06/09 Firenze: Saperi di scuola



COMUNICATO STAMPA




Saperi di scuola
Dialogo a più voci sulla scuola dell'Europa prossima ventura

FIRENZE Sala dell'Arci, piazza dei Ciompi 11

6 settembre 2003, ore 10 - 18



école, la rivista di idee per l'educazione,  invita insegnanti, studenti,
cittadine e cittadini, associazioni, movimenti a costruire insieme nuove
cartografie di saperi, un catalogo di idee e proposte per dare identità e
senso alla scuola pubblica europea.


Il seminario Saperi di scuola è una sede che la rivista offre alla
discussione di un'area alla quale si sente appartenente.

In allegato un testo che proponiamo alla discussione ? una sintesi delle
questioni riguardanti alcuni dei principali nodi al centro
dell'elaborazione di école ? che intende essere solo uno strumento di
lavoro, un contributo per avviare il dibattito. Lo vorremmo discutere
insieme prima di partire per il Forum Europeo di Parigi, dove temiamo assai
poca attenzione possa essere riservata ai temi della scuola.




La redazione di école




Info: tel. 339.1377430, 031.268425

coecole at tin.it

http://www.scuolacomo.com/ecole




Saperi di scuola
Dialogo a più voci sulla scuola dell'Europa prossima ventura
FIRENZE Sala dell'Arci, piazza dei Ciompi 11
6 settembre 2003, ore 10 - 18

Materiali preparatori a cura della redazione di école

Un luogo per la scholé
Per una scuola europea, non eurocentrica

Si può spingere l'autonomia delle scuole in direzione dell'autogestione,
ampliando progressivamente gli ambiti di discussione e gli interstizi di
libertà all'interno dell'istituzione. Per questo non si può attendere per
legge una estensione di libertà, la libertà la si riconquista attraverso il
confronto e il conflitto.
La scuola è oggi in una profonda crisi di senso che viene da lontano. In
lotta con altri mezzi più potenti di trasmissione del sapere, non riesce
più a garantire nemmeno quel disciplinamento di corpi e menti per cui è
nata. D'altra parte, nel suo assetto tradizionale, è del tutto inadeguata a
far fronte all'attacco della globalizzazione neoliberista che trasforma i
saperi in merci, i soggetti in utenti, le istituzioni in servitori di un
mercato sempre più schiacciato sui grandi gruppi oligopolistici. I processi
in corso _ la privatizzazione neoliberista e la trasformazione tecnologica
che crea nuovi e più potenti mezzi di trasmissione _ stanno di fatto già
trasformando la scuola. La scelta è se cambiare come vorrebbero i poteri
dominanti, oppure se imprimere una direzione diversa al cambiamento in atto

È possibile passare da una scuola come una struttura di disciplinamento, al
cui centro stanno le procedure di controllo e d'esame, a un luogo di
formazione dell'identità, di senso e di ricerca culturale, di convivenza e
di incontro?
Perché avvenga, è necessaria una profonda trasformazione culturale
dell'insegnare e della scuola. Esistono strumenti, paradigmi, epistemologie
che possono sostenere e accompagnare un tale cambiamento di fondo:
complessità, ecologia, concezione costruttivistica dell'educazione e del
sapere, riflessione femminile, possono diventare gli ambiti privilegiati di
questo processo di trasformazione e auto-formazione continua.


I soggetti dell'educazione

Questo cambiamento deve però partire dal basso, deve rimettere in gioco i
soggetti dell'educazione, re-istituire la scuola come uno spazio in cui la
formazione e l'auto-formazione si intersecano, in cui la socializzazione
non sia soltanto custodia e obbligo, ma anche assunzione di decisioni
attraverso processi di decisione e deliberazione collettiva.
Uno spazio per crescere e per discutere, una polis dove i cittadini
acquistano un'identità anche nel coinvolgimento collettivo, insomma una
scuola scholé, spazio pubblico che si istituisce per sottrarsi alla logica
mercantile del profitto, del lavoro e dell'urgenza. Per far questo, c'è
bisogno di una prassi educativa che rovesci il senso dello stare a scuola e
dell'imparare. Una scuola aperta agli scambi e agli incontri, che coltivi
la saggezza pratica, come capacità di rapporto con gli altri, con il mondo,
capacità di riflessione e di dibattito, che è la base di ogni cittadinanza
consapevole nel mondo.


