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tasse bush e gli usa



       


Da l'Unità del 09.01.2003 
   
  Tasse, così Bush frantuma l'America
di Robert Reich, ministro del Lavoro durante la presi

Il presidente Bush dice che il suo è un piano per «l’occupazione e la
crescita»: in realtà non riguarda né l’uno né l’altro. La recente proposta
di tagli alle tasse non creerà occupazione e non farà crescere l’economia.
Raggiungerà solamente l’obiettivo della sua precedente manovra: far
diventare i ricchi ancora più ricchi. Allo stato attuale il problema
dell’economia americana è l’eccesso di capacità rispetto alla domanda.
Troppe fabbriche sono inutilizzate, troppi macchinari non vengono usati,
troppe persone sono senza lavoro. Il Paese incontra difficoltà a uscire
dalla recessione perché non ci sono abbastanza compratori per tutti i beni
e i servizi che l’economia americana è in grado di produrre. 
Ma c’è anche un problema di lungo periodo e si tratta di un problema tanto
sociale quanto economico: ci stiamo spaccando in tre società separate. In
cima una classe regale con più ricchezza e reddito di quanto non abbia mai
avuto una qualsiasi aristocrazia. Ed ora stanno anche ricevendo la più
grossa fetta di reddito americano degli ultimi 60 anni. In mezzo una grande
classe ansiosa che se la passa appena meglio di una decina di anni fa, ma
che ancora fatica a far quadrare il bilancio. Alla base della piramide una
grande sotto-classe il cui reddito e la cui scarsa ricchezza sono andati
declinando negli anni 80 e fino alla metà degli anni 90 per poi avere una
ripresa sul finire degli anni 90 quando il tasso nazionale di
disoccupazione era sceso al 4% e gli imprenditori dovevano faticare per
trovare manodopera. Ora che il tasso ufficiale di disoccupazione è tornato
al 6%, la sotto-classe sta battendo nuovamente in ritirata.
Il problema a breve termine è strettamente connesso a quello a lungo
termine. Per anni la produttività americana è andata aumentando secondo un
ritmo più che soddisfacente. Le tecnologie informatiche e Internet hanno
incredibilmente accresciuto la nostra capacità di produrre più beni e
servizi. Questa è una delle ragioni principali per cui negli anni 90
l'economia è riuscita a crescere senza accendere l'inflazione. Ad Alan
Greenspan va dato credito per aver riconosciuto questa realtà quando ha
consentito il decremento dei tassi a breve e la diminuzione della
disoccupazione. Malgrado la «irrazionale esuberanza» che ha causato
l'aumento del valore delle azioni sul finire degli anni 90 e il loro tonfo
tra il 2000 e oggi, prosegue la rivoluzione della produttività. È questa la
ragione della straordinaria nuova capacità delle nostre imprese.
Ma qui sta il problema. Tutti i beni e i servizi che oggi possono essere
prodotti debbono essere acquistati da qualcuno. I singoli consumatori
acquistano i due terzi di tutto quanto viene venduto nel paese. E a causa
della rivoluzione della produttività, molti articoli possono essere
prodotti a costi più bassi. Ma pur essendo più economici i consumatori, la
cui busta paga è praticamente ferma a qualche anno fa, non possono
permettersi di comprarli tutti.
Le sole persone il cui reddito è aumentato in maniera vertiginosa sono
quelle che si trovano in cima alla piramide. Costoro spendono somme
principesche per vacanze esotiche, per lussuose ville negli Hamptons e per
pullover di cashmere. Ma ciò nonostante spendono solo una percentuale del
denaro che hanno. La classe media ansiosa e molto più numerosa non ha molto
reddito disponibile dopo aver pagato le bollette, fatto la spesa e pagato
l'affitto. La sotto-classe non ha praticamente reddito disponibile.
La recessione appena terminata è stata relativamente mite in quanto la
maggior parte dei consumatori della classe ansiosa e della sotto-classe
hanno continuato a spendere a dispetto della fragilità delle loro finanze.
Ma per farlo hanno dovuto indebitarsi ulteriormente e lavorare ancora di
più. Ora sono preoccupati per la precarietà del posto di lavoro, per i
risparmi per la pensione che vanno scemando e per la guerra. Sembra proprio
che la baldoria sia finita. La fiducia dei consumatori è diminuita in sei
degli ultimi sette mesi. La stagione natalizia è stata un fiasco per il
commercio.
Da dove dovrebbe arrivare la domanda per tutti i beni e servizi che gli Usa
possono produrre? Gli stranieri non vogliono e non possono comprare quello
che rimane sul mercato. La seconda economia del mondo per ordine di
grandezza, il Giappone, è a terra; la terza, la Germania, sta scivolando
nella recessione. Gran parte del resto del mondo non è certo in condizioni
tali da acquistare le eccedenze produttive americane. Ed ecco arrivare il
tanto vantato piano economico di Bush. Il piano sostanzialmente si limita a
ridurre le tasse alla classe reale. La maggior parte delle azioni sono in
mano a questi privilegiati, ragione per cui riducendo le imposte sui
dividendi azionari si fa loro un ulteriore regalo. Secondo l'IRS, oltre il
60% del valore totale dei dividendi pagati ai singoli nel 1999 è andato
nelle tasche del 10% dei contribuenti che si trovano in cima alla piramide.
La classe reale trae anche enormi vantaggi dall'accelerazione dei tagli
alle imposte sul reddito attuati nel 2001 in quanto gran parte dei benefici
originariamente previsti per dopo il 2004 sono andati a favore dei
contribuenti a più alto reddito. E sono poi quegli stessi contribuenti cui
vanno quasi tutti i benefici della permanente abrogazione dell'imposta sui
patrimoni immobiliari che riguarda gli immobili di valore superiore al
milione di dollari. Ma i membri della classe reale spendono solo quanto
vogliono spendere. Nessun regalo nei loro ben forniti portafogli può
indurli a spendere molto di più.
Non è un piano per «l'occupazione e la crescita». È un piano per premiare i
ricchi in un momento in cui l'economia ha bisogno di maggiori consumi da
parte delle persone che dispongono di mezzi modesti. Inoltre la manovra non
fa altro che concentrare ulteriormente la ricchezza e il potere in un
momento in cui ricchezza e potere sono già nelle mani di un numero sempre
più ristretto di persone.

Robert Reich è stato ministro del Lavoro durante la presidenza Clinton dal
1993 al 1997, oggi è professore di politica economica e sociale alla
Brandeis University.