l'apocalisse è già qui Non è stato un incidente di percorso, ma la testimonianza del fatto che il percorso di "sviluppo" che il sistema persegue è mortifero.



da Eddyburg
 
L'apocalisse è già qui
Data di pubblicazione: 17.03.2011

Autore: Viale, Guido

Non è stato un incidente di percorso, ma la testimonianza del fatto che il
percorso di "sviluppo" che il sistema persegue è mortifero. Il manifesto, 17
marzo 2011

Apocalisse significa rivelazione. Che cosa ci rivela l'apocalisse scatenata
dal maremoto che ha colpito la costa nordorientale del Giappone? Non o non
solo - come sostengono più o meno tutti i media ufficiali - che la sicurezza
(totale) non è mai raggiungibile e che anche la tecnologia, l'infrastruttura
e l'organizzazione di un paese moderno ed efficiente non bastano a contenere
i danni provocati dall'infinita potenza di una natura che si risveglia. Il
fatto è, invece, che tecnologia, infrastrutture e organizzazione a volte - e
per lo più - moltiplicano quei danni, com'è successo in Giappone, dove la
cattiva gestione di una, o molte, centrali nucleari si è andata ad
aggiungere ai danni dello tsunami.

Non è stato lo tsunami a frustrare anche le migliori intenzioni di
governanti, manager, amministratori e comunicatori: l'apocalisse li ha
trovati intenti a mentire spudoratamente su tutto, di ora in ora; cercando
di nascondere a pezzi e bocconi un disastro che di ora in ora la realtà si
incarica di svelare. È un'intera classe dirigente, non solo del nostro
paese, ma dell'Europa, del Giappone, del mondo, che l'apocalisse coglie in
flagrante mendacio, insegnandoci a non fidarci mai di nessuno di loro. Solo
per fare un esempio, e il più "leggero": Angela Merkel corre ai ripari
fermando tre, poi sette, poi forse nove centrali nucleari che solo fino a
tre giorni fa aveva imposto di mantenere in funzione per altri vent'anni. Ma
non erano nelle stesse condizioni di oggi anche tre giorni fa? E dunque:
c'era da fidarsi allora? E c'è da fidarsi adesso?

Per chi non ha la possibilità o la voglia di sviluppare un pensiero critico
e si lascia educare dai media, sono gli scienziati e i tecnici a poterci e
doverci guidare lungo la frontiera dello sviluppo. I risultati di quella
guida sono ora lì davanti ai nostri occhi. L'apocalisse ci rivela invece che
sono gli artisti, con la loro sensibilità e il loro disinteresse, a
instradarci verso la scoperta del futuro. Leggete Terra bruciata di James
Ballard o, meglio ancora, La strada di Cormac McCarthy; o andate a vedere il
film tratto da questo romanzo. Vi ritroverete immediatamente immersi in
panorami che oggi le riprese televisive della costa nordorientale del
Giappone ci mettono davanti agli occhi. E con McCarthy potrete rivivere
anche il senso di abbandono, di terrore, di sconforto, di inanità che solo
una irriducibile voglia di sopravvivere a qualunque costo e il fuoco di un
legame affettivo indissolubile riesce a sconfiggere.

L'apocalisse ci rivela che la normalità - quella che ha contraddistinto la
vita di molti di noi per molti degli anni passati, ma che non è stata certo
vissuta dai miliardi di esseri umani che hanno fatto le spese del nostro
"sviluppo" e del nostro finto "benessere" - è finita o sta per finire per
sempre. È finita per il Giappone - e non solo per le popolazioni sommerse
dallo tsunami - che ora deve fermare le sue fabbriche, sospendere le sue
esportazioni, far viaggiare a singhiozzo i suoi treni, chiudere le pompe di
benzina, spegnere le luci, bloccare tutti o quasi i suoi reattori nucleari;
senza sapere con che cosa sostituirli e senza sapere se e quando potrà
riprendersi da un colpo del genere (un destino simile a quello che potrebbe
far piombare di colpo la Francia nelle condizioni di un paese
"sottosviluppato" se solo le accadesse un incidente analogo). I tanti
programmi di «rinascita del nucleare» varati negli ultimi anni - che sono la
risposta più irresponsabile e criminale alla crisi economica mondiale - si
rivelano una truffa: il tentativo di far credere che con l'atomo consumi,
sviluppo ed "emersione" di paesi che annoverano miliardi di abitanti possano
riprendere e continuare a crescere come prima. Tant'è che quei programmi
stavano andando avanti - e forse verranno mantenuti ancora per un po' -
soltanto nei paesi senza nemmeno la parvenza della democrazia (tra cui
l'Italia). Ma adesso tutti, o quasi, si dovranno fermare.