Organismo vivo

Si tratta di restituire alla scuola quella dimensione non di isola
nell'oceano, ma di organismo inserito nell'ambiente, che invece di fingere
superiore intangibilità, impara dall'ambiente e trasforma per i propri fini
interni ciò che la circonda. La scuola, istituzione deputata all'istruzione
formale è un organismo che non apprende, fondamentalmente perché non vive,
e l'apprendimento coincide con la vita.
In questo senso la scuola potrebbe essere concepita anche come uno
strumento, una lente di ingrandimento per osservare e analizzare ciò che la
circonda. Uno strumento per l'analisi e la trasformazione sociale. Punto di
partenza per lavori di ricerca e analisi del territorio, delle
problematiche sociali, economiche e politiche. Apertura all'esterno:
arcipelaghi di scuole connesse in rete.


Una scuola diversa è possibile

Una scuola diversa è possibile, non lontana da quelle che abitualmente
abitiamo. Comincia dalle cose semplici, superflue ed essenziali: dalla
bellezza e dalla cura dello spazio in cui vivere e dell'ambiente
circostante; dagli spazi di socialità che rendono la scuola qualcosa di più
e di diverso da una scuola azienda rivolta al profitto.
Un luogo dove riprendere e utilizzare le esperienze e la tradizione dei
metodi attivi per estenderli progressivamente; dove imparare attraverso le
esperienze, in contesti di apprendimento ricchi, che pongano al centro del
lavoro il fare e la creatività. La didattica diventerebbe così l'arte di
costruire ambienti adeguati per l'apprendimento e per imparare a imparare.
C'è tutto un tempo dell'apprendimento da reinventare per evitare la
parcellizzazione oraria in favore di aree e di aggregazioni teoriche e
pratiche da sperimentare sulla base della discussione interna e con altre
scuole in rete. Non dunque luogo di frammentazione tayloristica del tempo,
ma piuttosto luogo di incontro e di sintesi, di costruzione collettiva
della complessità.
E non è per una moda che bisogna far entrare le nuove tecnologie a scuola.
La tecnologia oggi, nel lavoro come a scuola, è in grado di liberarci dalle
occupazioni più ripetitive in modo leggero, lasciando più spazio e tempo ai
rapporti umani, al gioco e alla creatività.

 Una scuola laica per l'Europa

Viviamo in una situazione contraddittoria: alla mondializzazione culturale
e alla diffusione planetaria di modelli di consumo e di comunicazione si
accompagnano i localismi delle piccole patrie, i particolarismi etnici e
religiosi, i comunitarismi con vocazioni organicistiche

È anche un'epoca di accentuata "secolarizzazione" e laicizzazione dei
comportamenti e insieme di rinascita del sacro, spesso nella forma di
intolleranze e integralismi. E, dal punto di vista laico, anche il progetto
di Costituzione presentato al Consiglio europeo riunito a Salonicco il 20
giugno 2003 è insoddisfacente. Non tanto per il preambolo, che richiama
genericamente le "eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa",
quanto per l'articolo 51 che dichiara di rispettare lo status delle chiese
e delle associazioni religiose previsto dalle legislazioni nazionali (e
dunque i privilegi di cui godono le confessioni di maggioranza in molti
Stati) e afferma l'intenzione di mantenere "un dialogo aperto, trasparente
e regolare" con tali chiese, aprendo quindi la strada a una consultazione
permanente delle associazioni religiose e ad una influenza istituzionale
che in un'Europa laica non dovrebbe esserci.


Libertà di pensiero e rispetto della pluralità

Per noi laicità significa innanzitutto affermazione della libertà di
pensiero e della libera manifestazione di tutte le convinzioni filosofiche
e di tutte le credenze religiose, nei limiti del rispetto dei diritti
fondamentali di uomini e donne, dei bambini e delle bambine, delle
minoranze acquisiti con lotte secolari e riconosciuti nelle Carte dell'ONU,
dell'UNESCO e dell'Unione Europea.
Pur sostenendo la libertà di pensiero, i laici sono intransigenti nel
combattere i comportamenti ispirati al razzismo, al fascismo, al sessismo e
ad ogni forma di pensiero autoritario e totalitario (i limiti della
tolleranza sono definiti solo dall'intolleranza altrui).
Essere laici significa riconoscere la pluralità degli individui e dei
gruppi come struttura irriducibile e costitutiva della realtà umana. E il
rispetto per la pluralità implica non la sopportazione dell'opinione
altrui, ma il pieno e positivo riconoscimento della diversità. La laicità
sostiene la diversità culturale contro l'uniformazione _ economica,
linguistica, sociale. Questa posizione non implica però l'accettazione
acritica di ogni cultura: "non tutto è da rispettare in ciò che si propone
come cultura" (Pena-Ruiz). Un pericolo che corrono le attuali società è
quello della "sommatoria multiculturalista" che tende a sfaldare il tessuto
civile in comunità autoreferenziali, tendenzialmente integraliste. Il
singolo è protetto solo se esiste uno spazio pubblico che lo tutela contro
le pretese delle comunità e garantisce il diritto dell'individuo a vivere
come crede più opportuno la sua eventuale "appartenenza" o "non
appartenenza".


