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Quel 1986: Chernobyl e altri veleni
- Subject: Quel 1986: Chernobyl e altri veleni
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 1 Mar 2011 06:39:58 +0100
La Gazzetta del Mezzogiorno sabato 19 febbraio 2011-02-22 Quel 1986 di giorgio nebbia
Fosfati. Il polifosfato di sodio è stato per molti anni addizionato ai
preparati per lavare per evitare il deposito dei sali di calcio sulla biancheria
e sulle stoviglie. Molto stabile, finiva nelle acque di scarico domestiche, poi
nelle fogne; non trattenuto dai depuratori, il polifosfato finiva nel mare ed
agiva come nutrimento per le alghe che, avendo molto cibo disponibile
(eutrofizzazione), si moltiplicavano in maniera nociva per la pesca.
Metanolo. Alcol metilico prodotto sinteticamente, simile all'alcol etilico
che si forma per fermentazione nel vino e nella birra, ma molto tossico; causa
cecità e morte.
Atrazina. Insieme al bentazone è un erbicida, efficace nel distruggere le
erbacce che si formano nelle coltivazioni di mais. Negli anni Ottanta, usata in
grande quantità, restava inalterata nel terreno e finiva, trascinata dalle
piogge, nelle acque sotterranee da cui veniva prelevata acqua
potabile.
Chernobyl. Il 26 aprile 1986 in uno dei quattro reattori nucleari è cessato
il flusso dell'acqua di raffreddamento del reattore; è aumentata bruscamente la
temperatura e si è incendiata la massa di grafite presente nel reattore come
moderatore della reazione nucleare. In seguito all'incendio il reattore è
esploso, la centrale si è scoperchiata e molti elementi radioattivi si sono
dispersi nell'aria. Eppure non era cominciato neanche tanto male quel 1986, 25 anni fa. Negli anni precedenti comparivano nell'Adriatico grandi masse di alghe che soffocavano i pesci e finivano in putrefazione sulle spiagge, con grande rabbia degli operatori turistici e dei pescatori; il fenomeno era dovuto ai fosfati, sostanze nutritive per le alghe, addizionati ai detersivi; dalle fogne i fosfati finivano poi nel mare; per fermare il fenomeno, in gennaio era stata approvata una legge che stabiliva che i detersivi non dovevano contenere più del 2,5 percento di fosfati (negli anni successivi tale limite sarebbe stato ulteriormente abbassato). I guai cominciarono ai primi di marzo, quando fu denunciata la morte di varie persone che avevano bevuto del vino sofisticato con alcol metilico, il metanolo; per distrazione il governo aveva eliminato una imposta di fabbricazione sull'alcol metilico industriale che veniva così a costare molto meno dell'alcol etilico. Alcuni spregiudicati frodatori avevano pensato di far aumentare la gradazione alcolica del vino con alcol metilico anziché con alcol etilico; guadagnavano di più ma avvelenavano gli acquirenti perché l'alcol metilico è molto velenoso. Lo scandalo del vino al metanolo si diffuse nel mondo e assestò un grave colpo all'economia vitivinicola italiana; in Italia, ma anche all'estero diminuirono bruscamente le vendite di vino e molti si chiesero se non si trattasse di un episodio di ben più vaste sofisticazioni alimentare, come quelle che avevano caratterizzato gli anni cinquanta. Il peggio però stava per venire; un giorno il sindaco di Casale Monferrato raccontò ad un programma televisivo che, facendosi la barba una mattina, aveva sentito che l'acqua del rubinetto puzzava. E aveva anche ragione, perché, quando diede incarico ai laboratori di analisi di controllare, si accorse che l'acqua potabile era contaminata da rifiuti industriali. Fu così scoperto che nelle vicinanze erano stati interrati dei fusti di rifiuti tossici; i fusti col tempo si erano corrosi e il contenuto era filtrato nel terreno fino a raggiungere le falde idriche sotterranee. Il ministro dell'ecologia del tempo, il liberale Valerio Zanone, si trovò alle prese con la prima grana della sua non lunga carriera che sarebbe