Villaggio Globale (Bari), 15, (60), dicembre 2012 www.vglobale.it
Giorgio Nebbia nebbia at quipo.it
Gli anni sessanta del
Novecento sono stati anni di grandi rivoluzioni: i paesi liberatisi dal
colonialismo si sono messi in testa di rivendicare prezzi più equi per le loro
risorse naturali --- rame, gomma, cobalto, fibre tessili, uranio, petrolio ---
che fino allora erano stati sfruttati dai loro colonizzatori; in tanti nel mondo
avevano imparato a osservare la Terra, fotografata dai satelliti artificiali, e
quella sfera nello spazio era apparsa come l'unica casa per gli esseri umani,
grande ma limitata nei suoi continenti e nelle sue ricchezze; alcuni economisti
avevano ironizzato sul significato del PIL mostrando che questo indicatore
ufficiale della ricchezza e del benessere non è capace di tenere conto dei costi
e dei dolori provocati da sempre più frequenti inquinamenti o alluvioni; alcuni
sociologi avevano mostrato tutti i limiti della società dei consumi; alcuni
biologi aveva denunciato che la popolazione terrestre stava crescendo troppo
rapidamente rispetto alla disponibilità di cibo, di spazio, di acqua. La
terribile parola, "limite", aveva fatto la sua comparsa nel vocabolario, con
grande spavento per gli economisti ufficiali, per capitalisti, imprenditori e
uomini politici.
Si poteva capire che gli esponenti di una gioventù
ribelle nei campus universitari cavalcassero questa insoddisfazione, che gli
operai nelle fabbriche fossero insoddisfatti delle condizioni e dei pericoli del
lavoro. Ma che un club proprio di intellettuali borghesi e di imprenditori e
governanti si fosse messo in testa di ordinare un libro che, nel 1972, spiegava
che sarebbe stato necessario porre dei "Limiti alla crescita" della popolazione,
delle merci e della produzione --- questo passava tutti i segni.
Tanto
più che la velenosa idea fece una qualche presa nel mondo; anche nei paesi
industriali, nel mondo politico, non solo nei giovani ribelli. Qualche
governante considerò con attenzione la analisi dei "Limiti alla crescita",
circolò il termine austerità, in Italia rapidamente soffocato; perfino i
dirigenti sovietici parlarono di "uso parsimonioso delle risorse", per non
parlare del mondo cattolico in cui circolavano inviti a minori
sprechi.
Bisognava provvedere, e i rappresentanti del potere economico
crearono una Commissione che elaborò un rapporto, tradotto in italiano col
titolo: "Il futuro di noi tutti", che ha lanciato su larga scala la moda della
sostenibilità, definendo "ufficialmente" sostenibile lo sviluppo che consente
alla nostra generazione di usare le risorse del pianeta lasciando, alle
generazioni future, un patrimonio di risorse che assicuri anche a loro un uguale
sviluppo. Per vostra tranquillità ve lo trascrivo nell'originale inglese:
"development that meets the needs of the present without compromising the
ability of future generations to meet their own needs".
Ci sono senza dubbio
problemi ambientali, di inquinamento, di impoverimento delle riserve naturali,
ma la società capitalistica è capace di assicurare lo stesso lo sviluppo
economico, pur con alcune correzioni, uno sviluppo duraturo, sostenibile,
appunto.
Purtroppo c'è una insanabile contraddizione in termini in tale
definizione: se usiamo oggi una parte delle risorse terrestri non rinnovabili,
questa parte non sarà più disponibile per le generazioni future, per coloro che
nasceranno fra venti o quarant'anni. Una espressione popolare americana spiega
che non si può mangiare la torta e averla ancora. "Can't eat a pie and have
it".
Inoltre c'è confusione fra sviluppo e crescita dei beni materiali,
quelli appunto che si possono ottenere soltanto usando e modificando le risorse
fisiche della natura. Lo "sviluppo" consiste nel diritto di avere una vita
dignitosa, per le donne e per gli uomini, di disporre di abitazioni, di cibo e
di acqua decenti, di avere accesso all'informazione, alla conoscenza, al lavoro
e di godere il diritto della libertà.
Nella definizione "ufficiale" di
sviluppo sostenibile si fa riferimento alla crescita dell'uso delle risorse
naturali che sono, lo spiega bene l'ecologia, limitate fisicamente. Se si
traggono petrolio o gas naturale dai pozzi, carbone dalle miniere,
inevitabilmente se ne lascia di meno alle generazioni future; se si aumenta la
produzione di cereali o di soia si lascia, inevitabilmente, un terreno
impoverito di sostanze nutritive e esposto all'erosione; se si usano i fiumi
come ricettacolo dei rifiuti e delle scorie delle attività umane non si può
sperare e pretendere di avere acqua potabile a valle.
