, tanto meno
con una popolazione di lingua e religione diversa. Da allora nacque la
cosiddetta questione palestinese perché - dopo diversi conflitti - rimase
senza una sua patria e senza un suo stato il popolo palestinese. Invece gli
ebrei costituirono e ingrandirono una loro nazione: Israele. Vediamo le
tappe di questa lunga e complicata storia.
La nascita dello stato di Israele
Il 29 settembre 1947 l'Onu deliberò la divisione della Palestina (che era
sotto il controllo della Gran Bretagna) in tre parti:
· uno stato arabo (che comprendeva il 43% del territorio palestinese con
una popolazione di 800.000 arabi e 10.000 ebrei)
· uno stato ebraico (che comprendeva il 56% del territorio palestinese con
una popolazione di 500.000 ebrei e 400.000 arabi).
· Gerusalemme (circa 1% del territorio palestinese) passava sotto il
controllo internazionale in quanto città simbolo per tre religioni:
ebraica, cristiana e musulmana.
Il piano Onu fu accettato dagli ebrei ma respinto dai palestinesi e dagli
stati arabi che il 15 maggio 1948 attaccarono Israele. Scoppiò così la
prima guerra arabo-israeliana che si concluse con la vittoria di Israele.
Cosa cambiò dopo la vittoria israeliana?
· L'80% del territorio arabo venne occupato dall'esercito israeliano
· La Cisgiordania passò sotto il controllo della Giordania
· La "striscia di Gaza" passò sotto il controllo dell'Egitto
· La Palestina cessava di esistere come stato
· Più di 700.000 palestinesi emigrarono nei paesi arabi vicini; rimase in
Palestina la parte più povera e svantaggiata della popolazione.
Israele, nel 1956 e nel 1967, attaccò l'Egitto, entrò in conflitto con i
paesi arabi confinanti e occupò:
· la "striscia di Gaza"
· la Cisgiordania
· il Sinai (dell'Egitto)
· le alture del Golan (della Siria)
· Gerusalemme per intero.
Una nuova guerra scoppiò nel 1973: Egitto e Siria attaccarono Israele per
riprendersi i territori occupati da Israele. Ma senza riuscirci. I paesi
arabi reagirono bloccando le esportazioni di petrolio verso gli stati
occidentali che avevano appoggiato Israele.
Nei successivi anni il Sinai venne restituito all'Egitto ma rimase il
problema dei palestinesi senza una patria. Il numero dei profughi
palestinesi dopo tutte queste guerre era aumentato.
L'Intifada
Nel 1987 iniziò la fase decisiva della resistenza palestinese
all'occupazione israeliana nella striscia di Gaza e in Cisgiordania,
attuata con dimostrazioni, scioperi, rivolte e atti di violenza. Ha
caratteristiche di massa e la sua lunga durata nonostante le repressioni,
dimostrò definitivamente all'opinione pubblica mondiale l'insostenibilità
delle pretese israeliane al controllo dei territori occupati nel 1967 con
la guerra dei Sei giorni. L'intifada (in arabo "rivolta") era una
disobbedienza civile di massa che si diffuse rapidamente in tutti i
territori occupati. Israele rispose dapprima con metodi repressivi,
utilizzando la polizia e l'esercito, chiudendo le università e deportando i
palestinesi, nonché con sanzioni economiche, con l'aumento della pressione
fiscale e con un programma di insediamenti israeliani nei territori
occupati. Tutto ciò non fece altro che provocare una recrudescenza degli
scontri.
L'intifada indusse molti israeliani a cercare una soluzione politica. Essa
fu perciò uno dei fattori decisivi che portarono agli accordi di Oslo
(1993) tra il leader dell'OLP Yasser Arafat e il primo ministro israeliano
Yitzhak Rabin e, l'anno seguente, alla costituzione di un'Autorità
nazionale palestinese con sovranità limitata a Gaza e a Gerico, dando così
una svolta cruciale alla questione palestinese.
