"Quando negli anni Novanta citavo l'Italia quale esempio di come i Paesi avanzati possano sopportare pesanti debiti pubblici, non ero naif. All'epoca l'Italia aveva
una propria moneta, e il suo debito era denominato in tale valuta, è vero che era ancorata al marco tedesco, ma c'era sempre la possibilità di sganciarsi.
Con l'adesione all'euro, l'Italia di fatto si è trasformata macro-economicamente in un Paese del terzo mondo, con i debiti in valuta straniera, e si è esposta a crisi del debito. (Paul
Krugman)"
Riceviamo a pubblichiamo questa mail di "Mula".
Il tema è interessante per il suo valore emblematico:
l'importanza del pensiero di Hayek come indispensabile cornice ideologica che vincola, attraverso un'idea fondante dell'economia, - cioè il libero mercato e il sistema dei prezzi che da esso procederebbe come insindacabile e unica "razionalità"-,
ogni possibile soluzione istituzionale.
Il che significa, che
un ordine superiore, la Legge (come fenomeno naturalistico osservato in un contesto storico non soggetto ad alcuna verifica propria delle scienze sociali),
vincola e delimita ogni possibile legittimazione della presenza e della dimensione dello Stato, sostanzialmente negandogli una discrezionalità nel determinare qualunque soluzione di tutela della comunità sociale di fronte al problema distributivo dei
costi provocati dal sistema dei mercati.
Il tema Foucault ci racconta di un fenomeno singolare: si procede, in certi livelli di analisi, per meccanismi transitivi di tipo nominalisitico
(in senso stretto): se si "nomina" Hayek, ci si contamina della sua visione. Ma dei contenuti del pensiero hayekiano è intrisa, in modo decisivo, la vulgata pop del neo-liberismo (più precisamente,
la versione strategica attualizzata che ne è l'ordolberismo) che governa l'€uropa.
E l'€uropa è, invece, una ipostatizzazione della pace e dell'antipopulismo (e nazionalismo) non suscettibile, nel suo complesso, di
alcuna critica legata all'effettiva conoscenza delle norme dei trattati e dei loro effetti programmatici!
Il risultato sarebbe che Hayek non possa essere analizzato esplicitamente, a pena di "contaminazione", mentre, invece,
la sua fondamentale descrizione del paradigma socio-economico a scopo normativo, ormai costituzionalizzata (in modo più o meno cosciente ed esplicito) mediante i trattati, non può di conseguenza essere focalizzata e sottoposta a critica.
Per effetto di ciò si può, in pratica, proseguire a ritenere che la costruzione europea
abbia una qualche radice nel cooperativismo, nella dimensione sociale e nella solidarietà, predicando che, i suoi attuali effetti, siano
solo il frutto di una degenerazione, o alterazione, non voluta, da coloro che hanno concepito e negoziato i trattati europei (!): il che, come sappiamo, è un modo contraddittorio di negarne le radici storiche e il complessivo disegno originario, allontanando
ogni realistica soluzione (con
le conseguenze che ci rivela questo ottimo post di Lameduck).
Buongiorno,
sono il ragazzo che ha pubblicato tempo fa un suo video su youtube (sul canale "decostruendo").
Oggi le scrivo per proporle una brevissima analisi del rapporto tra Foucault e Hayek, analisi che ho scritto per rivelare indirettamente l'ottusità di una certa sinistra di oggi, ossia il tabù che riguarda lo studio di Hayek e che porta ingiustamente
a definire Foucault “anti-statalista” (sulla scia dell'ostracizzazione accademica di tutti i "post-strutturalisti", generalizzazione a sua volta disastrosa...)
Riassumendo: dicono che Foucault confondeva Keynes con Hitler, ma dicendolo non fanno altro che confondere Foucault con Hayek,
fondandosi semplicemente sul fatto che il primo... studiava Hayek!
...
Uno scandalo si aggira tra i filosofi “sinistri”: l'interesse di Foucault per Hayek.
Alcuni noti professori di filosofia affermano persino che tale interesse ha condotto Foucault, spesso presentato come un grande filosofo di sinistra, a paragonare ed equiparare qualsiasi forma di stato interventista, ossia a screditare lo stato sociale keynesiano
o il socialismo paragonandoli al sistema nazista.
Sono d'accordo con questi autori quando affermano che questa demonizzazione dello Stato rende impossibile una sinistra al passo con i tempi, ossia una sinistra in grado di opporsi all'attuale distruzione dello stato sociale in paesi come l'Italia.
Non sono invece d'accordo con tali autori quando affermano che tale demonizzazione dello stato è stata esplicitamente proposta da Foucault, in particolare nelle sue ultime opere: ritengo anzi che proprio tali opere siano nate anche per criticare tale demonizzazione.
Per capire cosa intendo è sufficiente leggere anche solo le prime 7 pagine della lezione del 7 marzo 1979, contenuta nell'opera "Nascita della biopolitica": come indica il titolo, in tale corso Foucault intendeva approfondire il concetto
di biopolitica (che ha avuto un grande successo nella filosofia successiva, in particolare per alcune correnti di “sinistra”), ma questo argomento viene rimandato e le prime lezioni vengono dedicate allo studio degli autori neo/ordoliberali (tra i quali troviamo
molti nemici dello stato sociale come Hayek).
