[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
a chi giova la retorica sulle grandi opere
- Subject: a chi giova la retorica sulle grandi opere
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 29 Jun 2011 06:37:21 +0200
Muoversi, accedere, spostare
Veri numeri di un’opera inutile. Flop ad Alta velocità Data di pubblicazione: 18.06.2011 Autore: Mercalli, Luca Se si impiegasse un po’ di razionalità nell’analizzare le Grandi opere e la loro utilità si scoprirebbe a chi giova la retorica di cui sono ammantate. Il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2011 Le grandi opere non le vuole più nessuno, salvo chi le costruisce e la politica bipartisan che le sponsorizza con pubblico denaro. Dell’inutilità del Ponte sullo Stretto non vale più la pena di parlare, e dell’affaruccio miliardario delle centrali nucleari ci siamo forse sbarazzati con il referendum. Prendiamo invece il caso Tav Val di Susa. Per i promotori si tratterebbe di un progetto “strategico”, del quale l’Italia non può fare a meno, sembra che senza quel supertunnel ferroviario di oltre 50 km di lunghezza sotto le Alpi, l’Italia sia destinata a un declino epocale, tagliata fuori dall’Europa. Chiacchiere senza un solo numero a supporto, è da vent’anni che le ripetono e mai abbiamo visto supermercati vuoti perché mancava quel buco. I numeri invece li hanno ben chiari i cittadini della Valsusa che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone, lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento “No Tav”, spesso dipinto come minoranza facinorosa, retrograda e nemica del progresso. Numeri che l’Osservatorio tecnico sul Tav presieduto dall’architetto Mario Virano si rifiuta tenacemente di discutere. Proviamo qui a metterne in luce qualcuno. Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente. Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 chilometri di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia. I calcoli sono stati fatti dall’Università di Siena e dall’Università della California. In sostanza la cura è peggio del male. Veniamo ora all’essere tagliati fuori dall’Europa:
detto così sembra che la Val di Susa sia un’insuperabile barriera orografica,
invece è già percorsa dalla linea ferroviaria internazionale a doppio binario
che utilizza il tunnel del Frejus, ancora perfettamente operativo dopo 140 anni,
affiancato peraltro al tunnel autostradale. Questa ferrovia è attualmente molto
sottoutilizzata rispetto alle sue capacità di trasporto merci e passeggeri,
sarebbe dunque logico prima di progettare opere faraoniche, utilizzare al meglio
l’infrastruttura esistente. Lyon-Turin Ferroviarie a sostegno della proposta di
nuova linea ipotizza che il volume dell’interscambio di merci e persone
attraverso la frontiera cresca senza limiti nei prossimi decenni. Angelo
Tartaglia del Politecnico di Torino dimostra che “assunzioni e conclusioni di
questo tipo sono del tutto infondate”. I dati degli ultimi anni lungo l’asse
Francia-Italia smentiscono infatti questo scenario: il transito merci è in calo
e non ha ragione di esplodere in futuro. Un rapporto della Direction des Ponts
et Chaussées francese predisposto per un audit all’Assemblea Nazionale nel 2003
afferma che riguardo al trasferimento modale tra gomma e rotaia, la Lione-Torino
sarà ininfluente.
E ora i costi di realizzazione a carico del governo
italiano: 12-13 miliardi di euro, che considerando gli interessi sul decennio di
cantiere portano il costo totale prima dell’entrata in servizio dell’opera a
16-17 miliardi di euro. Ma il bello è che anche quando funzionerà, la linea non
sarà assolutamente in grado di ripagarsi e diventerà fonte di continua
passività, trasformandosi per i cittadini in un cappio fiscale. Ho qui sintetizzato una minima parte dei dati che riempiono decine di studi rigorosi, incluse le recenti 140 pagine di osservazioni della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, dati sui quali si rifiuta sempre il confronto, adducendo banalità da comizio tipo “i cantieri porteranno lavoro”. Ma suvvia, ci sono tanti lavori più utili da fare! Piccole opere capillari di manutenzione delle infrastrutture italiane esistenti, ferrovie, acquedotti, ospedali, protezione idrogeologica, riqualificazione energetica degli edifici, energie rinnovabili. Non abbiamo bisogno di scavare buchi nelle montagne che a loro volta ne provocheranno altri nelle casse statali, altro che opera strategica! Seguendo lo stesso criterio, anche l’Expo 2015 di Milano sarebbe semplicemente da non fare, chiuso il discorso. Sono eventi che andavano bene cent’anni fa. Se oggi in Italia tanti comitati si stanno organizzando per dire “no” alle grandi opere e per difendere i beni comuni e gli interessi del Paese, non è per sindrome Nimby (non nel mio cortile), bensì perché, come ho scritto nel mio “Prepariamoci” (Chiarelettere), per troppo tempo si sono detti dei “sì” che hanno devastato il paesaggio e minato la nostra salute fisica e mentale. |
- Prev by Date: antropologia del conformista
- Next by Date: il prezzo della crisi un programma per un futuro migliore
- Previous by thread: antropologia del conformista
- Next by thread: il prezzo della crisi un programma per un futuro migliore
- Indice: