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sovvertire il presente venire a patti con la finanza è impossibile
- Subject: sovvertire il presente venire a patti con la finanza è impossibile
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 10 May 2013 14:26:37 +0200
sovvertire il presente venire a patti con la finanza è impossibile Guido Viale, il manifesto | 08 Maggio
2013
Assistiamo da decenni, impotenti, a una continua espropriazione del Parlamento, peraltro consenziente, e per suo tramite del «popolo sovrano». Le principali tappe di questo processo sono state: 1. La separazione della Banca centrale dal controllo del governo (anni '80) per contrastare le rivendicazioni salariali, che ha dato a un organo non elettivo il potere (poi trasferito alla Bce) di decidere le politiche economiche e sociali; ma soprattutto ha fatto schizzare il debito pubblico mettendolo in mano della finanza. 2. Le molte riforme del sistema elettorale, dall'abrogazione del sistema proporzionale («una testa un voto», principio basilare della democrazia rappresentativa) al cosiddetto porcellum, che trasferisce dagli elettori alle segreterie dei partiti la scelta dei propri rappresentanti; 3. La cancellazione della volontà di 27 milioni di elettori al referendum contro la privatizzazione dell'acqua e dei servizi pubblici con ben quattro leggi controfirmate da Napolitano (l'ultima anche dopo che la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittime le prime tre), come anni prima, con il referendum per l'abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti; 4. L'imposizione di un «governo tecnico» con un programma (l'«Agenda Monti») imposto dalla Bce, e attraverso questa, dall'alta finanza sotto «l'incalzare» dello spread: una sudditanza che non avrà più fine, perché da allora la finanza che controlla il debito pubblico potrà imporre a qualsiasi governo le misure che vuole; 5. il governo Letta, conclusione logica di questo processo, che azzera la volontà di tre quarti degli elettori italiani (un quarto astenuti; un quarto cinque stelle; un quarto «centro-sinistra») tutti determinati, con il voto o il non voto, a cancellare le politiche di Monti e Berlusconi); 6. Il progetto, non nuovo, di cambiare in senso presidenziale la Costituzione. Questa progressiva espropriazione del Parlamento e degli elettori serve a creare un interlocutore unico che risponda direttamente ai cosiddetti «mercati» (cioè alla finanza, che è la forma attuale del dominio del capitale a livello globale), annullando sia i poteri dei governi nazionali e soprattutto dei comuni, dai quali dipende la gestione della vita quotidiana e della convivenza civile di ogni comunità, sia la prospettiva di cambiare la propria condizione con il conflitto. Questa deriva, che riguarda tutta l'Europa, non porta a una ripresa (ormai prevista da ben cinque anni, per essere ogni volta rimandata all'anno prossimo); bensì al disastro della Grecia, che ormai incombe anche su Spagna, Portogallo, Cipro e Slovenia; ma già investe in pieno anche Italia, Francia e l'Olanda; e presto persino la Germania: il cui governo fa da scudo agli interessi dell'alta finanza solo per non scoprire la situazione disastrosa delle sue banche, che ne sono parte integrante. Ma la resa dei conti si avvicina: un disastro planetario: nemmeno le economie di Cina, India e Giappone vanno più molto bene, mentre la catastrofe ambientale incombe su tutti. In Italia l'occupazione crolla; la disoccupazione dei giovani è al 40 per cento (e gli altri sono precari o hanno rinunciato a cercare un lavoro; ma questi giovani presto saranno adulti, e poi anziani, senza alcuna speranza di un lavoro, di un reddito stabile, di una casa, di una famiglia, della possibilità di mantenere dei figli, di una pensione); scuola, università e ricerca affondano; migliaia di aziende chiudono e non riapriranno più; e non ne nascono di nuove; e con esse spariscono mercati di sbocco, know-how, competenze, abitudine alla collaborazione, coesione sociale, solidarietà. Perciò anche il Governo Letta nasce già vacillante e quel processo di accentramento rischia produrre regimi ancora più duri, magari sotto la di facciata di un antieuropeismo demagogico e populista, solo per nascondere una subordinazione anche più stretta alla finanza. Per invertire quel processo occorre far saltare i
vincoli che inchiodano le politiche economiche e sociali dei governi europei
agli interessi dell'alta finanza: i patti di stabilità esterno e interno; il
fiscal compact; il pareggio di bilancio; il taglio di spesa pubblica e pensioni;
la privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici; la diffusione del
lavoro precario. Ripudiare quei vincoli richiede un programma di respiro
generale che unisce a livello europeo; che può e deve contare su tutte le
rivolte e le mobilitazioni contro i vincoli del debito che da tempo si
moltiplicano in un numero crescente di paesi, o che prima o poi
esploderanno.
