[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
il nuovo ambientalismo
- Subject: il nuovo ambientalismo
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 5 Apr 2011 06:39:18 +0200
da Eddyburg
Il nuovo
ambientalismo Data di pubblicazione: 31.03.2011 Stefano Rodotà, Guido Viale e Carlo Petrini commentano una delle (non molte) novità positive che rischiarano l'orizzonte. La Repubblica, 31 marzo 2011 Dall´energia sicura all´acqua il ritorno degli ambientalisti di Stefano Rodotà La vittoria elettorale dei Grünen in Germania e la mobilitazione per i referendum segnalano una ripresa della sensibilità per i temi verdi Le coincidenze non sono mai figlie del caso. Soprattutto in politica. Di questo bisogna tener conto nel valutare avvenimenti come il successo elettorale dei Verdi tedeschi nel Baden-Wuerttemberg e nella Renania-Palatinato, il raddoppio dei voti dei Verdi francesi nel primo turno delle elezioni cantonali, la manifestazione italiana di sabato contro la privatizzazione dell´acqua, che ha confermato un grande sostegno popolare già reso visibile dal milione e mezzo di firme raccolte per promuovere il referendum. Commentando il risultato di domenica, si è detto che uno tsunami si è abbattuto sul sistema politico tedesco: un uso malizioso della parola, con la quale si è voluto alludere sia ad una impetuosa crescita di consensi che per la prima volta porterà un esponente dei Verdi a presiedere una delle più importanti regioni della Germania; sia al molto più drammatico tsunami giapponese, dando così al voto il significato di un referendum pro o contro il nucleare, in qualche modo ridimensionando la portata politica del successo verde. Se è giusto non trarre frettolose e entusiastiche valutazioni dal voto tedesco, è altrettanto vero che sarebbe sbagliato sottovalutare le ragioni che indirizzano le attenzioni dei cittadini verso il movimento verde, quasi che si trattasse di un riflesso emotivo destinato, prima o poi, ad essere complessivamente riassorbito. L´ambientalismo delle origini si è affrancato da molti schematismi, ha maturato analisi accorte delle dinamiche economiche e sociali, ha contagiato settori diversi da quelli direttamente legati alla tutela dell´ambiente naturale. È stata così messa a punto una agenda politica rinnovata, sempre meno ideologica, anche se fondata su una sottolineatura forte della necessità di una radicale messa in discussione di alcuni criteri che continuano ad ispirare molte scelte economiche e politiche, in primo luogo quelle volte ad una sorte di modernizzazione forzata non accompagnata da una valutazione adeguata di tutte le sue possibili conseguenze. Due parole d´ordine degli ambientalisti - "disinquinare", valutare l´"impatto" di decisioni pubbliche e private - sono divenute d´uso corrente nel più generale lessico politico. E l´operazione di disinquinamento viene riferita anche allo stesso ambiente politico, tanto che alcuni commentatori hanno colto nel voto tedesco una forte richiesta di etica pubblica. Non è un caso che quel voto abbia fortemente penalizzato i liberali, la cui immagine era stata appunto inquinata dalla scoperta di un loro ministro in flagrante peccato di plagio per la sua tesi di dottorato, e le cui immediate dimissioni non sono riuscite ad arginare il discredito per il suo partito. Vero è che l´Italia del centocinquantenario sembra ormai mitridatizzata verso qualsiasi immoralità pubblica: ma forse il caso tedesco può dirci qualcosa sulla convenienza politica di non fare sconti in tema di etica civile. Nell´agenda dei Verdi compare il reddito minimo garantito, al quale si guarda come ad uno strumento che può eliminare molti inquinamenti dell´ambiente sociale. Qui si coglie una significativa sintonia con una sentenza della Corte costituzionale tedesca che, nel febbraio dell´anno scorso, ha dichiarato illegittime alcune norme che contrastavano con il "diritto fondamentale alla garanzia di un minimo vitale dignitoso". Ma i Verdi seguono pure una indicazione che si trova nella Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, che in Italia ispira l´azione del neonato Basic Income Network e che gli ambientalisti nostrani dovrebbero seriamente prendere in considerazione se davvero vogliono intraprendere un non retorico cammino costituente. Vi è poi il tema del disinquinamento dell´ambiente informatico, che esige continue valutazioni d´impatto delle innovazioni, come ci ricorda l´ultimo numero della rivista "Terminal", appena uscito in Francia. Ma l´ambientalismo ha trovato uno dei suoi più forti caratteri distintivi nella centralità attribuita ai beni comuni - aria, acqua, salute, cibo, conoscenza. Qui la frizione con la pura logica di mercato si fa più marcata e i beni comuni si presentano come la proiezione nel mondo dei diritti fondamentali che devono accompagnare ogni persona quale che sia il luogo in cui si trova, quale che sia la sua condizione. Beni comuni e diritti di cittadinanza si congiungono, dando all´azione politica anche una forte portata simbolica, individuando le stesse precondizioni della convivenza democratica. È bene non dimenticare, per evitare letture troppo appiattite sulla sola vicenda nucleare, che poche settimane fa i cittadini di Berlino avevano votato proprio contro la privatizzazione della gestione dell´acqua. E si può aggiungere che in un´altra grande capitale, Parigi, il ritorno della gestione dell´acqua in mano pubblica è stato voluto dal sindaco socialista, Bertrand Delanoe, la cui elezione era stata resa possibile dall´alleanza con i Verdi. Se, dunque, si vuole seriamente guardare al modo in cui si costruisce oggi una agenda politica, il tema dei beni comuni è destinato a rappresentare un riferimento ineludibile (che malinconia vedere che il Pd si divide proprio sul referendum sull´acqua). Solo così, peraltro, è possibile congiungersi con una Europa dove è necessaria un´azione convinta per sfruttare tutte le opportunità offerte dalla Carta dei diritti con i suoi riferimenti alle generazioni future, alla tutela dell´ambiente, allo sviluppo sostenibile. QUEI PROFETI DELL´AMBIENTE di Guido Viale La lezione del Club di Roma sui limiti dello sviluppo è stata completamente dimenticata. E molti credono ancora che sia possibile il modello che prevede una crescita e un prelievo di risorse illimitati L´ambientalismo ha molti padri. Tra questi il primo è l´ecologismo in senso stretto, che individua nell´interconnessione tra le diverse specie di un territorio l´equilibrio che determina la "capacità di carico" dell´ecosistema: oltre il quale vengono meno le basi della sopravvivenza. Questo vale anche per il "carico" che la specie umana impone all´ambiente. Pioniere di questo approccio, con una forte impronta etica, il naturalista statunitense Aldo Leopold (1887-1948). Il secondo padre è consumerismo: l´attenzione per i rischi connessi ai nostri consumi è stata gradualmente estesa al ciclo di vita di questi beni e al loro impatto. In Germania l´ambientalismo ha avuto fin dagli inizi fondamenti scientifici solidi perché si è innestato su una cultura di del consumatore che in Italia è stata sottovalutata; tanto che la proposta di Vittorio Foa (1910-2008) di includere nella Costituzione la tutela del consumatore era stata bocciata. In Italia hanno avuto invece un peso notevole, anche culturale, le lotte sindacali per la tutela della salute e per il risanamento dei luoghi di lavoro. Tra i padri di questa cultura, Ivar Oddone della Cgil di Torino e Giulio Maccaccaro (1924-1977) dell´Università di Milano. Un quarto filone è costituito dalle campagne per la tutela del paesaggio e dei beni culturali. In prima fila fin dall´inizio in questo campo Italia Nostra e il giornalista Antonio Cederna (1921-1996). Queste campagne, oggi purtroppo trascurate, hanno innescato le mobilitazioni contro le centrali nucleari che hanno tenuto a battesimo il movimento ambientalista italiano negli anni ´80. C´è infine l´ambientalismo dell´establishment promosso dal Club di Roma - fondato dall´italiano Aurelio Peccei (1908-1984) - con il rapporto I limiti dello sviluppo (1972): uno studio che segnalava l´impossibilità di procedere con una crescita economica e un prelievo di risorse illimitati. Purtroppo le classi dirigenti di tutto il mondo hanno dimenticato quella lezione e ripetono come un disco rotto che l´economia deve "tornare a crescere". Alcuni paesi ci riescono, altri no; ma stanno sempre peggio sia gli uni che gli altri. Sembrava che con il summit mondiale di Rio de Janeiro (1992) fosse intervenuto un ripensamento. Ma non era così. Oggi, eredi di quel tema - lo "stato stazionario" dell´economista Herman Daly - sono i fautori delle "decrescita felice": un obiettivo sacrosanto, in una formula che rasenta l´ossimoro. Che provenisse dai vertici governativi, da sparuti gruppi fondamentalisti o dall´associazionismo democratico, l´ambientalismo ha vivacchiato per anni ai margini dei processi che governano l´economia globale. Gli ambientalisti erano "per antonomasia" quelli che sanno dire solo No. Le cose serie si facevano altrove, con l´industria, il petrolio, il nucleare, gli ogm, la speculazione edilizia, gli inceneritori, la guerra. «Volete ripulire il mondo? - ci veniva detto - Fate pure. Ma lasciatecelo inquinare