Laicità dello Stato

Uno Stato non privilegia nessuna posizione filosofica o religiosa, tutela
la libertà di ognuno e garantisce parità di trattamento per tutti i
cittadini indipendentemente dalle posizioni politiche, dalle credenze
religiose, dagli orientamenti sessuali.
Noi siamo per la completa separazione delle istituzioni pubbliche rispetto
alle associazioni confessionali che appartengono alla sfera della società
civile, dove le diverse concezioni del mondo possono competere liberamente.
Pretendere di imporre, attraverso leggi dello Stato, particolari sistemi di
valori e scelte etiche (e bioetiche) a chi non le condivide è clericalismo.
Pretendere posizioni di privilegio per determinate confessioni religiose
maggioritarie (in Italia, per esempio l'insegnamento della religione
cattolica nella scuola dello Stato).
La sfera dei diritti fondamentali, costituzionalmente protetta, deve essere
sottratta al principio di maggioranza e alle imposizioni delle maggioranze.


L'ascolto e l'apertura verso gli altri

La laicità si oppone anche alla tirannia della "legge del mercato" che
sfrutta a fini privati non solo gli esseri umani, ma anche le risorse
naturali del pianeta. Occorre promuovere un futuro dell'umanità fondato
sulla solidarietà e sulla cooperazione, sulla creatività e sul pieno
sviluppo della persona per dare ai cittadini un autentico potere di
decisione e di azione nella propria realtà sociale e culturale.
L'istruzione è un diritto per tutti. Deve essere pubblica e svincolata
dalla logica del mercato che cerca di condizionare l'insegnamento e di
piegarlo agli interessi ed all'ideologia dei gruppi economici dominanti,
introducendo modelli mercificanti e aziendalistici nel settore
dell'educazione.
La democratizzazione della cultura e dell'educazione non deve andare nella
direzione del consumo di massa di prodotti scadenti e standardizzati, ma
deve favorire lo sviluppo di ciascuno mettendo a disposizione mezzi e
strumenti necessari alla costruzione di uno sguardo critico sulla propria
cultura e su quella altrui, formando ragazzi ed adulti all'ascolto ed
all'apertura verso gli altri.
La scuola pubblica è il reale spazio di confronto e di crescita di una
collettività: è il luogo dove le diverse posizioni possono emergere,
riconoscersi, confrontarsi. Per questo, mentre respingiamo ogni pressione
per il finanziamento statale delle scuole private, siamo convinti che la
scuola pubblica debba avere tutto il sostegno, finanziario e culturale, per
svolgere la sua funzione democratica, laica e pluralista, nella quale tutti
possano riconoscersi.

 Il respiro della scuola

L'ambiente naturale e culturale che circonda una scuola, la sua dimensione
ravvicinata regionale, non possono ridursi a bacino d'utenza, cioè ad un
servizio reso a una committenza locale. Più si approfondisce il discorso
sulla scuola, più si allarga il suo orizzonte di riferimento _ e si
incontra in quello spazio istituzionale tutta la geografia culturale e di
storie del mondo

La scuola deve respirare con tradizioni, economia, paesaggi che la
circondano; offrire elaborazione del sapere, ricevendo stimoli, supporto,
risorse. E i segmenti finali della formazione faranno riferimento a
percorsi professionali che connotano il territorio, tuttavia sapendo che
sempre meno i destini lavorativi dei giovani saranno circoscritti alla
regione d'appartenenza. Sapendo che la formazione di base è tutt'altra
cosa, indirizzata ad un orizzonte gratuito del sapere, alla cittadinanza,
all'indipendenza personale: a tutt'altri territori insomma, molto più vasti
e personali. Diversamente "economici".
Il livello regionale dovrebbe dialogare con quella formazione estesa e
profonda al non-regionale - perché ogni ambiente locale è attraversato
dalle reti globali, così come ogni discorso sulla globalizzazione ha senso
nella concretezza delle "ecosfere" ravvicinate che ne sono il materiale e
l'immaginario, l'oggetto e il soggetto.