Ma per opporsi all'azzeramento della sovranità
popolare non basta restituire al Parlamento quei poteri che i partiti non
vogliono né usare né difendere. All'accentramento dei poteri va contrapposto, in
tutti i paesi d'Europa, il progetto di un loro radicale decentramento: un
governo dei territori, dei servizi pubblici e delle imprese basato sulla
democrazia partecipata promossa dalla componente attiva della cittadinanza in un
regime di trasparenza e leggibilità dei bilanci assolute. Per recuperare e
potenziare quelle funzioni delle Municipalità che i patti di stabilità stanno
soffocando. Ma se è chiaro quali sono le forze che lavorano per l'esautoramento
della sovranità popolare, dove sono mai «i soggetti» in grado di elaborare,
perseguire e portare a compimento un programma alternativo?
Quei soggetti non ci sono. Vanno costruiti. Ma
senza distogliersi dai loro obiettivi specifici, le potenzialità dei movimenti,
dei comitati, delle associazioni, delle iniziative civiche - ma anche e
soprattutto quelle dei milioni di cittadini che in Italia espresso con il voto
la volontà di liberarsi di Monti e Berlusconi - possono trovare una convergenza
nel progetto di imporre alle rispettive amministrazioni comunali - alle poche
disponibili, ma soprattutto alle molte che non lo sono - quel ruolo peculiare
che le politiche di accentramento stanno azzerando: far saltare il patto di
stabilità interno; quello che impedisce ai Comuni di far fronte ai propri
compiti istituzionali, ma soprattutto che inibisce loro la possibilità di farsi
promotori di una radicale conversione ecologica imperniata su un potere diffuso
nei territori. Un passo irrinunciabile per costruire un'alternativa concreta al
potere della finanza a livello locale, nazionale ed europeo.
Non è vero che «non ci sono i soldi» per politiche
di promozione dell'occupazione, di sostegno dei redditi, di riconversione delle
imprese, di salvaguardia del welfare e dell'ambiente. Nel mondo, di denaro o
titoli equivalenti ce ne è anche troppo: oltre dieci volte il valore del Pil
mondiale; e anche in Italia non manca di certo. Ma è nelle mani sbagliate: di
speculatori che lo usano per metter alle corde lavoratori, amministrazioni
locali, piccole e medie imprese e governi. Con quella massa immane di denaro
l'alta finanza - che è ormai mera speculazione: fare denaro con il denaro a
spese di chi non ne ha - impone la sua volontà ovunque. Ma tutto quel denaro è
«solo» virtuale: funziona finché gli stati gli riconoscono un valore; in fin dei
conti non è che una gigantesca «bolla finanziaria» creata nel corso degli anni e
tenuta in piedi - fin che dura - dalle scelte operate da banche centrali,
governi e parlamenti asserviti alla sua potenza. Come si è creata può essere
sgonfiata e ricondotta alle dimensioni necessarie ad alimentare il credito e i
redditi che fanno circolare beni e servizi sui mercati.
Ma per perseguire un sovvertimento del genere
occorre un programma che renda praticabile un diverso modo di organizzare il
lavoro, le imprese, l'amministrazione pubblica e i consumi: il nostro «stile di
vita». Questo programma è il recupero della sovranità all'interno di ogni
territorio non solo in termini politici, ma anche in campo economico: sovranità
alimentare (filiera corta per le produzioni agroalimentari); energetica (fonti
rinnovabili ed efficienza energetica); nella gestione delle risorse (soprattutto
di ciò che oggi bistrattiamo come rifiuti); sui suoli (sottratti a speculazione
edilizia e infrastrutture devastanti); monetaria (controllo partecipato di
banche e monete locali); e, ovunque possibile, anche sulla produzione
industriale (filiere corte con accordi diretti tra produttori e consumatori
associati). In tutti questi campi il ruolo promozionale di una municipalità
democratica e partecipata è fondamentale.
Utopia? I prossimi anni non saranno la prosecuzione
di quelli che abbiamo alle spalle. Siamo ormai in mezzo a sconvolgimenti
radicali; e altri, anche maggiori, sono in arrivo. O li affrontiamo con uno
sguardo capace di vedere oltre le miserie del presente, o ne rimarremo
soffocati
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