R: le sberle dell'economia
- Subject: R: le sberle dell'economia
- From: "a.ceresa2002 at libero.it" <a.ceresa2002 at libero.it>
- Date: Mon, 11 Jul 2011 11:46:59 +0200 (CEST)
DARE UNA MANO AI NOSTRI POLITICI NELL’INDICARE LA STRADA
DELLA DEMOCRAZIA IN UN PAESE MOLTO MALATO.
Una fotografia del nostro Paese scattata nel tempo, rivela: Tanti Governi Amministrati da persone malate - Tante opposizioni altrettanto malate - Tanti Sindacati senza voce o completamente estinti - Tante Pseudo Organizzazioni in difesa dei diritti umani - Tante Onlus che raccolgono fondi in Italia e operano all’estero. Tantissime contraddizioni che sopprimono il Paese e si giustificano con un mondo di parole create per generare confusione e speranze, dove la corruzione, la speculazione, l’imbroglio e il furto, svolge una gratificante azione addizionale per le attività Politiche, le quali pretendono maggiore libertà e l’immunità per poter agire senza vergogna.
Basti pensare che in 65 anni di Repubblica abbiamo avuto 61 Governi, tutti fondati su imposizioni che hanno permesso alle varie formazioni Politiche di affondare le mani nel grande contenitore Nazionale senza fondo, il quale ha generato lo spaventoso debito pubblico nazionale.
A giudicare dalla situazione attuale del nostro Paese, possiamo paragonarlo alle fantasie popolari di grandezza e meraviglia riconducibili alle storie inventate di Sansone e i Filistei, dove dal racconto Biblico si legge che la forza sopranaturale di Sansone risiedeva nelle palle, sostituita poi dalla lunghezza dei capelli, da cui prende spunto il sistema Politico Italiano, che ha portato i nostri Governi a resistere, alcuni soltanto pochi mesi, tutti fondati sulla scaltrezza della dialettica Politica con continue promesse, che oggi non incantano più neanche gli stolti.
Il passato è scivolato sotto ai nostri occhi senza adeguata attenzione, ma i fatti che recentemente hanno infuocato le ribellioni di molti Paesi dell’Africa e Medio Oriente, hanno permesso al mondo, anche quello più evoluto, di spalancare gli occhi e non accettare più le furbizie adottate della Politica.
Molti paesi Europei disastrati dai conti pubblici fra i quali: la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna, il Belgio, l’Italia, e tanti altri che tentano provvisoriamente di resistere, dimostrandosi non toccati dalla corruzione interna, richiede una profonda e attenta revisione dei sistemi di fiducia dei cittadini nei confronti dei Politici in generale, i quali sostengono di comune intesa il sistema adottato della casta privilegiata, nell’ approfittare tutti uniti delle risorse dei Paesi, con l’avvallo dei Parlamenti, Senati, Regioni, Province, Comuni, Sindacati e la Fede Cattolica.
Il consiglio dei saggi indica alla Politica del Paese, di seguire la Ragione Democratica <RD> formata da <un ponte fra i Cittadini e l’Autorità preposta>, per ridurre i costi e danni della Politica, eliminare il Parlamento divenuto un organo inutile di scambio, un mercatino, un Trade Center di interessi esclusivi dei Partiti dove si comprano e vendono le persone per interessi personali e sostituirlo con l’introduzione di un sistema Referendario Nazionale, per guidare il Governo nelle scelte Politiche interne e internazionali, evitando improvvise situazioni di Bancarotta, venute alla luce soltanto dopo la Rivoluzione Africana, incolpando la crisi Internazionale.
A nostra sorpresa, un esempio di attenta considerazione per l’emancipazione e controllo della Politica proviene dall’Islanda. Un Paese con un area equivalente ad un terzo dell’Italia.
Il popolo Islandese, dopo aver preso atto dell’enormità del debito pubblico generato dai vari Governi corrotti del Paese, i cittadini dimostrando qualità e coraggio, occupano le piazze e attraverso la formazione di un Consiglio Direttivo Popolare, bloccano la Borsa, Nazionalizzano la più importante Banca del Paese, dichiarano la Bancarotta, riscrivono la Costituzione, vengono emessi i primi mandati di arresto per diversi Politici e Banchieri e spalancano le porte delle carceri per la crema del Potere che ha indotto il Paese al fallimento.