Ma non saranno rose e fiori neanche per i paesi che viaggiano a petrolio,
metano e carbone, come il nostro. Il Medio Oriente è in fiamme e se - o
meglio, quando - crollerà il regno saudita, anche il petrolio arriverà con
il contagocce. Soprattutto in Italia; ma anche in Europa. E allora addio
sogni di gloria per l'industria automobilistica: non solo quelli di
Marchionne (che sono un mero imbroglio), ma anche per quelli di tutta
l'Europa. Per non parlare degli Stati Uniti: a giugno dovranno rinnovare una
parte del loro debito, che è ben più serio e in bilico di quelli di tutti i
paesi dell'Unione europea messi insieme; ma forse nessuno lo vorrà più
comprare. Il che significa che un nuovo crack planetario è alle porte.

Insomma, niente sarà più come prima. Era già stato detto all'indomani
dell'11 settembre; ma poi ciascuno ha continuato a fare quello che faceva
prima. Comprese le guerre; compresa le speculazioni finanziarie e la
reiterazione della crisi che essa si porta dietro; e che è stata invece
trattata come «un incidente di percorso», da cui riprendere al più presto la
strada di prima, discettando sui decimali di Pil che da un momento all'altro
potrebbero invece precipitare di un quinto o di un terzo.

Quello che l'apocalisse dello tsunami in Giappone ci rivela è la "normalità"
di domani. L'apocalisse è già tra noi, in quello che facciamo tutti i giorni
e soprattutto in quello che non facciamo. Dobbiamo imparare ad attraversare
e a vivere dentro un panorama devastato, dove niente o quasi funziona più:
non solo per il crollo o il degrado delle sue strutture fisiche; o per
l'intasamento della loro "capacità di carico"; ma anche e soprattutto per la
manomissione delle linee di comando, per la paralisi delle strutture
organizzate, per la dissoluzione dello spirito pubblico calpestato dalle
menzogne e dall'ipocrisia di chi comanda.

Volenti o nolenti saremo obbligati a cambiare il nostro modo di pensare e
dovremo studiare come riorganizzare le nostre vite in termini di una
maggiore sobrietà; e in modo che non dipendano più dai grandi impianti,
dalle grandi strutture, dalle grandi reti, dai grandi capitali, dalle grandi
corporation che li controllano e dalle organizzazioni statali e sovrastatali
che ne sono controllate: tutte cose che possono venir meno, o cambiare
improvvisamente aspetto dall'oggi al domani.

Dobbiamo adoperarci per mettere a punto strumenti di autogoverno a livello
territoriale, in un raggio di azione che sia alla portata di ciascuno, in
modo da avvicinare le risorse fisiche alle sedi della loro trasformazione e
queste ai mercati del loro consumo e alle vie del loro recupero: perché solo
di lì si può partire per costruire delle reti sufficientemente ampie e
flessibili che siano in grado di far fronte a una improvvisa crisi
energetica, alle molte facce della crisi ambientale, a una nuova crisi
finanziaria che è alle porte, al disfacimento del tessuto economico e alla
crisi occupazionale che si aggrava di giorno in giorno; e persino a una
crisi alimentare che potrebbe farsi improvvisamente sentire anche in un
paese del "prospero" Occidente. Le fonti rinnovabili, l'efficienza e il
risparmio energetici, il riciclo totale dei nostri scarti, un'agricoltura a
chilometri zero, la salvaguardia e il riassetto del nostro territorio, ma
soprattutto uno stile di vita più sobrio e restituito alla socievolezza sono
i cardini e la base materiale di una svolta del genere. Va bene tutto ciò
che va in questa direzione; anche le piccole cose. Va male tutto ciò che vi
si oppone: soprattutto la rinuncia a un pensiero radicale.