Scuola statale, non dello Stato

Nella crisi dello stato-nazione la questione della scuola statale è una
questione di garanzie: garanzia della scuola come prerequisito della
democrazia, connotata da pluralismo, libertà e unitarietà; della laicità di
una nuova sfera pubblica, luogo di confronto fra soggetti e soggettività
diverse, né giardino privato di famiglia, né apparato burocratico, né
scambio competitivo di mercato.
In un certo senso una scuola statale ma non dello Stato, che dovrebbe
essere una specie di "mediatore evanescente": istituire le sue scuole come
funzione della collettività (e non servizio alla persona), per
riconsegnarle immediatamente alla società affinché siano pubbliche, cioè
della società aperta, pluralistica, organizzata e garantita da norme
generali per evitare esclusioni, recinzioni, enclosuresŠ
Lo stato avrebbe allora il compito di garantire un'istituzione sociale
costituzionale, il luogo continuamente costituente di una cittadinanza
senza confini, nuova repubblica degli incontri; lo spazio aperto di un
sapere pubblico che ricostruisca la polis oltre gli stati-nazione e gli
eserciti. Un sapere che dovrebbe partire da pratiche
d'insegnamento-apprendimento abbastanza libere da essere dotate di senso;
da esperienze e contenuti capaci di trasmettere e costruire mondi comuni.
Una scuola pubblica dove gli insegnanti rivendichino come proprio ruolo la
riflessione sul sapere; dove la dimensione della relazione fra diversi/e
connoti la vita, dove i contenuti non siano un repertorio di tradizione
semplicemente da trasmettere.


Il rischio della scomparsa dell'agorà

Nella globalizzazione è il rischio di una modernizzazione economicistica
colonizzante la sfera del pubblico (e del personale, tradotto in
spettacolarizzazione del privato); rischio di scomparsa dell'agorà,
occupata dai supermercati o dalle televisioni o dalle guerre, a protezione
di solitudini lussuose e patrie private.
Si deve allora lavorare a sottrarre: sottrarre il sapere e l'istruzione
dalla forma banale dello scambio di merci (strumentali beni d'investimento
pronti all'uso _ o addirittura all'usa-e-getta) per farne un bene pubblico,
politico, non disponibile. Liberare lo spazio dal controllo disciplinante
di un'organizzazione di prestazioni e standard formativi; il tempo della
formazione dai ritmi della produzione di "occupabilità" e consenso.
Sul piano culturale bisognerebbe invece lasciarsi attraversare: dai saperi,
dalle etnie, dalle storie, dai desideri, dalle domande, dai diversi generi
e generazioni. Con l'insegnante mediatore culturale tutt'altro che
evanescente, perché parte (fisicamente, con la sua storia di vita e di
sapere, il suo sesso e la sua soggettività) della storia da raccontare,
della scena degli incontri.
Dentro la scuola sarebbe il transito - in uno spazio pubblico senza confini
- delle culture e delle diversità. E la tradizione, nel confronto con,
avrebbe la possibilità di un nuovo senso.

 Studenti. Cittadine e cittadini del pianeta

L'attenzione, l'analisi e la riflessione sulla globalizzazione neoliberista
hanno avuto un merito per chi si occupa di educazione: aver rimesso sul
tappeto questioni _ come cittadinanza, identità, meticciato culturale;
senso della collettività e della democrazia, modelli di sviluppo, ambiente
_ che parevano chiuse o discusse solo da una ristretta cerchia di
intellettuali. E ha messo in discussione alcuni presupposti culturali
occidentali; la visione della storia e della geografia, la concezione della
scienza di insegnanti ed educatori


"La scienza della natura non è che la scienza dei rapporti. Tutti i
progressi del nostro spirito consistono nello scoprire i rapporti. Ora... è
manifesto che colui che ignora una parte, o piuttosto una qualità, una
faccia della natura, legata con qualsivoglia cosa che possa formar soggetto
di ragionamento, ignora una infinità di rapporti, e quindi non può non
ragionar male, non vedere falso, non riscoprire imperfettamente, non
lasciar vedere le cose le più importanti, le più necessarie e anche le più
evidenti". (Giacomo Leopardi, Zibaldone)


