atene non puo' pagare



ATENE NON PUÒ PAGARE
 
Fonte: JOSEPH HALEVI - il Manifesto | 07 Febbraio 2012

La vicenda greca sta arrivando alla sua conclusione formale e all'apertura di una fase del tutto nuova sia per il paese che per l'Europa.Alla Grecia viene imposto un trattamento paragonabile alle riparazioni di guerra decise a Versailles nel 1919 nei confronti della Germania; riparazioni che la popolazione tedesca non poteva pagare. Che Berlino fosse responsabile dello scoppio del conflitto, per altro interimperialistico, non conta, così come non conta che Atene o Roma abbiano «speso» troppi denari pubblici. Rimborsare il debito attraverso tagli e austerità fa crollare la società ed elimina le condizioni stesse del rimborso. Keynes lo capì benissimo e scrisse un famoso libretto di analisi e di denuncia. L'Europa che ha prodotto i Monti e i Papademos è spazzata dallo stesso perfido vento irrazionale che la caratterizzò nel periodo interbellico: francesi e inglesi volevano i pagamenti da parte della Germania e gli Usa volevano che gli europei pagassero i crediti di guerra erogati da Washington, spingendo Londra e Parigi ad aumentare la pressione sulla Germania di Weimar. Furono la seconda guerra mondiale e l'ordinamento di Bretton Woods a spezzare il circolo vizioso.
È la stessa logica, applicata all'obbligo del pagamento del debito pubblico, ad aver portato i Papademos e i Monti al potere esprimendo un fallimento politico, morale e istituzionale completo dell'insieme dell'Unione europea. L'ottusità monetaria del governo Merkel non corrisponde a una razionale strategia del capitale tedesco. Piuttosto riflette il miraggio di un traghettamento della Germania verso uno spazio vitale economico oltre l'Europa, verso la Cina e gli altri grandi paesi emergenti. Questo miraggio, perseguito dal governo e dalle maggiori industrie, rafforza l'idea di Berlino di non volere vincoli nei confronti dei singoli paesi europei - rifiutandosi quindi di riconoscere che il peso non può gravare prioritariamente sui paesi in deficit altrimenti tutto il sistema economico va in retromarcia - ma di esigere però che i singoli paesi rispettino i vincoli finanziari verso la Germania. La Grecia ora in miseria non può più pagare, punto e basta.
Se il governo ellenico firma quanto richiesto dalla Germania l'impossibilità di pagare si manifesterà nell'ulteriore immiserimento della spossata popolazione con il conseguente crollo, già ampiamente in atto, della base dell'imponibile da dove provengono i soldi per i rimborsi, tra i quali vanno annoverate le somme pattuite con l'Europa e il Fondo monetario internazionale. Se firma, la Grecia si avvia verso un sicuro fallimento di fatto piuttosto che formale ma con tutte le implicazioni negative riguardo il sistema finanziario e reale europeo.
L'ottusità tedesca esprime pienamente la sua retrograda stupidità quando i governanti di Berlino vogliono far credere che sia possibile cauterizzare il bubbone greco impedendo il contagio e che, di fronte alle drastiche misure di austerità del Portogallo, della Spagna e dell'Italia basti una maggiore flessibilità dei salari e delle condizioni di lavoro per far riprendere tutti, compresa l'agonizzante Grecia. Sono tesi profondamente false che esprimono l'ideologia delle classi dirigenti europee in crisi.

 
Cinque manovre finanziarie, 1 milione di disoccupati (il 20,9% della popolazione), 12 punti di Prodotto interno lordo persi (Pil), il debito pubblico inchiodato al 160% della ricchezza nazionale, deficit stabile al 10% e salari minimi lordi precipitati a 580 euro.
I risultati di tre anni di cura teutonica alla Grecia malata di conti truccati, spesa pubblica fuori controllo e scarsa produttività sono racchiusi nel realismo inconfutabile di numeri che raccontano di una crisi senza fine.
Per risolverla, l’Europa e il Fondo monetario internazionale hanno messo sul piatto un nuovo prestito da 130 miliardi di euro (da sommarsi ai 110 erogati tra il 2010 e il 2011), in cambio di sacrifici sociali e tagli draconiani, ai quali lo stesso parlamento si è in parte opposto .