durata soltanto fino al giugno dello stesso anno. L'opinione pubblica si cominciò a chiedere quante altre discariche abusive esistessero in Italia, quali pericolo ci fossero per l'acqua che usciva dal rubinetto e ci si accorse che effettivamente era pratica abbastanza diffusa disfarsi dei rifiuti tossici e pericolosi seppellendoli del terreno; Casale poi era una città particolarmente sensibile perché aveva "ospitato" per alcuni decennio la più grande fabbrica di manufatti di amianto, la Eternit, responsabile di morti per tumore fra gli operai e la stessa popolazione, tanto che era stata obbligata a chiudere proprio negli stessi mesi. Era un periodo di vivace interesse anche comunitario per l'ambiente e venivano emanate direttive per stabilire dei limiti a molte sostanze inquinanti di cui fino allora non era stato necessario controllare la presenza nelle acque potabili. Era anche un periodo in cui il diserbo del mais era praticato su larga scala con vari erbicidi fra cui atrazina, e quello del riso con bentazone, molto efficaci ma, purtroppo, tossici, che finivano nelle acque sotterranee dopo essere stati sparsi sui campi. In quel marzo 1986 una direttiva europea sulla qualità dell'acqua potabile aveva stabilito che la loro concentrazione nell'acqua non avrebbe dovuto superare i 0,1 microgrammi per litro; se la concentrazione era superiore l'acqua non avrebbe potuto essere distribuita dagli acquedotti nelle case. Per rispettare queste nuove norme europee i laboratori chimici di analisi cominciarono ad analizzare la concentrazione nelle acque anche di questi due erbicidi e fu facile vedere che in molto zone d'Italia, soprattutto nell'Italia settentrionale, la concentrazione di atrazina era di molte volte superiori al limite consentito, col che diecine di acquedotti avrebbero dovuto essere chiusi e la sete avrebbe colpito milioni di abitanti. Il governo stabilì, per legge, che poteva essere distribuita come acqua potabile dell'acqua contenente anche un microgrammo di atrazina per litro, dieci volte di più del massimo ammesso dalle norme europee. Insomma così l'acqua non potabile diventava potabile "per decreto", una delle tante proroghe e deroghe che rendono lecito, per decreto, quello che è vietato dalla legge. Ma il peggio stava per arrivare: mentre era attiva la contestazione dei programmi governativi di costruzione di varie centrali nucleari nel Mantovano, in Puglia, in Piemonte, nel Lazio, il 26 aprile 1986 un reattore nucleare di uno sconosciuto paese dell'Ucraina (allora parte dell'Unione Sovietica), chiamato Chernobyl, esplose con conseguente incendio che provocò il lancio nell'atmosfera di una grande quantità di elementi radioattivi mortali; alcuni eroi (morirono tutti) gettarono dal basso e da aerei in volo, nella fornace rovente sabbia, boro e cemento per soffocare l'incendio e fermare la reazione nucleare. Intanto la nube, contenente una radioattività equivalente a quella di 400.000 chilogrammi di radio, si disperse nelle zone vicine e poi, trascinata dal vento, verso il nord, piegando poi verso occidente sulla Germania e poi verso sud arrivò fino in Italia. Le autorità persero la testa; occorreva o no vietare l'uso di verdura, latticini e carne tratti da zone su cui erano ricadute le sostanze radioattive ? Ancora più disorientata l'opinione pubblica: come faceva la massaia a sapere che cosa poteva, o non doveva, comprare per non essere contaminata dai misteriosi atomi provenienti da migliaia di chilometri di distanza ? Molti uomini politici si resero finalmente conto che l'energia nucleare era pericolosa, come dicevano gli ambientalisti, e l'anno dopo un referendum cancellò i programmi nucleari italiani. L'unica cosa buona di quello sventurato 1986 fu l'assegnazione del premio Nobel per la medicina alla biologa italiana Rita Levi Montalcini. |
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