Mitumba in swahili significa
"abiti usati" ma, in Africa Orientale, oramai
significa mercato degli abiti usati. In tutta
l'Africa il mercato degli abiti usati diventa di
giorno in giorno più florido. Il 90% degli abiti
giungano dall'Europa e dall'America. In Africa, se
da un lato è vero che molti vestono di abiti usati
- soprattutto quelli che rappresentano la moda
occidentale - è altrettanto vero che raramente gli
abiti usati sono africani. Gli abiti si passano di
fratello in fratello, fino all'esaurimento.
Allora la storia di questi indumenti
incomincia nei contenitori che sono sparsi in
tutta Europa e che raccolgono gli abiti usati.
Questi contenitori - nati con lo scopo
caritatevole - sono oggi diventati un luogo di
contesa (a volte anche violenta). Qualche anno fa
il quotidiano svizzero Tages Anziger ha
accusato in modo diretto due dei principali
collettori di indumenti usati (Texaid e Tell Tex)
di essere complici di una competizione commerciale
basata sull'inganno. A scanso di equivoci sono
Aziende e non cooperative o associazioni
caritatevoli.
La questione è che spesso gli enti
raccoglitori (cooperative e non-profit) vendono i
capi raccolti al chilo (dai 30 ai 50 centesimi al
chilo) e poi ne perdono il controllo. Alla fine il
prezzo al chilo può arrivate a 6 euro. I dati
Italiani dicono che nel 2013 sono stati
raccolti 111.000 tonnellate di vestiti usati. Ed
è proprio in questa fase che si inseriscono
le organizzazioni criminali (italiane e
recentemente quelle nigeriane) Già nel 2014
la Direzione Antimafia Nazionale scriveva che "buona
parte delle donazioni di indumenti usati che i
cittadini fanno per solidarietà, finiscono per
alimentare un traffico illecito dal quale
camorristi e sodali di camorristi traggono
enormi profitti". Del resto in
tutte le inchieste da Mafia Capitale a quella
della Terra dei Fuochi il business a dei vestiti
usati sembra esserci sempre.
Se è vero che l'alternativa per
evitare l'infiltrazione criminale è quella (come
sempre!) di controllare interamente la filiera,
dalla raccolta alla distribuzione in loco, come
ad esempio fa, soprattutto per il Mozambico, Humana
Italia, è altrettanto vero che si pone un
altro problema.
Infatti, la Comunità dell'Africa
dell'Est (EAC) sostiene che "il tessile, la
lavorazione del pollame e la produzione
automobilistica sono i settori che vanno
incentivati per lo sviluppo industriale e per la
creazione di posti di lavoro della regione. Per
farlo, sostiene l'EAC, è necessario eliminare
l'importazione dall'estero di merci e prodotti
usati". L'EAC ritiene sia necessario bandire
le importazioni entro tre anni.
Si stima che la produzione tessile
dell'Africa Orientale sopperisce per solo il 10%
al fabbisogno della popolazione.
Insomma, sia che le organizzazioni
criminali si infiltrino nel commercio sia che si
controlli la filiera della distribuzione, il
rischio che l'azione caritatevole che molti fanno,
portando i vestiti usati nei raccoglitori sparsi
per strada, si trasformi in un boomerang è alta.
Se per l'Africa Orientale è maturo il
tempo di una riflessione su questo commercio, in
Africa Occidentale la questione sembra diversa e
sembra essere nelle mani della mafia nigeriana.
Oggi la maggioranza delle spedizioni
vanno proprio verso l'Occidente Africano, dove il
mercato sembra crescere di giorno in giorno.
Come spesso accade le buone
intenzioni iniziali finiscono per danneggiare
non solo l'azione stessa ma, rischiano di
incidere fortemente sul futuro di intere
popolazioni.