Ormai è chiaro che separare scuola e politica, mente e natura, economia ed
ecologia condanna le nuove generazioni alla pura compatibilità, non apre
orizzonti, non promette futuro. È urgente analizzare i guasti ambientali,
sociali e umani dell'attuale modello di sviluppo economico, per
modificarlo. L'idea, la stessa speranza, che possa esistere un mondo
diverso da questo passa dalla costruzione di un'altra scuola. Una
scuola-spazio pubblico dove si incrociano esperienze e storie, dove si
incontrano generi, generazioni e punti di vista diversi, luogo di incontro
dal basso di laiche identità capaci di convivere in una nuova realtà
interculturale e mondialista; una scuola davvero senza frontiere e contro
tutti i fronti, dove le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi siano
messi in condizione di autocostruirsi la propria cittadinanza terrestre.
La scuola deve porsi in una prospettiva ecosistemica. Essendo un luogo dove
si trattano "cose vive" dovrebbe contemperare rigidità e flessibilità,
valorizzando il nuovo _ l'immaginazione, la creatività _ e sottoponendolo
al "filtro critico" del rigore: quella componente che garantisce sia la
persistenza del sistema aperto a tutti, sia la natura e la qualità delle
relazioni tra coloro che della scuola fanno parte.
Come insegnava Bateson, occorre pensare la scuola come una "struttura che
connette" e che rallenta e accelera sapientemente i processi di sviluppo in
una logica di "relazione". La scuola deve essere il luogo dove le bambine e
i bambini, le ragazze e i ragazzi diventino cittadine e cittadini del
pianeta, consapevoli dell'intreccio tra economia, guerra, violenze e
povertà, e dove gli insegnanti pratichino l'"educazione civica" evitando il
rischio di un'educazione valoriale e moralista, puramente esortativa,
incapace di modificare i comportamenti, anzi con la dannosa tendenza a
consolidarli. Uno spazio che non espella il carattere unitario e complesso
dell'esperienza che non la tenga "fuori", nel mondo reale finendo per
costruire un sapere, buono solo per la scuola (un floppy mentale da tirare
fuori giusto per le domandine dei test cui offrire adeguate rispostine). A
scuola vanno affrontate difficoltà e problemi, oltre che "sentire"
situazioni emotivamente. La scuola può essere luogo dell'esperienza che
partendo dalla problematicità del concreto dà luogo al processo di
pensiero, che comporta una riflessione, il recupero di conoscenze,
l'elaborazione di ipotesi per superare le difficoltà che s'incontrano e la
definizione di un piano di azione per verificare le ipotesi che si sono
formulate. "Una scuola tutta domande" da ammucchiare, catalogare per
affinità, accorpare", per lavorare a renderle sempre più chiare, sforzarsi
di capire quali sono quelle vere" (Domenico Starnone, Solo se interrogato.
Appunti sulla maleducazione di un insegnante volenteroso). Uno spazio dove
domandare sempre, senza farsi trattenere dall'"apparente assurdità delle
[Š] interrogazioni", perché "l'assurdo è quasi sempre una specialità delle
risposte" (Antonio Machado, Juan de Mairena. Sentenze, arguzie, appunti e
ricordi di un professore apocrifo).
Uno spazio che non riduca la complessità del mondo reale con
semplificazioni settoriali e fuorvianti anzi dove si insegnino dubbi,
incertezze, senso del limite. Non sono contenuti e discipline il cuore del
problema è l'attenzione che va spostata dai segmenti della conoscenza al
quadro complessivo, agli equilibri di sistema, alla dimensione dei
processi, troppo spesso espulsa dall'osservazione. Un sapere
"ambientalista" riconosce nuovi oggetti della conoscenza, a partire
dall'ecosfera che chiedono di non operare secondo la struttura separata
delle discipline e un nuovo stile, addirittura una nuova etica della
conoscenza responsabile.
Un sapere ambientalista riafferma la connessione tra scienza ed umanesimo.
"L'humus, le piante, i vermi, gli animali, i miti e le belve feroci. Ognuno
è chiaramente una varietà di qualcosa che non è tale, che rimane
accerchiato e non è ancora emerso. Ma la vita continua a pulsare da quando,
soprattutto al lavoro, è avvenuto il salto verso l'unico essere vivente
capace di trasformare. È l'uomo, è l'unico che inizia qualcosa senza essere
minimamente protetto sul piano organico, usando una nuova proiezione e una
nuova prospettiva, in una partenza formatrice di storia dei porcospini o
delle mucche in quindici volumi. Gli uomini sono molto pericolosi per la
propria specie come nessun altro animale per un altro. Ma sono anche in
grado di portare luce a questa specie... come nessun fuoco esterno può
fare" sostiene Ernst Bloch in Spirito dell'utopia. Ma "centralità"
dell'umanesimo non significa considerare la natura un semplice strumento
nelle mani dell'uomo. L'educazione ambientale può contribuire a ripensare
la concezione della "mentalità scientifica" e a sviluppare la cultura
scientifica, senza escludere il dubbio e la critica e senza contrapporre
scienza ed uomo.
La storia dell'uomo assume significato solo se connessa alla storia della
natura, se questa è ripensata nell'orizzonte di un senso non distruttivo,
né per la storia né tanto meno per l'ambiente.
Insomma la scuola che auspichiamo è una scuola da testa ben fatta, come
quella proposta da Edgar Morin, dove siano fondanti I sette saperi
necessari all'educazione del futuro tra cui "Insegnare l'identità
terrestre" e "L'etica del genere umano". E una scuola così si realizza solo
in un ambiente liberato dalle contraddizioni ecologiche ed economiche dello
sviluppo insostenibile.