L’informazione pubblica Europea, sempre attenta agli scandali di minore portata, in questa occasione tace, per non riscaldare ulteriormente gli animi della Comunità, già sufficientemente arroventati in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.
Avanti il prossimo, La Grecia, dopo l’improvviso fallimento dei conti pubblici, il popolo esplode con disordini occupando le piazze del Paese. Interviene immediatamente la Comunità Europea tentando di sedare gli animi con la promessa di aiuti economici seguiti da forti sacrifici richiesti alla Popolazione Ellenica, allo scopo di non distruggere l’Euro, considerato l’arma primordiale della BundesBank, dove tutti gli Stati Membri pagano a caro prezzo la Globalizzazione, il Signoraggio e i Costi della Politica Economica Mondiale, architettata dal Potere Finanziario.
Il problema Greco è in una fase di stallo, mentre la popolazione chiede la confisca dei beni dei Politici autori del fallimento del Paese. L’informazione Europea tace, dando l’impressione che la situazione si è risolta senza pregiudizi, mentre la realtà bolle in un pentolone prossimo all’esplosione.
Avanti un altro, La Spagna, medesimo motivo con i conti Pubblici improvvisamente disastrati. Il popolo in rivolta pacifica occupa le piazze del paese e chiede la revisione dei privilegi assunti dalle formazioni Politiche che hanno indotto il paese alla catastrofe economica. Intervengono le teste di legno insofferenti ai problemi del paese e tentano di sedare la rivolta con manganelli, Gas e sistemi polizieschi, ma il popolo Spagnolo momentaneamente regge senza reagire.
L’informazione tace per non incoraggiare alla rivolta popolare gli altri paesi dell’Unione Europea.
Il prossimo, Il Belgio, senza Governo da oltre un anno, merita elogi per aver trovato la soluzione migliore per bilanciare i conti pubblici.
L’Italia, forse la più colpita, vive una situazione di forte contrasto dovuta alla disinformazione, la quale in un paese disunito da un miscuglio di razze, civiltà e filosofie, guidate da un Presidente Comunista formato alla repressione e alla guerra, un Presidente Capitalista formato alle rendite dei capitali, una Democrazia Cristiana con la spada in mano nella difesa della MundisBank con sede a Roma, e tantissimi Partitelli Politici che controllano liberamente Regioni, Province e Comuni, spaccando l’Italia in tanti spicchi favorevoli alle speculazioni, imbrogli e furti Istituzionalizzati della peggiore specie, mentre i Sindacati sono immobili o inesistenti. Paga sempre il Popolo bue.
Abito in una casa finanziata dalla GESCAL con i soldi dei lavoratori, ricevuta con regolare assegnazione a condizioni di riscatto. Dopo aver pagato oltre dieci volte il suo valore originale, con servizi fatturati e pagati ma non effettuati, la casa viene requisita dalla Regione Lombardia Governata dal Partito della Chiesa Cattolica <Comunione e Liberazione>.
Mi sono rivolto per oltre dieci anni alle Autorità del Paese, ma nessuno ha osato interessarsi del problema e tanto meno rispondere.
A questo punto mi sono rivolto al mondo, portando a conoscenza la realtà della Mafia Istituzionalizzata nel nostro Paese, chiedendo un intervento punitivo contro l’Italia, per il mancato rispetto dei diritti umani, iniziando dal Senato Americano, le Nazioni Unite, la Commissione Europea, il Tribunale Europeo, la Lega Araba e tantissime Nazioni. Mi sembra che si incominciano ad intravvedere i risultati.
Cacciati dalla Libia, strozzati Economicamente, bloccati nell’esportazione, boicottati in Borsa. Tanto per soddisfare inizialmente tutti coloro che non capiscono perché il nostro Paese è sotto la scure di Damocle.
I danni generati da Formigoni, il reuccio di Comunione e Liberazione, faranno piangere a lungo gli sprovveduti che eleggono le persone in virtù dei manifesti stradali. Vi posso assicurare che il futuro sarà molto peggio sino a quando non si decideranno di rispettare gli accordi originali e i diritti umani.