in pace; per il bene di tutti». Non è più così. Le pratiche marginali e le battaglie di principio hanno ceduto il passo alla consapevolezza che difendere l´ambiente è questione di vita o di morte per l´intero pianeta; per salvarlo occorre prendere di petto il sistema industriale e il modello di consumi che lo alimenta e promuovere una riconversione radicale dell´apparato produttivo. "Conversione ecologica" la chiamava Alex Langer (1946-1995). I semi del suo insegnamento germogliano. Per ora sono solo idee e "buone pratiche". Presto saranno fatti: imposti dalla forza e dalle ragioni di miliardi di uomini. L´azione quotidiana di Carlo Petrini Un numero sempre crescente di persone considera la scelta del cibo come una partecipazione al lavoro degli agricoltori che va remunerato per i servizi che rende e non per i beni che immette sul mercato Cosa c´è di nuovo in quello che si chiama "neo-ecologia"? Forse la novità sta nella consapevolezza che quel che ci hanno insegnato, da bambini, a chiamare "rispetto dell´ambiente" è fatto di tante cose legate tra di loro. Oggi parliamo di sostenibilità, un concetto importante legato a un´idea antica, il tempo. Ovvero il "quanto a lungo può reggere". È una bella parola con una bella origine: si riferisce a un pedale del pianoforte, detto in inglese "sustain", quello che serve per allungare le note, farle durare nel tempo. Non per niente i francesi traducono con "durabilité", capacità di durata. La consapevolezza che quel che ci proponiamo di intraprendere, a livello di comportamenti privati o pubblici o imprenditoriali deve poter durare nel tempo e a tanti livelli (sociale, economico e ambientale) è uno degli elementi chiave dell´ambientalismo di oggi. Quello di quarant´anni fa diceva che l´Italia doveva puntare sul turismo e non sulla siderurgia. Ma poi non controllava la devastazione di territorio che derivava dall´interpretare il turismo come pura ricezione alberghiera. Rapinare le risorse naturali, farne profitto privato e non pensare al futuro. Oggi al futuro ci si pensa, perché nell´idea di sostenibilità c´è anche la consapevolezza che il futuro non è roba nostra, così come non lo sono le risorse naturali. Sono patrimoni condivisi, che tocca alle generazioni in vita preservare per quelle che verranno. Ma c´è di più. Per proteggere tutto quello di cui vogliamo godere e tramandare non c´è un solo livello di azione: servono le grandi impostazioni dei governi e le leggi. Ma servono, allo stesso modo, i gesti quotidiani e le scelte individuali, i quali non sempre danno la precedenza al guadagnare tempo e risparmiare denaro. Un crescente numero di cittadini, infatti, considera il tempo speso nella scelta del cibo, come tempo investito nella cura della propria salute e dell´ambiente, e i soldi utilizzati per acquistarlo come una partecipazione a un mestiere, quello dell´agricoltore, che va remunerato per i molti servizi che rende alla società e non solo per i prodotti che immette sul mercato. Come, ad esempio, il modello dei Gas, i gruppi di acquisto solidale. Certo, c´è un lato meno luminoso, dove la parola "neo-ecolgismo" suona come un rimprovero verso la politica "ufficiale". Proprio loro, che dovrebbero guardare lontano, pianificare e proteggere, sono i primi a non vedere le connessioni che risultano chiare a un numero crescente di famiglie. Perché il livello degli individui è uno dei tanti, e oggi è certamente il più attivo. Mentre il livello della politica, in particolare nel nostro paese, è quello più svagato, più assente. Ecco perché oltre ai movimenti per promuovere saggi comportamenti quotidiani si affiancano quelli contro il nucleare, il consumo del territorio, o la privatizzazione dell´acqua. Non siamo più nell´ambito privato: il movimento arriva dove la politica e le istituzioni chiaramente falliscono. Si tratta di inediti protagonisti, quasi sempre giovani, volti nuovi e sensibili al bene comune. Sarebbe auspicabile che il palcoscenico dei media guardasse a queste persone, specie in occasione dei prossimi referendum. Sono preparati, parlano linguaggi accessibili e non sono inclini alle insopportabili risse televisive di una casta che ormai bivacca nelle nostre televisioni. È un ruolo importante quello assunto, in tanti modi e in tante forme, dai neo-ecologisti: crescere come individui e come società e al contempo cercare di limitare i danni creati da una politica inadeguata al momento e agli obiettivi. |
- Prev by Date: Dal Blog di Beppe
- Next by Date: L'eredità fascista ancora in vigore
- Previous by thread: Dal Blog di Beppe
- Next by thread: L'eredità fascista ancora in vigore
- Indice: