Re: L'azienduola. Racconto semiserio sulla controriforma della scuola



Caro Lucio, ho letto il tuo raccontino, che è veramente bello nella sua amarezza. Sono, insime ad alcuni amici, il redattore di un piccolo sito ( un centinaio di contatti) che si occupa di solidarietà,educazione alla pace, e temi legati alla disabilità.AQbbiamo raccontato anche esperienze alla scuola. Vorrei riprodurre il tuo racconto. Ti dispiace?. L' indirizzo del sito è: 
http://www.utenti.lycos.it/lalineagotica/

Un saluto dalla redazione de Lalineagotica, 
Umberto Brancia



			
-----Messaggio Originale----- 
Da: "Lucio Garofalo" <garofalolucio at tiscali.it> (by way of Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>)
A: educazione at peacelink.it
Data invio: Wed, 23 Mar 2005 18:19:55 +0100
Oggetto: Re: L'azienduola. Racconto semiserio sulla controriforma della
  scuola

S@lve.
Vi invio questo breve articolo che intende raccontare, in maniera un po’ 
ironica, il mio difficile rapporto con la famigerata controriforma della 
scuola.

L’AZIENDUOLA

Ormai sono cosciente di lavorare in un’azienda!
Quando, anni fa, decisi di fare l’insegnante e fui assunto nella scuola in 
quel ruolo, non immaginavo certo di dover operare in un’azienda. Anzi, ero 
convinto che il mondo della scuola fosse totalmente estraneo ed immune da 
ogni logica capitalista. Anche per questo scelsi l’insegnamento, che 
reputavo una professione creativa e pensavo offrisse molto tempo libero, un 
bene più prezioso del denaro!
A distanza di anni dal mio esordio lavorativo, eccomi catapultato in un 
ingranaggio di fabbricazione industriale, con la differenza che nella 
scuola non si producono merci di consumo. Del resto, non mi pare di aver 
ricevuto una preparazione idonea ad un’attività manifatturiera - ma si sa, 
viviamo nell’era della “flessibilità”!
Ormai sento sempre più spesso adoperare un lessico tipicamente 
imprenditoriale: termini e locuzioni come “economizzare”, “profitto”, 
“utenza”, “competitività”, “produttività”, “tagliare i rami secchi” e via 
dicendo, sono diventati di uso assai comune, soprattutto tra i cosiddetti 
“dirigenti scolastici” che non sono più esperti di psico-pedagogia e 
didattica, ma pretendono di essere considerati “presidi-manager”! 
Perlomeno, in tanti si proclamano e si reputano “manager”, ma sono in pochi 
a saper decidere abilmente come e perché spendere i soldi, laddove ci sono.
Inoltre, anche nella Scuola Pubblica si sono ormai affermati tipi di 
organigramma e metodi di gestione mutuati dalla struttura manageriale 
dell’impresa neocapitalista.
All’interno di questo assetto gerarchico sono presenti vari livelli di 
comando e subordinazione. Si pensi, ad esempio, al “collaboratore-vicario” 
che, stando all’attuale normativa, viene designato dall’alto, direttamente 
dal dirigente ( prima, invece, era il Collegio dei docenti che eleggeva 
democraticamente, cioè dal basso, i suoi referenti, a supportare il preside 
nell’incarico direttivo ). Si pensi alle R.S.U., ossia i rappresentanti 
sindacali che sono eletti dal personale lavorativo, docente e non docente. 
Si pensi alle “funzioni strumentali”, ossia le ex “funzioni-obiettivo”.
In altri termini, si cerca di emulare, in maniera comunque maldestra, la 
mentalità economicistica, i sistemi ed i rapporti produttivi, i 
comportamenti e gli schemi psicologici, la terminologia e l’apparato 
gerarchico, di chiara provenienza industriale, all’interno di un ambiente 
come la Scuola Pubblica, cioè nel contesto di un’istituzione statale che 
dovrebbe perseguire come suo fine supremo “la formazione dell’uomo e del 
cittadino” così come detta la nostra Costituzione  (altro che fabbricazione 
di merci! ). E’ evidente a tutte le persone dotate di buon senso o di 
raziocinio, che si tratta di uno scopo diametralmente opposto a quello che 
è l’interesse primario di un’azienda, cioè il profitto economico privato.
La Mor-Attila e i vari “manager” della scuola, in buona o in mala fede 
confondono tali obiettivi, alterando e snaturando il senso originario 
dell’azione educativa, una funzione che è sempre più affine a quella di 
un’agenzia di collocamento o, peggio ancora, a quella di un’ area di 
parcheggio per disoccupati permanenti.
Ma perché nessuno mi ha avvertito quando feci il mio ingresso nella scuola?
Probabilmente, qualcuno potrebbe obiettare: “Ora che lo sai, perché non te 
ne vai?”.
Ma questa sarebbe un’obiezione aziendalista e come tale la rigetto!

Lucio Garofalo, insegnante di Lioni (Avellino)


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