IL RISANAMENTO IMPOSSIBILE. Eppure, mentre piazza Syntagma ancora brucia di rabbia, il dubbio che l’accanimento terapeutico su Atene sia la strada sbagliata inizia a sfiorare anche insospettabili neoliberisti cresciuti tra le Banche nazionali e i salotti del Fondo monetario internazionale (Fmi).
«Nella migliore delle ipotesi, dopo il salvataggio ci sarà un periodo di calma al termine del quale si scoprirà che la riduzione di stipendi e pensioni ha esacerbato la recessione», ha scritto Wolfgang Münchau, economista e fondatore del quotidiano Financial Times Deutchland, sulle colonne del quotidiano londinese. «E allora ci sarà bisogno di nuovi tagli. Ma la politica potrebbe non prestarsi più».

Debito insostenibile in un decennio e crescita quasi impossibile
Dall’esplosione della crisi greca, poi diventata crisi del debito e quindi dell’intera Eurozona, i governi di George Papandreu e Lucas Papedemos hanno accettato le condizioni impossibili imposte dalla Troika di creditori internazionali (Unione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale) pur di evitare un default incontrollato e conservare un posto all’interno della Ue.
Ma con 65 miliardi di ricchezza volatilizzati in quattro anni (su un Pil che ne vale complessivamente 300) e 150 mila persone da licenziare solo nella pubblica amministrazione entro il 2015, i greci hanno smesso di credere che restare nella Ue sia la soluzione ai loro problemi.

I CONTI NON TORNANO. D’altra parte, se anche il risanamento dell’economia tramite l’austerity dovesse dare i propri frutti (come, peraltro, non accaduto nei due anni scorsi), il rapporto tra debito e Pil di Atene si assesterebbe a 120 entro il 2020; lo stesso livello attuale di quello italiano, giudicato insostenibile. Come dire che un decennio di sacrifici potrebbe non produrre risultati alcuni.
Non solo: la mancanza di denaro e lavoro, causata dai tagli, dalla stretta del credito e dal riduzione della spesa pubblica, difficilmente potrà spingere la ripresa economica. Esaurita la provvista di liquidità fornita dalla Troika, la Grecia potrebbe dunque essere nuovamente incapace di pagare i propri debiti, per quanto ridimensionati dall’accordo con i creditori. E il ciclo potrebbe riaprirsi un’altra volta.

RISTRUTTURAZIONE SBAGLIATA. «Qualsiasi politica per mantenere la Grecia dentro la moneta unica o alla Ue avrebbe dovuto essere realizzata su altre basi: una ristrutturazione del debito ben fatta e politiche di crescita. Ma non è andata così», ha spiegato a Lettera43.it Giuseppe Pennisi, economista ed ex direttore italiano dell’Organizzazione internazionale del Lavoro. «La trattativa sul debito è stata infatti portata avanti solo con i creditori privati, che sono meno del 50% del totale. E rischiando oltretutto di favorire gli hedge fund, che hanno comprato quel debito per due soldi e ora possono guadagnarci». Non solo: «La crescita è stata totalmente dimenticata. Da chi ha imposto il risanamento, e da chi lo ha accettato supinamente perché sapeva di aver truccato i conti prima».

Il rischio di una deriva civile come la Germania degli Anni 30
Insomma, la politica greca prima ha mentito spudoratamente per farsi accettare nell’Unione europea. E oggi, per restarci, costringe i suoi cittadini a misure draconiane che probabilmente spingeranno il Paese nel baratro della fame. E in quello della violenza.
Atene bruciava domenica 12 febbraio, mentre il governo si sgretolava e la Troika incassava l’ennesimo sì nel nome della moneta unica e della coesione dell’Unione europea.

IL PAESE DI NUOVO ALLE URNE AD APRILE. Il rischio, però, è che ad aprile 2012, quando il Paese tornerà alle urne, la nuova maggioranza possa scegliere di non rispettare gli impegni presi, visto lo scarsissimo gradimento dei cittadini. In quel caso, i 130 miliardi del salvataggio e i sacrifici fatti finora dalla nazione saranno stati buttati via.
Con conseguenze interne ed esterne. Da un lato, il Portogallo, che tenta un difficile risanamento dopo il salvataggio del maggio 2011, potrebbe subire il contraccolpo dei mercati, con un’impennata dei rendimenti dei propri titoli di Stato impossibile da sostenere.
Ma, più spaventoso, è il rischio interno alla Grecia, già travolta da tensioni civili senza precedenti dalla fine del regime dei Colonnelli.
«Nel 1929 per superare la crisi il cancelliere tedesco Hermann Müller licenziò gli statali e fece 5 milioni di disoccupati. Così facendo regalò la Germania a Hitler», ha riassunto Elvio Del Bosco, per 30 anni funzionario del centro studi della Banca d’Italia. «Per tenere la Grecia in Europa li stiamo costringendo a misure terrificanti e rischiamo di creare un mostro».