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Capitini: la rivoluzione nonviolenta



Testo di Aldo Capitini
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Il Centro si associa alla pressione dal basso

Lettera di religione n. 55

E' noto che Roma antica nel suo Impero non era contraria agli dei dei
popoli che soggiogava (carcere subiectis et debellare superbos, diceva
Virgilio: risparmiare chi si sottomette, e colpire con la guerra chi sta
superbo), e tutti li accoglieva tanto che costrui' il Pantheon. 
Come mai non accolse Gesu' Cristo? Perche' questi era un "dio" dal basso e
rivoluzionario, investiva cioe' la societa' romana. 
Ricordo questo a coloro che accentuano lo spiritualismo come rapporto
individuale con Dio, e non si congiungono con la trasformazione della
societa', cioe' con le moltitudini che ad essa tendono. 
Dico loro: la societa' attuale, nel suo Impero, fara' posto ai vostri vari
spiritualismi, ma contrastera' duramente a noi che miriamo a ricostruire
dalle fondamenta e non veniamo a patti sull'essenziale, che e' collocare la
realta' di tutti al posto del potere di pochi, fondato sulla forza, sul
capitale e sulle leggende. 
In questa opposizione sappiamo di essere esplicitamente o potenzialmente
con moltissimi. 
Ma qui sorge il problema del rapporto tra noi e le moltitudini, dalla parte
stessa dell'opposizione. 
La soluzione sta nello svolgimento teorico-pratico della idea di Centro:
centro di fede e di lavoro, aperto al servizio verso tutti, che e' gia' un
superamento nel campo religioso dell'idea di chiesa o societa' o cerchio di
battezzati, di buoni, di salvati, che si distingue in eterno dai non
battezzati, dai cattivi e miscredenti, dai dannati. 
In un mondo in cui si estendono imperi e controimperi, abusando dei poteri
ricevuti o presi ai cittadini, vedo nei Centri aperti la ripresa del
potere, il preannuncio di un decentramento che restituisce valore ai
rapporti tra persona e persona, ai controlli continui dal basso, al ritmo
stesso della vita liberato dall'imprigionamento nelle supercitta'.
I Centri sono la forma istituzionale della nuova vita religiosa e sociale. 
Centro puo' essere una persona sola o un gruppo che sta al livello del
"basso", associandosi continuamente ad esso e, nello stesso tempo, attuando
il metodo nonviolento. 
E', dunque, Centro di direzione, di promovimento e di depuramento dalla
violenza: e' un'aggiunta che serve ad esprimere e premere nonviolentemente
dal basso. 
Quando Gesu' diceva che il regno dei cieli soffre violenza, et violenti
rapiunt illud (e i violenti tentano di prenderlo), probabilmente alludeva
alla pressione dal basso verso la liberazione, pronta ad usare la violenza
per impeto; ed egli (fu il suo dramma con i compagni che non si rendevano
ben conto della differenza e fu la confusione che fecero i romani
condannandolo), diversamente dagli zeloti, si affidava alla forza di Dio e
non usava la violenza: la soluzione fu che egli era "centro" con la parola,
il sentire, la testimonianza e la croce, Centro dalla parte
dell'opposizione al vecchio mondo, e Centro che sta al livello degli umili,
pur esprimendo la loro pressione nel modo nonviolento. 
Cioe' noi non dobbiamo pensare, quando parliamo di pressione e controllo
dal basso, ad un'azione immediata e violenta, al modo delle rivoluzioni o
sommosse che poi producono il Terrore, ma ad una collaborazione del Centro
con la pressione dal basso, Centro che esprime la pressione stessa nei
termini dei valori che gia' il Centro deve vivere, aprendosi alle
moltitudini al loro livello. 
Se il Centro non si carica di meriti, nella profonda esperienza dei valori
spirituali, il suo compito di promovimento e di depuramento viene ad
impiccolirsi, e se non sta aperto a cio' che e' dal basso, torniamo ad una
concezione individualistica e privatistica, e gli stessi valori si
disseccano. 
Dunque il Centro cerca continuamente di attuare i migliori valori, e nello
stesso tempo sta aperto e unito al livello delle moltitudini lavorando e
vivendo con loro, in nome di tutti. 
Non esclude nessuno dal proprio interesse; da' cio' che puo' senza
controllare cio' che puo' ricevere in conseguenza; ha fiducia che ogni
essere possa svolgersi e far meglio; e arriva a riconoscere che e' aiutato
da tutti nel fare il bene (realizzare i valori), cioe' riceve un aiuto
continuamente e misteriosamente dalla compresenza di tutti ed e' aperto al
servizio di tutti, anche i piu' lontani e "planetari". 
Il primo compito del Centro (una persona o un gruppo) e' di elaborare,
studiare, sperimentare, insegnare, il metodo nonviolento, utilizzando le
esperienze gia' fatte, le iniziative creatrici dei singoli e promovendo
organicamente applicazioni delle tecniche del metodo nonviolento. 
Da cio' un triplice lavoro: di studio e raccolta di informazioni di cio'
che e' stato fatto ed e' fatto col metodo nonviolento; di insegnamento in