 La forma della scuola

La maggior parte dei centri di potere e di governo europei è impegnata in
questa fase nel tentativo di dare nuovo ossigeno a un modo di vita che le
opinioni pubbliche stanno invece riesaminando profondamente. Il dibattito
ormai trentennale sulla questione ecologica ha lasciato il segno della
consapevolezza


Quello che è cambiato non sono i comportamenti, che anzi hanno continuato a
conformarsi alla rassicurante credenza occidentale della crescita
illimitata, bensì il modo in cui si guarda a se stessi, cioè appunto la
consapevolezza, o almeno il dubbio, di stare seguendo un modo di vita
minato al suo interno da contraddizioni troppo forti, e ora visibili,
portatrici di rischi davvero troppo alti in tempi relativamente brevi, così
brevi da poterli sperimentare personalmente.
La distanza, qualche volta abissale, tra questa recente consapevolezza e la
pratica quotidiana del consumismo esponenziale, genera inquietudine,
intollerabile inquietudine, persino presso quei ceti che vediamo più
accaniti e più cinici sul ponte di comando della nave. Non si tratta
soltanto del fatto che alcuni parametri biofisici sono evidentemente fuori
controllo, dal ciclo climatico alla riserva idrica, dalla biodiversità alle
fonti energetiche, dal capitale fotosintetico all'evoluzione del
tecno-genoma, con conseguenze che, per la prima volta, sono avvertite
nettamente da tutti, talvolta prima delle segretissime misure dei
laboratori. La nuova consapevolezza riguarda anche le conseguenze sociali
del modello, e genera inquietudine che non è soltanto paura, ma che ha una
fortissima dimensione etica e politica: troppo evidenti e intollerabili le
diseguaglianze rispetto all'acqua, al cibo, all'energia, e intollerabile il
contesto di guerra che "necessariamente" le sostiene e le estende.
Ancora più in profondità, cresce la consapevolezza che il mito del consumo
abbia alterato il rapporto (individuale e comunitario) con la natura e che
la specie si stia avviando a un destino di conflitto permanente e sempre
più violento con il resto del sistema vivente, uno scenario in cui alla
tecnica è affidata una "strategia difensiva nei confronti della natura".


Dall'inquietudine al desiderio di cambiamento

L'inquietudine che attraversa in modo sempre più diffuso le nostre società
è un sentimento positivo, un segnale di reattività.
Occorrono nuovi strumenti di connessione tra le persone e di navigazione
nella complessità, strumenti democratici, autonomi, efficaci, capaci di
documentare i fenomeni, di potenziare la consapevolezza, di trasformare
l'inquietudine in desiderio di cambiamento. Noi pensiamo che la scuola
pubblica abbia il compito di ascoltare l'inquietudine che attraversa le
nostre società, di cercare instancabilmente alternative del modo di vita,
di scambiare in modo aperto con la società le buone idee che è capace di
elaborare. Ma anche di testimoniare fisicamente una alternativa possibile.
L'ambiente scuola, cioè l'insieme delle strutture, delle funzioni e delle
relazioni che intervengono in una scuola, deve e può essere un paradigma
urbano, progettato e vissuto in modo da favorire l'emersione
dell'inquietudine e la crescita della consapevolezza. Un luogo di progetto,
in cui ci sia lo spazio, il tempo e il modo di cercare nuovi legami con la
natura, in cui gli stili di vita, le strutture, le forme organizzative non
siano parodie della realtà esterna, ma sensati esperimenti di armonia con
l'ambiente e tra le persone. Un'area franca dal consumismo materiale e
mediatico, luogo non inquinato e non inquinante, impermeabile alla
mercificazione, in cui sia protetto il pensiero libero, si possano adattare
le condizioni (spaziali, temporali) di studio a quel che si sta studiando e
che si vuole capire.


La progettazione partecipata della scuola pubblica del futuro

Un obiettivo così grande non può certo essere di breve termine.
Un punto di partenza utile ci sembra quello di concentrarsi sulla "forma
della scuola", cioè sulle strutture che condizionano materialmente la vita
scolastica, un campo che, salvo esperimenti isolati, non è stato finora
considerato degno di alcuno sforzo progettuale (come invece accade per le
autostrade o i musei).
È necessaria una grande stagione di progetto (e una parallela campagna di
comunicazione), che veda insegnanti, studenti, architetti, tecnologi,
biologi, medici, studiosi della comunicazione mettere a confronto idee
sulla forma della scuola pubblica del futuro: i modi di una progettazione
"partecipata", l'integrazione della scuola nel tessuto urbano, la forma
delle aule, degli edifici, i materiali, gli standard di qualità dell'aria,
dell'acqua, della luce, la qualità e quantità del "verde", il ciclo dei
rifiuti, l'inquinamento attivo e passivo, il sistema energetico, il
riciclo, il sistema di comunicazione, la scansione dei tempi, la
flessibilità degli spazi, le condizioni materiali del benessere
psicofisico. Questo è, secondo noi, "investire nella formazione".


 Quali saperi

Nella paradossale "società della conoscenza" i riformatori scolastici sono
poco interessati alle conoscenze, molto al management. Gli utenti sono i
soggetti egoisti, il mercato seleziona i migliori investimenti, gli
insegnanti sono tecnici comandati da strateghi aziendali puri, le
conoscenze merci intercambiabili.
In questa società delle conoscenze intercambiabili un nuovo tipo di
pedagogisti costruisce schemi di competenze organizzative e docimologiche
che possiamo chiamare la neodidattica. La neodidattica si presenta come un
metasapere, per ciò stesso superiore e vincente

La neodidattica è il discorso dei tecnocrati che soppianta quello degli
intellettuali di vecchio tipo e afferma la flessibilità del lavoro
educativo standardizzato.
La neodidattica crea certezze illusorie di governo del sistema. Ogni nuova
maggioranza di governo impone nel sistema scolastico "svolte epocali" che
il più delle volte si rivelano concepite all'insegna dell'improvvisazione,
di luoghi comuni e del puro effetto mediatico. Un punto chiave della
neodidattica è l'autonomia delle istituzioni scolastiche (self-government)
ma l'autonomia è svuotata del suo significato logico di liberalizzazione e
usata per imporre altri vincoli, cioè un nuovo tipo di centralismo, di
gerarchia e di burocratizzazione del lavoro.
La neodidattica dei tecnocrati svaluta (con il silenzio) i curricoli
formativi sistematici e lenti e lunghi e il quotidiano della scuola, li
rende invisibili a favore di una proliferazione di progetti e segmenti
certificabili e componibili (e vendibili), tutti esaltati e messi in
vetrina. L'uso che viene fatto del Fondo Sociale Europeo sta dando un
grosso impulso in questa direzione.
Una simile concezione aziendale ed effimera della formazione non si
sconfigge tornando a una impossibile scuola delle nozioni, una
scuola-scuola in cui "la matematica è la matematica, la storia è la
storia". Si tratta del contrario: proprio perché i saperi sono in una
profonda crisi di trasformazione e ridefinizione  è necessario che il
discorso pubblico sulla scuola e sull'università sia restituito a una
discussione di merito.
Lo spazio della scuola è abitato da individui in carne e ossa _ ragazze e
ragazzi, uomini e donne _ portatori di desideri, di domande di senso e di
ricerca personale: non si tratta di trasmettere dunque discipline tutte già
compiute, ma di aprirne gli orizzonti alle domande e ai desideri che
possono investirle a partire dalle esperienze vissute di generi e
generazioni diverse. Senza paura di perdere il controllo "tecnico" dei
contenuti e dei processi.
Il tempo di lavoro contrattuale nelle scuole e università deve prevedere
consistenti margini per la ricerca, lo scambio culturale, la
programmazione. Nella scuola queste esigenze vengono affrontate invece
sempre di più dagli insegnanti come una sorta di infelice secondo lavoro
notturno, in solitudine e a margine delle prestazioni flessibili e
crescenti che gli vengono richieste.


Né à la page, né anacronistica

Dall'altro lato non è l'essere a tutti i costi à la page che salva la
scuola, una certa misura di "anacronismo" è sana e ha un valore educativo,
e i più grandi anacronismi sono la lentezza, la gratuità, il rapporto
faccia a faccia, la lettura silenziosa. Questo stile di insegnamento è già
da qualche parte il risultato di una progettazione raffinata. Solo con una
simile progettazione, dal basso in alto e dall'alto in basso, è possibile
anche "domare la tigre" delle multinazionali che riplasmano la scuola
attraverso le tecnologie e stabilire una linea di confine tra formazione e
addestramento, tra gratuità e mercato, tra pubblico, privato e sociale,
nella loro inevitabile interazione, ma non confusione.
La confusione che domina oggi è soprattutto quella sul rapporto tra
formazione generale e formazione di indirizzo. Inoltre le scuole si
presentano sempre di più sulla scena con tecniche di marketing. È difficile
che gli studenti in questo contesto possano essere soggetti di scelte
consapevoli, ma le famiglie privilegiate per reddito, potere e cultura
conservano ovunque un istinto infallibile per i percorsi esclusivi (anche
se magari dichiarati comprehensive e pubblici).