Quindi, all'inizio di tale lezione, situata circa a metà del corso, Foucault si scusa per essersi soffermato troppo su questi argomenti (è
banale dirlo, ma non nel senso che si scusa di leggere Hayek, ma nel senso che si scusa di non aver ancora mantenuto la promessa fatta all'inizio del corso di trattare il tema della biopolitica, soffermandosi invece sulle premesse storico-politico-economiche
di tale tema, ossia, appunto, le principali svolte del liberalismo) e cerca di
spiegare le ragioni di tale studio.
La prima è una ragione "di metodo", ossia una dimostrazione delle sue teorie precedenti sul potere: è infatti impossibile dedurre da un astratto concetto di potere le sue determinazioni attuali, mentre, al contrario, è necessario partire da uno studio dell'evoluzione
storica delle modalità di esercizio del potere (e la storia delle teorie relative) per comprendere realmente le premesse dei problemi attuali (ossia Foucault spiega in modo formale l'operazione che sta portando avanti in relazione al contenuto “potere biopolitico”).
Ma è la seconda ragione, che Foucault definisce di "moralità critica", a dimostrare in modo inconfutabile l'insensatezza delle accuse sopra citate:
egli infatti spiega che con questo studio intende criticare a fondo proprio la "fobia dello Stato", definendola esplicitamente come fondata su un "luogo comune" che ha ormai strutture e conseguenze negative precise, che quindi egli descrive all'inizio
di questa lezione.
Tale fobia si basa su due filoni argomentativi spesso legati tra loro:
1)
lo Stato come "una sorta di potenza in espansione" che tende ad assorbire la società civile e
2) la “parentela” tra tutte le forme di stato, da quello keynesiano a quello nazista.
Tale fobia conduce, proprio per questa sua struttura, a tre conseguenze negative:
a) rende
le analisi dei differenti stati interscambiabili, quindi porta a ignorare o dimenticare la specificità di tali sistemi statali a favore di una generalizzazione.
b) Conduce quindi a
dichiarare "fascista" qualsiasi meccanismo statale, in quanto in ogni suo intervento, considerato a partire dall'idea espansionistica del potere statale, viene concepito come simile al (o diretto verso un potenziale) totalitarismo.
c) Queste due caratteristiche conducono alla terza:
generalizzando e fascistizzando ogni stato si perde l'occasione di comprendere l'attualità, ossia il frutto dei mutamenti storici delle modalità di esercizio del potere.
Infine dice, Foucault, tale critica dello stato non critica mai le proprie origini: è proprio questo che invece egli intende fare in questo corso, mostrando che
tali origini si possono trovare nei testi di autori neo-ordoliberali come Hayek (riassumendo: per comprendere il modo in cui il potere di oggi si fonda sempre di più sul “controllo della vita” - ed è quindi “biopolitico” - è fondamentale comprendere
le premesse storiche e teoriche di tale controllo, quindi anche studiare le teorie che intendono ridurre l'intervento statale nell'economia attuato tramite “leggi”, spostando l'azione del potere in direzione della vita, attraverso un sistema di “norme”).
Quindi Foucault conclude affermando che:
1) lo Stato assistenziale non può essere paragonato a quello totalitario.
2) Anzi, lo Stato totalitario non nasce da un eccesso di stato, ma da un eccesso di governo della forma "non statale" del "partito".
3) Il problema attuale non è quindi l'eccesso di Stato, ma la sua riduzione: ossia la diffusione e l'applicazione del pensiero di Hayek; ad es. in questo passaggio dallo Stato al partito: quindi chi partecipa di questa fobia dello Stato deve almeno ammettere
che sta andando "nel senso della corrente" (riferendosi ovviamente a tutti i rivoluzionari anti-statalisti che credono di opporsi al potere attuale, ma che per le ragioni appena citate non lo conoscono realmente e rischiano quindi di riproporre le sue strutture,
come appunto la fobia dello Stato).
Mi sembra quindi evidente che con questo corso di lezioni Foucault non intende diffondere una sfiducia verso lo Stato, ma, al contrario, proprio perché ritiene importante comprendere (molto prima di tanti altri autori di sinistra)
i rischi della “riduzione del potere statale” e del governo di forme “non statali” (come egli definisce il “partito”),
è un importante precursore di chi oggi critica il potere “non statale” degli organismi internazionali
(ad es. la commissione europea) finalizzati a potenziare il mercato e sé stessi attraverso una “riduzione del potere statale”.
Non a caso oggi esistono blog come “Orizzonte48” che si fondano su una critica dell'attuale struttura giuridica ed economica dell'Unione Europea anche e proprio a partire da un attento studio critico del pensiero di Hayek.
Insomma, conoscere Hayek non solo non è uno scandalo per un autore di sinistra, ma è fondamentale.
O è forse lo stesso studio della storia ad essere diventato uno scandalo?
Nel caso mi scuso per essere stato scandaloso.