Il debito pubblico del nostro Paese, fra i più alti in Europa, due mila miliardi e forse molto di più, considerando anche i debiti contratti dalle Regioni e Comuni. A queste cifre spaventose per un Paese senza risorse, senza voce in Parlamento, senza voce dei Sindacati e senza rispetto dei diritti umani, bisogna aggiungere l’indebitamento delle Imprese Italiane che ammonta ad ulteriori mille miliardi di Euro.
Questa situazione alquanto allarmante non sembra preoccupare il Governo e neanche i Sindacati, favorendo la casta Politica per un posto al sole o una comoda poltrona, continuando a spremere i cittadini con l’approvazione di nuove tasse che inginocchiano sempre di più il paese.
Fabbriche che chiudono o si trasferiscono, disoccupazione in aumento con una riduzione crescente dei servizi alla Nazione, cancellando una buona parte delle spese Mediche e ambulatoriali, e la pretesa di finanziare i nostri soldati armati di tutto punto in giro per il mondo, inviati a soffocare i diritti umani di altri paesi, facendoli passare per Esercito della Pace.
Il Ponte di Messina, le Centrali Nucleari, il Progetto TAV, i 150 Aerei militari in ordinazione e tantissimi altri Progetti iniziati e abbandonati con miliardi di Euro sprecati inutilmente, certamente non favoriscono lo sviluppo del Paese.
E’ alquanto necessario che la Comunità dei saggi, intervenga quanto prima per risparmiare al Paese già disastrato, il peso della Banca Rotta Nazionale.
Anthony Ceresa.
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----Messaggio originale----
Da: lonanoda at tin.it
Data: 11/07/2011 9.32
A: "economia"<economia at peacelink.it>
Ogg: le sberle dell'economia
Politica economica: Guido Viale: Le sberle dell'economia
Venerdì 17 Giugno 2011 15:27
Il vento che ci ha portato all'esito delle elezioni amministrative e dei referendum continuerà a soffiare; bisogna cominciare a fare i conti con i problemi che ci troveremo di fronte a breve. A cominciare dai problemi economici. C'è ancora qualcuno che crede che la Grecia possa ripagare il suo debito (in gran parte nelle mani di banche francesi, tedesche e inglesi e ora anche della Bce) o anche solo rinegoziarlo a tassi accettabili mentre le politiche che le impone l'Unione Europea annientano qualsiasi possibilità di ripresa?
O c'è ancora qualcuno che crede che alla lunga possano sottrarsi a una sorte analoga gli altri paesi europei che si trovano più o meno nella stessa posizione della Grecia, a meno di una revisione radicale del "patto di stabilità"? E c'è ancora qualcuno che pensa che in un contesto simile l'economia italiana possa tornare a crescere, realizzando un avanzo primario sufficiente a riportare il suo debito al 60 per cento del Pil? E poi, di che crescita stiamo parlando? Di una crescita del Pil, cioè contabile, per soddisfare le società di rating, interamente controllate dai big della finanza internazionale.
Quella stessa finanza che - dopo aver mandato in rovina milioni di clienti irretiti da mutui fasulli, di risparmiatori ingannati da titoli di carta straccia, di imprese rimaste senza credito perché le banche continuano a investire sui derivati - sta ora scommettendo sul fallimento di quegli Stati che si sono svenati per salvarla, svenando a loro volta i propri cittadini.
E ancora, è forse possibile affrontare temi di ampio respiro - come il dibattito sul reddito di cittadinanza (su cui si appena svolto a Roma un incontro promosso dal Basic Income Network); o il finanziamento di scuola, università e ricerca; o un piano nazionale di lavori pubblici finalizzato alla manutenzione del territorio, degli edifici pubblici e di quelli dismessi (e non alle "grandi opere"), e molte altre cose ancora - ipotizzando un semplice spostamento da una posta di bilancio a un'altra di fondi in gran parte "virtuali", cioè inesistenti, e senza venir meno al patto di stabilità dell'Unione Europea (quello di cui si fa forte, e che rende forte, Tremonti)?