riunioni, corsi, pubblicazioni (e promovendo l'insegnamento delle tecniche
nonviolente in tutte le scuole e nei centri sociali per adulti); di gruppi
di azione diretta nonviolenta recantisi in tutte le manifestazioni dal
basso, politiche, sindacali, giovanili. 
In secondo luogo il Centro interviene perche' tutti abbiano la informazione
piu' larga e piu' obbiettiva di tutti i fatti e tutti i problemi, e
percio', secondo le sue forze, controlla la radiotelevisione e stimola
l'istituzione di "giornali quotidiani comuni" pagati dagli enti pubblici. 
Egli si pone davanti un compito grandioso, che costituisce una profonda
riforma nella societa' italiana: istituire Centri di orientamento sociale
(i C.O.S. che vissero a Perugia. e altrove dal 1944 al 1948), per
periodiche riunioni e discussioni aperte a tutti su tutti i problemi dagli
amministrativi e locali ai generali e politici, in tutti i villaggi di
campagna e quartieri cittadini (secondo una divisione territoriale ancor
piu' piccola della parrocchia). 
Da questo pulsare di Centri sociali viene l'appoggio agli organismi
collettivi, cooperativi, pubblici, che possono sorgere ad integrare gli
enti gia' esistenti (Stato, regione, provincia, comune). Questa e' una
riforma che opera per aggiunta, un'aggiunta "dal basso" alla societa'
italiana. 
Per attuare questa riforma, che deve essere sostenuta dalla popolazione
fino a premere sulle amministrazioni pubbliche perche' riconoscano le
funzioni dei Centri per la nonviolenza e diano loro i poteri e i mezzi, e'
necessario anzitutto che sorgano Centri per la nonviolenza esemplari, che
diano, per la loro attivita' e il loro sacrificio, le garanzie alla
popolazione di saper esplicare quei compiti. 
Lo scopo di questa riforma "omnicratica" e' di far vivere ad ogni abitante
la sua diretta presenza nella cosa pubblica, cominciando fin da ora una
trasformazione che sottometta le esecuzioni tecniche al parere piu' largo e
renda palesi tutti gli aspetti delle amministrazioni pubbliche. 
Se si ritiene che la classe dirigente attuale non voglia rinunciare ai
privilegi, agli abusi, accettando una riforma apparentemente innocua, ma
sostanzialmente rivoluzionaria, di "rivoluzione aperta", noi non dobbiamo
scoraggiarci, ma proseguire a formulare e particolareggiare questa "
aggiunta " realizzandola gia' in piccolo per quanto possiamo e con l'aiuto
di chi voglia darcelo. 
Questa opera del Centro si fonda sulla fiducia che esso deve saper ispirare
mostrandosi attivamente capace di accumulare valori e meriti, fiducia che
il Centro e' per tutti (che ognuno nell'apertura del Centro puo' ritrovare
se' e le persone care); e che da questo rispetto e affetto per tutti deriva
una forza, un potere, che svolgendosi sara' totale e capace di realizzare
tutto (rispettare e amare uno e' sempre forza, rispettare e amare tutti e'
una forza che svolgendosi, diviene totale). 
Se si tende a conquistare il potere con ogni mezzo per poi trasformare le
strutture della societa' si hanno due difficolta': 
1. la resistenza dei difensori delle strutture precedenti puo' essere
fortissima, spingendo all'uso di distruzioni gravissime, di tipo barbarico,
tanto piu' che davanti a un assalto di tal genere, molti, anche senza
ragione economica, si schierano dalla parte conservatrice; al vedere la
forza di resistenza di tale parte, ecco che i rivoluzionari violenti,
essendo loro impedito l'uso della violenza, finiscono col non far nulla e
intristiscono; 
2. l'uso della violenza lascia residui gravissimi, produce conseguenze
antirinnovatrici; si veda per es. la mancanza della liberta' di
informazione, di critica, di espressione, di associazione, che e' costata
(ancora, dopo quarantacinque anni) la trasformazione violenta delle
strutture in Russia; non vale dire che "il fine giustifica i mezzi" quando
i mezzi hanno conseguenze che costano troppo rispetto al fine. 
Invece l'avvio di una rivoluzione come e' qui prospettata non incontra
queste difficolta' perche' chi sceglie il metodo nonviolento ha sempre
qualche cosa da fare, e' sereno e non intristisce, perche' ha fiducia che
anche la sua piccola azione di stabilire incessantemente solidarieta', e'
un passo in avanti, e vede anche che la rivoluzione e' gia' avvenuta in lui
stesso, e dal ritardo rispetto al rivoluzionario violento (che puo'
tuttavia fallire, come piu' volte) viene la capacita' di produrre veramente
una societa' nuova. 
Forse come il meglio del cristianesimo puo' darsi che si attui in
un'universale religione aperta che non usi piu' il termine e la lettera del
cristianesimo tradizionale, cosi' il meglio del comunismo si attuera' in un
federalismo nonviolento dal basso senza piu' quelle forme ritenute una
volta inscindibili dalla rivoluzione che doveva portare a nuove strutture,
a nuovi animi, a un nuovo modo di esercitare il potere. 
Perugia, 16 agosto 1963