Antimafia: è polemica. L'insegnamento di Falcone



Cosi ebbe a dire Giovanni Falcone: 

"La lotta alla mafia non può fermarsi a una sola stanza, la lotta alla mafia deve coinvolgere l’intero palazzo. All’opera del muratore deve affiancarsi quella dell’ingegnere. Se pulisci una stanza non puoi ignorare che altre stanze possono essere sporche, che magari l’ascensore non funziona, che non ci sono le scale….. Io vado a Roma per contribuire a costruire il palazzo".

Si può leggere in queste parole chi fu veramente Giovanni Falcone. Fu uomo di stato, uomo che conosceva la legge, amante del codice, della norma, il Robin Hood dello stato contro la Mafia che era e che è l'"Antistato" per eccellenza. Ci si vorrebbe sbagliare: in più di qualcuno, però,  e soprattutto in chi lo conosceva è viva la consapevolezza che ormai Giovanni Falcone sia divenuto una specie di santino da onorare. Raffigura il "magistrato" per eccellenza, il "numero uno" contro Cosa Nostra: è un'eroe. Anche i ragazzini al liceo leggono i libri di Falcone, - e questo è bene - è un'immagine a cui tutti sono affezionati.

Ma i santi, a volte, non sono che statue di gesso. Sono li, suscitano ammirazione, commozione; chiedono commemorazione in un "decennale", in un "ventennale", chiedono devozione. Giovanni Falcone ormai è come tutti i santi che popolano le nostre chiese: sono li, in una nicchia e sono troppo distanti. Si fa fatica a sentirli vicini...chissà perchè. Li sentiamo vicini in un modo sbagliato, divengono oggetto di rituali collettivi e nel peggiore dei casi servono anche a suscitare polemiche e "divisioni". San Francesco d'Assisi, ad esempio, alimentò a suo tempo quella polemica che poi contribuì a creare "tre" ordini religiosi: frati minori, conventuali e cappuccini. Tre "partiti" diversi, tre interpretazioni su che cosa dovesse essere "povertà". Almeno quelle ufficiali; perchè poi vi furono quelle definite "eretiche" come quella "dulciniana" troppo estremista. Insomma, i "santi" fanno anche "rumore" quando son morti: non mi sbaglio - forse - se dico che a questo rumore corrisponde un'abbassamento di "tensione". Per continuare con l'esempio di Francesco: dalla "povertà" quale l'aveva predicata e vissuta il poverello d'Assisi alla "povertà" quale la leggiamo nelle "regole" redatte in età successiva lo scarto è notevole.

Anche la "memoria" di Falcone e Borsellino sta alimentando "polemiche". Giuseppe Ayala, amico di Falcone è magistrato ha affermato recentemente: "Questo anniversario non può essere svilito dalla polemica politica, In questi giorni andrebbero sospese le ostilità, privilegiando piuttosto una analisi laica seria". Sono parole di chi ha conosciuto quale fosse la statura morale di un uomo quale era Falcone e che prova "fastidio" trovandosi spettatore di un cerimoniale che rappresenta il ricorso storico di una "tensione" che si va mortificando. "Tensione" alimentata da valori quali "giustizia", "legalità" che Falcone ha saputo abilmente incarnare. Diceva: "A Palermo si dice"per dimostrare di essere onesti bisogne morire"". E lo ha fatto. Ma cosa ha prodotto il martirio di quest'uomo? Cosa ha insegnato questo martire della giustizia? Cosa rimane di Giovanni Falcone a dieci anni dalla strage di Capaci?

Si vorrebbe dire qualcosa di più incoraggiante ma è inevitabile constatare che a livello politico la "memoria" di Giovanni Falcone è già troppo sbiadita. Quanto poco questa figura ha forgiato la coscienza sociale. Quanto poco i suoi ammonimenti sul potere delle mafie sono stati fagocitati, assimilati nell'immaginario collettivo. Quanto poco è stato recepito di quel che lui diceva riferendosi a Cosa Nostra e descrivendola come "l’idra dalle sette teste: qualcosa di magmatico, di onnipresente e invincibile, responsabile di tutti i mali del mondo". Falcone era un "mastino" contro la mafia, aveva un fiuto particolarissimo. Ne aveva individuato le fondamenta più recondite a livello culturale, ne aveva smascherato il sistema. Fu lui a convincere Buscetta a collaborare con la legge riuscendo a ricostruire "strutture", "connivenze" coi poteri politici, amministrativi. Conosceva la Mafia e ne aveva paura; proprio per questo ne era indignato e volle combatterla nonostante il suo nome fosse nel mirino già dal 1982. Forse siamo poco indignati nei confronti del potere mafioso perchè poco lo conosciamo.

La Mafia è ancora forte. Ancora più forte di quanto non lo fosse dieci anni fa. Il sacrificio di quegli uomini è servito a ben poco se non se ne ha coscienza. Oltremodo ancora non si conoscono i mandanti di quella strage. Oltremodo si producono leggi che rallentano le procedure antimafia: ce lo hanno detto e rinfacciato i migliori magistrati del momento. Oltremodo c'è chi afferma che la mafia è roba passata. La piovra intanto allunga i tentacoli e cresce anche grazie ai "silenzi", alle "distrazioni", alle "false coscienze", all'ignoranza di certi meccanismi. Cresce grazie alle agevolazioni che le sono accordate con un certo grado di inconsapevolezza. Il cane ha abbassato la guardia. E' triste dirlo: il cane dovrebbe essere la società civile. L'opinione pubblica dovrebbe caricarsi di indignazione ed avanzare pretese e proposte per una politica forte di certi valori quali la "giustizia".

Forza! Falcone, ancora una volta, diceva: "gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini". Aveva ragione. Ma che fine hanno fatto le "nostre" tensioni morali, le nostre idee. Siamo divenuti troppo stupidi cosi da non accorgerci che alla base di una cultura mafiosa vi è - ad esempio - la logica del potere e del profitto? Cosi da non accorgerci che la politica, molto facilmente, può essere ispirata da questa logica? E che una politica del genere è sotto i nostri occhi? La cultura mafiosa è onnipresente. "Mafia" è sinonimo di quel complesso di superiorità e di onnipotenza che da sempre attanaglia e che sempre attanaglierà l'uomo. Cosi come "Falcone" è sinonimo di opposizione sapiente e coraggiosa ad una cultura del genere, di "moralità", di coscienza democratica e civile e di "partecipazione" democratica e civile alle vicende della polis. Lo ripetiamo ancora una volta:

 "gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini".

Ognuno di noi sia tra quegli uomini. E tale tensione morale nasca da una riflessione seria e attenta, al di fuori di ogni polemica fuorviante e controproduttiva. E' un appello ai politici, innanzitutto. Dunque è un appello a tutti. La città ci appartiene, ci appatiene la nazione, ci appartiene il bene comune. "....Occhi aperti alla giustizia". [DANIELE D'ELIA]

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