Il dibattito sul ritorno alla crescita, imperativo categorico di tutto l'establishment economico, politico e sindacale del paese - ma anche del resto del mondo - e che ha coinvolto anche, su questo giornale, Valentino Parlato e Pierluigi Ciocca, lascia perplessi.
Si parla, certo con approcci differenti e anche contrapposti, delle condizioni perché l’economia italiana torni a crescere: in due tempi, secondo alcuni; perché senza tagli di bilancio e "conti in ordine" non può esserci ripresa; con più ricerca, più investimenti, più occupazione, secondo altri; perché questa è la premessa per poter salvare i conti pubblici. Ma di quale ricerca, quali investimenti, quale occupazione, cioè di quale "crescita" non si parla mai.
Non sono un fautore della decrescita. Trovo questo concetto povero di contenuti; inutilizzabile, se non impresentabile, nelle situazioni di crisi (quando a essere messi in forse sono redditi e posti di lavoro); ambiguo (in quanto speculare, anche se opposto, a quanto ci viene proposto dagli economisti mainstream). Non credo che le otto "R" di Latouche (rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare) apporti al dibattito politico molto più di un chiarimento concettuale. Però, quando si scende - se mai si scende - sulle cose da fare o proporre è molto più facile ritrovarsi d’accordo al di là delle formulazioni dottrinarie. Ma questa diffidenza non significa certo accettazione del diktat della crescita.
Il problema è individuare prospettive e proposte praticabili secondo il principio "pensare globalmente e agire localmente"; dunque, in contesti in cui è possibile raccogliere le forze intorno a obiettivi condivisi. La campagna referendaria contro la privatizzazione dell'acqua, con tutti i significati di cui si è caricata nel corso del suo svolgimento, è l’esempio di un agire che da modeste dimensioni ha assunto un respiro generale. La costruzione di un Gas (gruppo di acquisto solidale) è l’esempio di una prassi che ha un valore paradigmatico, anche se effetti ancora circoscritti.
In ogni caso, la "crescita" (un concetto largamente screditato: lo ricordo a Valentino Parlato) non può essere un obiettivo; e nemmeno lo "sviluppo"; lo è il governo o, meglio, l'autogoverno dei processi economici. La conversione ambientale (ecologica, diversificata, diffusa, solidale, partecipata, sostenuta dai saperi della cittadinanza attiva) nei settori decisivi dell'efficienza e dell'approvvigionamento energetico, dell'uso razionale delle risorse - di cui la gestione dei rifiuti è solo l'ultima fase - dell'agricoltura dell'agricoltura e dell'alimentazione, della gestione del territorio, edificato e non, dell'educazione e della ricerca, è una prima approssimazione al concetto di autogoverno. E qui ci si ferma; perché per le sue caratteristiche di processo che nasce dal basso e, pur armato di buone pratiche e dei saperi che scienza, cultura e tecnologia mettono a nostra disposizione, la conversione ecologica ha bisogno in ogni luogo della partecipazione e concorso degli organismi attraverso cui si esprime la cittadinanza attiva. Per questo ogni sua ulteriore definizione è in gran parte rimandata ai processi di auto-organizzazione e di autogoverno.
Tuttavia, mano a mano che i processi molecolari si concretizzano, unificano e rafforzano, i movimenti vengono a confronto ed entrano in conflitto con il potere della finanza internazionale e dei governi che ne sono mandatari a livello statuale. La prima posta in gioco di questo confronto è il bilancio degli Stati. E lungo questo percorso, la strada della bancarotta della finanza statale, a meno di una revisione radicale del patto di stabilità, sembra essere una tappa obbligata. Si tratta solo di vedere chi e come la gestirà.