La nostra società
di mercato stabilisce che è bene, anzi obbligatorio, fare aumentare il prodotto
interno lordo, cioè la quantità di denaro che ogni anno circola attraverso una
economia. Ma tale indicatore aumenta soltanto se aumenta la produzione e l'uso e
il consumo di automobili, di cereali, di benzina, di cemento, di scarpe, di
telefoni e computer, di elettricità, carta, eccetera, tutte cose che possono
essere ottenute soltanto estraendo dalle miniere o dai campi o dalle foreste
risorse naturali che non saranno più disponibili alle generazioni future; tutte
cose che inevitabilmente generano scorie che peggiorano la qualità delle risorse
naturali (acqua, aria, suolo, mare) che lasciamo alle generazioni
future.
Per farla breve le attuali regole economiche fanno sì che
l'attuale società --- italiana, europea, mondiale --- sia intrinsecamente
insostenibile. Ci stiamo prendendo in giro, con le grandi attestazioni di amore
per lo sviluppo sostenibile, per la sostenibilità, in un mondo in cui le regole
di base dei rapporti umani e economici sono insostenibili. E la situazione è
tanto più grave in quanto le stesse regole economiche sono state assimilate dai
paesi ex-socialisti e vengono puntigliosamente esportate nei paesi emergenti
come Cina, India, Brasile e anche in quelli poveri del mondo.
Eppure la
speranza di poster continuare sulla gloriosa strada della crescita merceologica,
si è diffusa non solo nella borghesia imprenditoriale, ma anche nel mondo
ambientalista, quello da cui era nata la grande contestazione degli anni
sessanta. E così ci sono stati volonterosi sforzi per attuare un ambientalismo
scientifico, per proporre soluzioni tecnico-scientifiche coerenti col disegno di
sviluppo sostenibile pur nella doverosa possibilità di produrre e consumare e
disporre di più beni materiali.
Se le abitazioni sono strutture che
divorano energia e cemento e acqua è possibile immaginare nuovi materiali da
costruzione, tecniche di isolamento termico, l'inserimento di pannelli solari
sui tetti, pensare e proporre città e case sostenibili.
E' vero che i
consumi di energia sotto forma di prodotti petroliferi, di carbone e gas
naturale immettono nell'atmosfera crescenti quantità di gas, come l'anidride
carbonica, che modificano la composizione chimica dell'atmosfera e provocano
mutamenti climatici disastrosi; è vero che sarebbe ragionevole diminuire le
emissioni dei gas serra, consumando di meno energia, ma di energia c'è bisogno
ed ecco le proposte sostenibili di filtrare i gas dai camini delle fabbriche e
delle centrali, di immettere tali gas nel sottosuolo, di sostituire le fonti
fossili con quelle rinnovabili, ed ecco un proliferare di pale eoliche, di
pannelli fotovoltaici, di centrali alimentate con la biomassa, magari con oli
importati dai paesi tropicali, tutto grazie a provvidenziali finanziamenti
pubblici, ed ecco nuove proficue fonti di affari e di crescita finanziaria, pur
di far correre automobili sostenibili in congestionate città sostenibili, con
grattacieli sostenibili sempre più svettanti nel cielo.
E' vero che molte
merci inquinano durante la produzione e durante il "consumo", è vero che, a
conti fatti, non si consuma niente, che le attività umane non fanno altro che
trasformare le merci in rifiuti gassosi, liquidi e solidi --- quattro chili di
rifiuti per ogni chilo di merce prodotta e usata --- ma anche qui le soluzioni
sostenibili non mancano. E' possibile trarre elettricità e affari dal
trattamento e dal riciclo dei rifiuti, è possibile utilizzare materie
alternative biodegradabili tratte dalla biomassa vegetale in alternativa a
quelle derivate dal petrolio.
Anche se, col procedere verso improbabili
soluzioni sostenibili si è poi visto che si usciva da una trappola per cascare
in un'altra; la produzione su larga scala di carburanti sostenibili, alternativi
alla benzina, dal mais o dallo zucchero sconvolgeva l'agricoltura dei paesi
poveri; l'uso di grassi vegetali per la produzione di carburanti diesel
provocava la distruzione delle foreste tropicali per fare spazio a piantagioni
di palma. Al punto da riconoscere che si toglieva il cibo di bocca ai paesi
poveri per far correre i SUV dei parsi industriali.
Pochi numeri aiutano
a mostrare la insostenibilità della sostenibilità. La produzione primaria netta
--- cioè il peso (secco) di materiali vegetali formati attraverso la fotosintesi
(detratte le perdite per la respirazione vegetale) --- è, sulle terre emerse, di
circa 100 miliardi di tonnellate all'anno.
Di questa ricchezza in gran
parte rinnovabile, rigenerata ogni anno dai cicli della natura, per
l'alimentazione umana e degli animali da allevamento e come legno e altre
materie vengono prelevati circa 6 miliardi di tonnellate all'anno. Il peso del
carbone, del petrolio e del gas naturale portati via ogni anno dalle viscere
della Terra ammonta a circa 12 miliardi di tonnellate, a cui vanno aggiunti
circa 30 miliardi di tonnellate all'anno di minerali, materiali da costruzione,
tutti non rinnovabili. La trasformazione di tutti i materiali, tratti dalla
natura, da parte dei sette miliardi di esseri umani esistenti nel 2012, e che
aumentano in ragione di circa 70 milioni di persone all'anno, genera ogni anno
circa 35 miliardi di tonnellate di gas anidride carbonica, oltre a miliardi di
tonnellate di altri gas che finiscono nell'atmosfera alterandone la composizione
chimica e accelerando i mutamenti climatici; e genera miliardi di tonnellate di
sostanze organiche e inorganiche che finiscono nelle acque prelevate dai corpi
naturali e restituite inquinate alla natura in ragione, nel mondo, di circa 4000
miliardi di tonnellate all'anno; e genera scorie e residui solidi che finiscono
sul suolo. Una parte infine, soprattutto di minerali e metalli e rocce, resta
immobilizzata nella tecnosfera --- nell'universo delle cose fabbricate, edifici,
macchinari, oggetti a vita media e lunga --- che si dilata continuamente e
irreversibilmente.
In un piccolo paese come l'Italia la sola massa dei
rifiuti solidi ammonta a 0,2 miliardi di tonnellate all'anno, quella dei gas di
rifiuto ammonta a oltre mezzo miliardo di tonnellate all'anno, la massa di acqua
che entra nelle fabbriche, nelle case e nei campi e ne esce contaminata da
rifiuti e agenti vari ammonta a circa 60 miliardi di tonnellate
all'anno.
Volenti o nolenti, comunque di cose materiali gli esseri umani
hanno bisogno, in quantità crescente anche per l'inarrestabile aumento della
popolazione mondiale. Tutto quello che si può fare per attenuare la
insostenibilità dovuta all'impoverimento e al peggioramento della qualità
ecologica delle risorse naturali, è cominciare a chiedersi: chi ha bisogno di
che cosa ?
Davanti a circa 2000 milioni di abitanti della Terra che sono
sazi di beni e di merci, talvolta obesi di sprechi, ci sono sulla Terra circa
3000 milioni di persone che, nei paesi di nuova industrializzazione, stanno
correndo a tutta velocità nell'aumento insostenibile della produzione e del
consumo di energia, di metalli, di cemento, di automobili, di apparecchiature
elettroniche, e poi ci sono altri 2000 milioni di persone povere e metà di
queste non dispongono di una quantità sufficiente di cibo, di acqua di buona
qualità, sono povere di libertà e dignità, beni che richiedono anch'essi beni
materiali, perché non si può essere liberi e non si può vivere una vita
dignitosa se mancano abitazioni decenti, letti di ospedale, banchi di scuola.
Una mancanza che è giusta fonte di rivendicazioni, di violenza, di pressioni
migratorie verso paesi opulenti che non vogliono spartire la loro opulenza. Una
mancanza che può essere sanata soltanto con la terribile e improponibile
proposta di imporre ai ricchi di consumare di meno per lasciare ai poveri una
maggiore frazione di beni materiali che gli consenta di avere una vita
minimamente decente. Qualche considerazione sul produrre che cosa per chi in: http://www.scribd.com/doc/93089744/unsustainibility.
Resta
la domanda: quanto a lungo può durare una società insostenibile ? Da quando gli
esseri umani hanno abbandonato la loro condizione di animali cacciatori e
raccoglitori, in relativo equilibrio con i cicli rinnovabili e sostenibili delle
risorse naturali, è cominciato un inarrestabile cammino verso l'aumento della
popolazione, l'aumento dei desideri di questi nuovi animali speciali, gli umani,
e, di conseguenza, il crescente impoverimento delle riserve di "beni" naturali e
il peggioramento delle condizioni, della qualità, dei corpi naturali.
L'insostenibilità è la punizione di cui parla la Bibbia per coloro che hanno
osato mangiare il frutto della conoscenza.
E' del tutto vano
chiacchierare su quanto a lungo potrà durare la storia dell'uomo sulla Terra, su
quanto potranno durare le riserve di petrolio o di minerali, su quanti gradi
aumenterà la temperatura del pianeta o su quanti metri si solleveranno gli
oceani, sul massimo numero di esseri umani che la Terra può sopportare. Nove
miliardi di persone a metà del XXI secolo ? dieci o undici alla fine del XXI
secolo ? Come vivranno e dove saranno questi in futuro ? Finirà un giorno
l'avventura degli esseri umani su questo pianeta ? Domande futili perché anche
dopo la scomparsa degli esseri umani, dei nostri arroganti grattacieli e delle
nostre fabbriche e centrali, e anche quando le scorie radioattive che lasciamo
alle generazioni future si saranno stancate di liberare radioattività,
continuerà la vita, quella si, sostenibile, a differenza delle cose umane, fino
a quando il Sole anche lui, non si sarà stancato di gettare calore nello spazio.
Per ora, nel brevissimo (rispetto ai tempi della natura) spazio di una o dieci o
cento generazione, accontentiamoci di ammirare il mondo che ci circonda e, se
possibile di rispettarne le meraviglie.