La Pedagogia della Shoah
- Subject: La Pedagogia della Shoah
- From: "laura tussi" <tussi.laura at tiscalinet.it>
- Date: Mon, 19 Oct 2009 15:29:08 +0200
Cara Amica, Caro
Amico,
Moni Ovadia sostiene che l’antisemitismo prevede un nemico non per
posizione, ma per definizione, ossia un nemico ontologico, per essenza umana e
per pensiero altro, nella concezione del nazismo che è senza precedenti nelle
altre dittature. Laura Tussi
LA PEDAGOGIA DELLA SHOAH di Laura Tussi Moni Ovadia sostiene che l’antisemitismo prevede un
nemico non per posizione, ma per definizione, ossia un nemico ontologico, per
essenza umana e per pensiero altro, nella concezione del nazismo che è senza
precedenti nelle altre dittature. La Shoah diviene oggetto di fiction televisive e
cinematografiche; è indagata e trattata in innumerevoli opere narrative; viene
analizzata nel tentativo di enucleare concettualmente e razionalmente il suo
mistero che resta indecifrabile. È accaduto, nella vicenda storica dell'umanità,
un evento mostruoso, enorme, non solo per la quantità delle vittime, ma anche
per il numero di colpevoli, di complici sottomessi e obbedienti, di indifferenti
ottenebrati, obnubilati e alienati dal sistema del terrore nazista. L'esigenza
spasmodica di comprendere conduce dalla storia alla microstoria, degenerando
persino nella pornografia della Shoah, nella morbosità dell'incesto storico, di
fantasie maniacali fino al recondito delle fosse comuni e delle camere a gas,
nel fetore nauseabondo del male, nel gusto del proibito, nell'umiliazione dei
corpi nudi. Una pornografia della Shoah che alimenta una distanza abissale
rispetto alla sobrietà del racconto di Primo Levi, elaborato come faticosa
conquista e riflessione pacata e cogente di razionalità, trattenuta come lucida
e disincantata e sobria forma di pudore, che è monito attivo e militante, fra
memoria delle atrocità del passato e insensibilità per la xenofobia
contemporanea. La lezione della storia deve sempre tradursi in un
interrogativo attuale che si ponga domande sulla nostra disponibilità a
sopportare nuovamente la discriminazione e l'esclusione del diverso, prima
ridotto a ospite ingrato ed indesiderato e poi destinato all'eliminazione.
La pedagogia della Shoah rappresenta uno strumento
prezioso che deve adeguarsi alla novità del contesto multietnico, suscitando
interrogativi, nel promuovere comportamenti, inducendo sempre a mettersi nei
panni dell'altro. Altrimenti i propositi didattici e culturali di
immedesimazione nella tragedia ebraica possono risultare controproducenti.
La didattica della storia ha stabilito una giornata
della memoria in cui questo tema viene trattato nelle scuole, cercando di
evitare il rischio dell'ostentazione della celebrazione. Una soluzione all'errore della retorica dell'Olocausto è
l'insegnamento da parte dei testimoni in percorsi didattici che prevedano la
narrazione autobiografica. L'importanza della memoria di vita e
dell'autonarrazione risulta compresa in un approccio didattico di pedagogia
narrativa finalizzata a reagire all'alienazione del razzismo e della xenofobia.
La Shoah sembra incomprensibile e si sono addotte spiegazioni economiciste,
psicologiste che si fermano ad un punto, oltre il quale subentra il demoniaco,
il diabolico, la barbarie. Attraverso la pedagogia dell'internamento si comprendono
fenomeni di espropriazione, alienazione e violenza, dove il campo di sterminio
diventa un laboratorio pedagogico per “costruire soggetti distrutti”, quale
ossimoro e contraddizione da cui nasce un'antropologia dove si costruisce un
setting pedagogico, in cui si sviluppano pratiche di contrasto, in una pedagogia
della resistenza minimale e infinitesimale. Adorno sostiene che “dopo Auschwitz
non è più possibile scrivere poesie”, dove invece occorre rimemorare, fare
memoria, ripresentificare il tempo nel diritto all'ascolto dei testimoni, con il
dovere di capire, di ricordare e chiedere continuamente il perché.
Primo Levi nell'opera “I sommersi e i salvati” evidenzia
l'importanza attuale e contemporanea della testimonianza, con la narrazione che
diviene riscatto della propria individualità. L'Associazione Nazionale Ex Deportati ANED ha intrapreso
una ricerca sulla deportazione femminile, sulle donne deportate, più deboli e
per questo più restie a testimoniare e a raccontarsi, dove, secondo Levinas, il
nazismo si è avventato contro “il volto dell'altro”. I testimoni e gli insegnanti sono in rapporto con la
comunità educante per la trasmissione di memoria storica fra le generazioni. La
scuola è al centro della comunità educante attraverso la memoria della
testimonianza che rappresenta il filo rosso educativo che unisce i vari enti di
attività culturale e di ricerca. La scuola è una comunità di ricerca volta a mantenere
attuali i valori costituzionali. Nel 1996 il ministro dell'istruzione inserisce
la storia contemporanea nell'ultimo anno delle scuole superiori, dove si
ripresenta la difficoltà di coniugare la memoria individuale e collettiva e
l’impegno per gli insegnanti nel dialogo tra generazioni. Dalle riflessioni di
Moni Ovadia, esponente e cultore della tradizione ebraica Yddish, nei suoi
discorsi in teatro e in pubblico, si evince che la forma di resistenza più
straziante e lancinante concepibile dalla mente umana si rivela tramite il mezzo
sublime della follia creativa, della creatività artistica, nella pedagogia della
resistenza, per la salvezza e sopravvivenza della dignità umana, contro la
barbarie e la violenza, perché il carnefice non potrà mai reprimere la
dimensione umana individuale e lo spirito creativo. Infatti nella simbologia del
popolo ebraico risulta presente il senso del dio vivente in ogni creatura,
concetto opposto rispetto ai canoni nazisti che propongono simboli di morte e
tenebre, nell'oscurantismo della ragione, mettendo al bando le opere culturali.
Nella retorica di regime sussiste una crudele dicotomia tra vita e morte,
cultura e ignoranza, tenebre e luce, vitalità e annientamento, differenza e
omologazione. Un’interpretazione biblica cita che se non ci fosse la
dimenticanza, l'uomo penserebbe alla propria morte, nella scelta traumatica tra
memoria e oblio. Nel capitolo terzo del Qoelet si dice che vi è tempo per fare
memoria e tempo per astenersi dal ricordo, dove il momento dell'oblio può
mettere in discussione il passato. A livello sociale, si giunge all'esigenza di smemoratezza, occultando le fonti storiche e riabilitando i colpevoli. Attualmente sussiste un mare magnum di stimoli, informazioni, notizie, attraverso i mezzi informatici, i musei, gli archivi, i media, per cui siamo immersi nei ricordi, ma in poca memoria e scarsa capacità e strategia selettrice, dove subentra mancanza di riflessione critica rispetto alla confusione. Le distorsioni della memoria comportano l’imbarbarimento generale nelle relazioni interpersonali, nel conflitto etnico e nella pretesa purezza della superiorità razziale, nel conflitto di civiltà dopo il fatidico 11 settembre, come “profezia che si autodetermina”, nell'oblio che predica la xenofobia, dimenticando quando gli stranieri, gli extracomunitari e i dannati della terra eravamo noi. Laura Tussi
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