La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 10 aprile 2012
Giorgio Nebbia nebbia at quipo.it
La marcia dei
lavoratori dell'acciaieria di Taranto, il 21 marzo 2012, in difesa del posto di
lavoro "contro" gli "ambientalisti" merita qualche considerazione più generale.
Nella società industriale sono spesso contrapposti differenti diritti. La
"contestazione" chiede il rispetto di alcuni diritti fondamentali, da quelli di
un lavoro decente e equamente retribuito nelle fabbriche e nei campi, a quelli
"ecologici", che i fumi e i rifiuti delle attività produttive non avvelenino la
popolazione. Gli imprenditori, da parte loro, hanno il "diritto" di trarre, dal
denaro investito per produrre merci mediante il lavoro umano, un profitto
necessario per poter investire in altre fabbriche che producono altre merci
mediante altro lavoro umano.
Se il problema fosse così impostato non ci
dovrebbero essere conflitti: le merci sono necessarie per soddisfare fabbisogni
umani (di cibo, di vestiario, di trasporto, di abitazione, eccetera) che le
donne e gli uomini ottengono "vendendo", in cambio di un "salario", il proprio
lavoro. In realtà tutta la storia dell'industrializzazione moderna ha visto, in
generale, la ricerca, da parte degli imprenditori, di alti profitti sia per una
loro crescente avidità, sia anche solo per sanare errori del passato, a spese
degli altri due diritti fondamentali: la salute dei lavoratori e la salute
dell'ambiente, che vuol poi dire la salute delle famiglie degli stessi
lavoratori, al di fuori della fabbrica, e dell'intera comunità. Il rispetto di
tali diritti richiede azioni che inevitabilmente comportano minori profitti per
gli imprenditori: maggiori costi per i filtri dei fumi, il trattamento dei
rifiuti,il rispetto del paesaggio, la sicurezza sul posto di lavoro,
eccetera.
Poiché a nessun piace guadagnare meno, la "contestazione" è
stata vista come il fumo negli occhi da intere generazioni di imprenditori che
hanno reagito chiedendo ai "governi" di evitare o attenuare le leggi che
impongono orari di lavoro più corti, maggiore sicurezza, filtri e depuratori,
eccetera, E molte volte, quando un "governo" si è fatto interprete della domanda
di difesa della salute e dell'ambiente, gli imprenditori hanno avvertito i
lavoratori che, se fossero passate queste norme più rigorose, la fabbrica
avrebbe dovuto chiudere e loro avrebbero perso il lavoro. Era facile immaginare
che i lavoratori avrebbero reagito anteponendo, giustamente dal loro punto di
vista, il posto di lavoro, cioè un salario indispensabile per le famiglie, alle
precauzioni per la difesa della salute o dei fiumi o del paesaggio. Al
disoccupato è difficile spiegare che ha perso il posto di lavoro in seguito ad
interventi presi nell'interesse suo, della sua famiglia, dei figli, di un
imprecisato "bene comune". Una contrapposizione lavoro/ambiente che costituisce
un "ricatto occupazionale".
Non so se "i padroni" del siderurgico hanno
organizzato la marcia dei lavoratori a Taranto; credo soltanto che la grande
sfida, anche per uscire dalla crisi europea attuale, consista proprio nel
cercare di conciliare dei diritti oggi contrapposti; non basta promuovere
"attività verdi", che spesso ripropongono le stesse contrapposizioni
profitto/lavoro/ambiente. Un governo "pro bono publico", nell'interesse della
comunità, ha (dovrebbe avere) la possibilità di assicurare il lavoro nella
produzione di beni e merci e servizi utili garantendo nello stesso tempo salari
equi e condizioni di salute e ambiente decenti per i lavoratori e le loro
famiglie. Ci sono tutte le condizioni e le conoscenze tecniche, scientifiche e
biologiche per produrre merci e energia senza avvelenare le persone e
l'ambiente, senza distruggere beni collettivi. Se anche i governanti non
volessero affrontare questa sfida nel nome del bene pubblico, del cristianesimo,
del rispetto per il prossimo, farebbero bene a impegnarsi per tali obiettivi,
dal momento che i conflitti, l'insofferenza dei lavoratori, la protesta
dell'opinione pubblica fanno anche diminuire gli affari, i profitti, i commerci,
quella che si chiama la "crescita" economica, la stabilità
sociale.
L'occupazione non si garantisce accettando che tonnellate di
polveri entrino ogni anno nei polmoni degli operai della cokeria e degli
altiforni dell'acciaieria di Taranto e piovano sui terrazzi e nei polmoni degli
abitanti di Tamburi, accettando la deturpazione delle cave ridotte a discariche,
con lo sfruttamento degli immigrati nei disumani lavori nei campi, con le
costruzioni di palazzoni sulla riva di cave abbandonate, con parcheggi scavati
nelle falde idriche sotterranee, eccetera. Devo riconoscere che alcune forme di
contestazione "ambientalista" sono ispirate a paure immaginarie, ma anche queste
sono motivate dal fatto che tante persone "non si fidano" e ritengono, talvolta
giustamente, che le leggi e i governi non operano per difenderle dalle diossine
o dalle frane, ma per non disturbare gli interessi e gli affari del potere
economico. Quando si perde la fiducia nei governi eletti dal popolo si perdono
anche le virtù della democrazia.