Scuola per tutti

È evidente che siamo a favore di una scuola di base uguale per tutti e di
alta qualità e di percorsi successivi che abbiano pari dignità e profilo
significativo e lascino tutti aperto sia il passaggio successivo alla
formazione universitaria sia quello a corsi professionalizzanti settoriali
o alla formazione in azienda. Non si possono impedire per decreto le uscite
precoci (prima dei 18 anni) dal sistema scolastico verso la formazione
professionale, tuttavia i poteri pubblici, oltre a fissare per legge
l'obbligo formativo fino ai 18 anni, devono porsi l'obiettivo della
formazione scolastica (non professionale) estesa al numero più ampio
possibile di giovani fino ai 18 e del superamento completo dell'uscita
dalla formazione scolastica prima dei sedici anni di età. Allora sì che
l'inserimento di moduli professionalizzanti nel percorso scolastico e
universitario si potrà affidare alle decisioni locali e al buonsenso.
I nemici del nostro ostinato illuminismo non stanno solo in alto ma anche
in basso, i soggetti che vogliamo "salvare" a volte non ne vogliono sapere
proprio di farsi "salvare" dalla scuola. Nelle scuole di periferia
avvengono i fenomeni degenerativi ben noti con l'ingresso nelle aule della
logica delle street gangs e si innesca un circolo vizioso
sabotaggio-sorveglianza-sabotaggio che distrugge a livello molecolare il
valore emancipativo dello studio e il benessere della convivenza. Questi
fenomeni hanno cause complesse, forse si può parlare di una vera e propria
forma di oscurantismo della società dei consumi in certi casi, comunque
possono essere affrontati solo da istituzioni scolastiche e insegnanti che
abbiano una forte e autonoma identità e per dirlo con un termine di moda
mission.


Il centro della scuola

Al centro del lavoro scolastico devono stare la conoscenza del pianeta,
della condizione umana e del sé, e la costruzione di questa conoscenza
attraverso pratiche significative ed elaborazioni teoriche. Al centro deve
essere la tensione etica che intreccia sapere ed esperienza personale, ed
interroga gli individui concreti nei loro rapporti e nel rapporto col mondo.
Il discorso tecnocratico può passare se bambini e bambine, ragazzi e
ragazze restano tra loro indifferenziati in quanto annichiliti nella
memoria, resi sterili nell'immaginazione, desertificati nei desideri,
ridotti alla funzionalità dei processi. Ed allora la formazione ed i saperi
dovrebbero mirare al recupero del rapporto con la memoria, a valorizzare
immaginazione e creatività, alla espressione dei desideri di ciascuno e
ciascuna. Come forma pubblica e punto di partenza del fare scuola.
Il pensiero teoretico puro cioè la filosofia e certi campi della pensiero
matematico e della cosmologia è da salvaguardare nella scuola senza che
debba essere dato magari in piccole dosi a tutti quanti, importante è che
l'attitudine critica e intellettuale sia presente in qualcuna delle sue
varie forme in ogni indirizzo, ma i curricoli devono restare essenziali.
L'insegnamento deve comunque costruire la consapevolezza sui limiti del
processo conoscitivo umano e della scienza. Le aree espressive e artistiche
devono essere valorizzate sia come parte della formazione generale sia in
indirizzi specifici.
L'educazione ambientale non deve costituire né una materia a se stante né
un semplice discorso morale, ma strutturare i curricoli _ tutti quanti -
con la stessa forza interdisciplinare dell'educazione linguistica e dare un
contributo fondamentale alla comprensione della complessità.
Una questione di fondo è come fare un insegnamento delle storie del
pensiero non eurocentrico, senza rinunciare a nessuna delle conquiste del
pensiero europeo di cui possiamo non vergognarci. Questo è uno dei motivi,
e non l'ultimo, per cui è impossibile pensare all'insegnamento come a un
mero fatto tecnico.
La formazione tecnico-scientifica deve avere la priorità e la precedenza su
quella tecnico-professionale. Un insegnamento ricco e sistematico mette i
soggetti in grado di adattarsi bene alle innovazioni (anche attraverso
corsi brevi successivi e finalizzati) e, anche dal punto di vista della
logica del mercato del lavoro, evita le sterili compartimentazioni e
costituisce il possibile punto di convergenza tra il sistema produttivo
capitalistico e quello della formazione dell'individuo e del cittadino. La
scuola - come tutto lo stato sociale - deve essere un luogo di sintesi tra
varie esigenze nella "società aperta", il sistema economico deve venire
costretto a confrontarsi con l'autonomia del politico e con cittadini
dotati di un "sovversivo" - ma anche produttivo - eccesso culturale.