Prendiamo la Grecia. Prima o poi farà default. Chi lo nega lo fa per scaramanzia; ma è come nascondere la testa sotto la sabbia. Il problema è se a questo passaggio obbligato si arriverà dopo aver spolpato lavoratori e popolo di tutto quello che hanno conquistato nel corso del secolo scorso, e dopo aver svenduto alla finanza internazionale tutto il vendibile (porti, utility, servizi pubblici, acqua, edifici, isole, spiagge,magari anche il Partenone); oppure se la dichiarazione di insolvibilità arriverà prima delle svendite, perché la mobilitazione popolare – e il timore della sua moltiplicazione in molti altri paesi - avrà imposto al governo greco o all’Unione europea un cambio di rotta. Il che ci ricollega alla mobilitazione in corso in Spagna, a un referente nelle rivolte dei popoli del Maghreb e del Medio Oriente e, finalmente, anche un po' al vento che ha preso a soffiare in Italia.
E da noi? Qualcuno ha cominciato a pensare come si governa l'economia di un paese insolvente? Magari in compagnia di altri paesi insolventi? Forse non è una prospettiva immediata, ma nemmeno una mera ipotesi di scuola e meriterebbe qualche attenzione in più. Gli economisti che possono farlo non mancano. Gli esempi a cui rifarsi, nemmeno. L'ultimo in ordine di tempo è l'Argentina, che non ne è neanche uscita tanto male; anche grazie al fatto che lavoratori e comunità hanno presso in mano il destino di molte aziende altrimenti condannate alla chiusura. Ma il secondo dopoguerra (quello del 1945) è ricco di Stati insolventi, e l'Italia è uno di questi. Il caso più interessante è forse la Germania, dove oltre al debito pubblico era stato azzerato anche il valore della moneta, distribuendo a tutti una piccola somma per "ripartire". Non che si debba ripercorrere strade già tracciate; oggi c'è l'euro e prima di affossarlo è probabile che si renda irrinunciabile l’azzeramento del patto di stabilità. Comunque, una maggiore apertura di spirito nel prospettare gli scenari di domani non farebbe male.
Il vento sta cambiando e bisogna attrezzarsi e mettersi al passo. Cambiare il mondo si può. Quando gli Stati Uniti sono entrati nella seconda guerra mondiale, in pochi mesi hanno convertito l'intero loro apparato produttivo (il più potente del mondo) per fare fronte alle esigenze della produzione bellica. Poi lo hanno di nuovo convertito (in poco tempo, e solo parzialmente) per fare fronte alle aspettative della pace. Oggi siamo in guerra contro una minaccia altrettanto se non più mortale: quella dei cambiamenti climatici.
Molti governi - tra cui il nostro - non se ne curano affatto; quelli che se ne curano lo fanno in misura insufficiente. Ma la resa dei conti sta per arrivare e chi si sarà attrezzato per tempo si troverà meglio; o meno peggio. Ma una conversione ecologica del sistema produttivo e dei modelli di consumo dominanti non può avvenire senza liberarsi anche dalla cappa che la finanza internazionale ha steso sull'economia mondiale e sulla vita di tutti.
Caro Guido Viale i tuoi interventi sono sempre puntuali e mi sto accingendo a leggere il tuo nel libro "Calendario della Fine del Mondo" con introduzione di Latouche. Non vorrei sembrare "bizantino", ma invece ritengo che il termine DECRESCITA sia utile. Certo concordo con te ci sono molte insufficienze "concettuali" (personalmente ritengo rilevante superare il puro naturalismo nell'approcciar si all'ambiente) e soprattutto politiche nel senso dell'intervento di Badiale e Bontempelli ( "una politica economica per la decrescita") sulla questione della transizione, tuttavia ritengo che il termine "oppositivo" (contro la crescita) ma anche le semplificazioni (tipo le 8 R) circoscrivano un campo, un punto di riferimento per una militanza sparsa fatta di obiezione di coscienza individuale (personalmente vado in bicicletta) ma anche di forti esperienze "collettive" (acqua, TAV, ecc). E' forse un buttarsi troppo avanti, ed un urgenza della "prassi", ma ritengo questa "provocazione" utile ad uscire dal romanticismo ambientalista (dal rifugio impossibile in una "filosofia della natura") e da una certa accademia teoretica di convegni, no-profit e riviste. Serve insomma a dare "battaglia" - come tu fai sempre - all'economia politica e allo stagno nel quale annega la sx. Con affetto. Roberto Donini.
Martedì 21 Giugno 2011, 11:24
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