Verso la pace
I primi colloqui di pace tra Israele, le delegazioni palestinesi e i
confinanti stati arabi iniziarono nell'ottobre del 1991. Nel 1993 il primo
ministro Rabin e il leader dell'OLP Yasser Arafat firmarono a Washington
uno storico trattato di pace (frutto di un lungo lavoro preparatorio
svoltosi a Oslo). Il leader palestinese riconosceva a Israele il diritto a
esistere come stato; Israele si impegnava a concedere l'autogoverno
palestinese nei territori occupati, prima nella striscia di Gaza e nella
città di Gerico e successivamente in altre aree della Cisgiordania.
Nel maggio dello stesso anno, le truppe israeliane si ritirarono da Gerico
e dalla striscia di Gaza, che passarono sotto l'autorità palestinese. A
luglio, Rabin e Hussein di Giordania firmarono a Washington un accordo di
pace che pose fine a 46 anni di guerra tra i due paesi.
Lo stallo
Le trattative tra Israele e Siria nell'aprile del 1995 furono bloccate dal
disaccordo sul possesso delle alture del Golan; nello stesso mese il
governo annunciò l'espropriazione delle terre arabe a Gerusalemme
orientale. La lentezza nell'applicazione degli accordi di Oslo intanto
causava nei territori occupati un grande malcontento verso l'autorità
palestinese e un rafforzamento delle forze ostili all'accordo di pace, in
particolare i movimenti integralisti islamici Hamas e Jihad, che
intensificarono l'attività terroristica compiendo gravi attentati nelle
città israeliane. Anche in Israele si rafforzarono le posizioni di quanti
erano ostili all'accordo di pace e furono commessi diversi attentati contro
la comunità arabo-israeliana (ad esempio a Hebron, dove un militante della
destra integralista ebrea fece un'irruzione armata in una moschea uccidendo
29 persone). Ma malgrado le proteste spesso violente, il processo di pace
non si arrestò.
L'assassinio di Rabin e la crisi del processo di pace
Il 4 novembre 1995 il primo ministro Rabin fu assassinato da Yigal Amir, un
estremista ebreo; l'episodio suscitò una profonda emozione. Si scoprì che i
servizi segreti, pur a conoscenza del tentativo terroristico, non avevano
preso le misure di sicurezza necessarie.
Dal 1996 il governo israeliano ribadì più volte la necessità di rivedere
gli accordi di Oslo, sia per quanto riguardava l'autonomia palestinese,
sia, e soprattutto, per quanto riguardava la possibilità di insediare nuove
colonie ebraiche nei territori occupati. Le crisi nelle relazioni
israelo-palestinesi da allora si susseguirono, arrivando nel settembre allo
scontro armato tra esercito israeliano e polizia dell'autorità palestinese,
che causò 76 morti e centinaia di feriti.
La situazione non migliorò nel 1997, quando il continuo rinvio
dell'applicazione degli accordi di Oslo e ulteriori concessioni alla destra
religiosa da parte del governo israeliano (come l'approvazione di un'altra
colonia, la sesta, a Gerusalemme Est) cacciarono il processo di pace in un
vicolo cieco. Fino ad arrivare alla situazione attuale.
Alla base della attuale tensione tra israeliani e palestinesi c'è la
mancata attuazione dell'accordo di Oslo che aveva portato nel 1993 alla
storica stretta di mano fra Arafat e Begin di fronte a Clinton a Washington.
Quell'accordo prevedeva che entro 5 anni (quindi nel 1998) l'esercito
israeliano dovesse ritirarsi e fossero raggiunti nuovi accordi per
delineare la nascita dello stato palestinese. Invece di questi accordi il
governo israeliano ha consentito che avvenissero nei territori occupati e a
Gerusalemme nuovi insediamenti di coloni israeliani.
Fonti:
· Viberti, "Oltre il Duemila", Ediz. Agorà
· De Vecchi, Giovannetti, Zanette, "Moduli di storia - Il Novecento",
Ediz.Scolastiche Bruno Mondadori
· Castagnetti, Il presente come storia, Ediz.Clio
· Enciclopedia Encarta '99
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Ricerca scolastica realizzata da Daniele Marescotti