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da il salvagente.it
   
Oli deodorati: maxisequestro della Forestale, coinvolti alcuni grandi marchi
Il Salvagente aveva anticipato i risvolti di un'inchiesta che sta per entrare nel vivo.
Enrico Cinotti

La Procura di Firenze, che sta svolgendo indagini approfondite su una nota azienda estera proprietaria dal 2005 di alcuni importanti marchi italiani di olio extravergine di oliva per accertare i reati di frode in commercio e di falso materiale, ha chiesto di effettuare accertamenti analitici idonei a verificare la vera natura del prodotto.
E così gli uomini del Nucleo agroalimentare forestale di Roma del Corpo forestale dello Stato, a seguito di una lunga indagine iniziata nel settembre del 2010 e finalizzata a verificare la filiera di qualità dell'olio extravergine di oliva, hanno riscontrato, presso diversi stabilimenti di confezionamento a Firenze, Reggio Emilia, Genova e Pavia documenti di trasporto falsificati utilizzati per regolarizzare una partita di 450 mila chilogrammi di olio extravergine di oliva - sequestrata - destinata ad essere commercializzata, per un valore di circa 4 milioni di euro.

Potrebbe essere olio deodorato
L'ipotesi degli investigatori, spiega una nota della Forestale, è che i documenti siano stati contraffatti per ingannare sulla vera natura del prodotto che, secondo la Procura di Firenze, conterrebbe olio di oliva deodorato, di bassa qualità e dal valore commerciale tre volte inferiore a quello etichettato come extravergine.

La deodorazione
La deodorazione è un'operazione di rettifica dell'olio di oliva che consente di trasformare oli di oliva non commestibili di scarsa qualità in oli di oliva senza difetti, ma che una volta subito questo trattamento non possono più essere commercializzati come oli di oliva extravergine. Questa pratica illecita diventa quasi obbligatoria quando passa molto tempo tra la raccolta dell'oliva e la sua trasformazione, visto che potrebbero insorgere fermentazioni dannose alla qualità del prodotto, o in caso di supermaturazione delle olive o ancora nei casi di cattiva conservazione delle stesse.

Il nuovo metodo di diagnosi
Tra l’altro un nuovo metodo diagnostico, recentemente acquisito dal Consiglio oleicolo internazionale (C.o.i.), consente di accertare, attraverso la presenza del livello di alchil esteri nell'olio, la deodorazione del prodotto. Che così spiegherebbe la manomissione dei documenti e la presenza di alcune sostanze all'interno dell'olio che non dovrebbero essere presenti in concentrazioni tali in un olio di qualità.

Olio extravergine d'oliva, una bottiglia su 3 è contraffatta
Miscele di oli comunitari di dubbia qualità e prodotti sospettati di essere stati deodorati. Ancora una volta si addensano nubi intorno all’extravergine venduto soprattutto nei supermercati.
Stavolta l’allarme non arriva dalla California, dove a luglio un discusso studio dell’Olive Center dell’Università di Davis aveva declassato a semplici vergini diversi big dell’extravergine “italiano”.
A far discutere ora, ci sono nuove analisi anticipate dal settimanale il Salvagente in edicola questa settimana e in vendita anche on line, che puntano il dito sulla possibile presenza di partite deodorate - non ammesse nell’extravergine - nei più comuni prodotti da scaffale.

Uno su tre non ce la fa
L’Arpam di Ascoli Piceno - la stessa che negli anni scorsi in collaborazione con il Corpo forestale dello Stato scoprì il latte all’Itx e il peperoncino colorato con il cancerogeno Sudan - ha recentemente analizzato 33 campioni di extravergine prelevati nei frantoi marchigiani e altri 35 acquistati presso esercizi commerciali, in gran parte etichettati come “miscele di oli comunitari”, e li ha sottoposti all’esame degli esteri metilici ed etilici di acidi grassi, nominati nello studio con l’acronimo Emeag, più noti in letteratura scientifica come alchil esteri.
Il verdetto finale è sorprendente: circa un terzo del campione degli extravergini acquistati nei supermercati sarebbe fuori norma.

Le analisi
Per arrivare a questo risultato occorre prendere in considerazione l’indicazione “nascosta” dentro gli alchil esteri. L’elevata presenza di queste sostanze è un indicatore di scarsa qualità dell’extravergine in quanto si producono con la degradazione delle olive.
In pratica, gli alchil esteri testimoniano una non corretta conservazione dovuta a un cattivo stoccaggio della materia prima, accatastata per giorni in enormi cumuli (come spesso succede nei sistemi industriali spagnoli), oppure franta dopo che è già in atto un processo di fermentazione.

Oli deodorati
A una forte concentrazione di alchil esteri, dunque, dovrebbe corrispondere un difetto organolettico dell’olio: un’alta acidità oppure un odore troppo forte.
Condizioni che non consentirebbero di definire il prodotto extravergine.
A meno che non venga corretto, magari deodorato, per poi ritrovare “l’extraverginità” dopo essere miscelato con una buona dose di extravergine ben fruttato.
Neppure il miglior chimico, però, è in grado di far sparire contemporaneamente i difetti organolettici e le loro tracce chimiche. E difatti gli alchil esteri rimangono anche a seguito dei trattamenti e offrono un’arma in più per stanare le possibili frodi commerciali. Diventano, cioè, testimoni scomodi di ipotetiche sofisticazioni, soprattutto se associati a buoni voti al panel test.

Puzza d’inganno
Lo studio che solleva tanti dubbi è stato presentato il 6 novembre a Offida all’interno della rassegna “Le Marche a tavola” promossa dalle istituzioni locali e dal Movimento difesa del cittadino. Spiega Ernesto Corradetti, responsabile del Servizio chimico dell’Arpam picena: “La concentrazione media riscontrata nei campioni di frantoio è stata molto bassa intorno a 15 milligrammi per chilo. Il tenore medio riscontrato nei campioni reperiti sul mercato invece è stato di 150 milligrammi per chilo”. Un dato molto elevato considerato che, probabilmente da febbraio, entreranno in vigore i nuovi parametri comunitari in base ai quali se un extravergine supera i 150 milligrammi per chilo di alchil esteri non potrà essere denominato e quindi venduto come tale.

Fuori norma
Ma se dalla media scendiamo ai numeri assoluti, i risultati sono perfino più preoccupanti. “Circa un terzo del campione prelevato nei supermercati - dice infatti il dottor Corradetti - è risultato avere una concentrazione superiore a 150 milligrammi per chilo. In tre casi abbiamo riscontrato tenori prossimi a 1.000 milligrammi”.
Questi oli, alla luce dei nuovi limiti europei, sarebbero fuori norma e dunque non etichettabili come extravergine.

Il test della Coop
I risultati dei test condotti a Ascoli Piceno non si discostano tanto dalle analisi condotte nell’ottobre 2009 dalla Coop in collaborazione con il dipartimento di Scienze degli alimenti dell’Università di Bologna diretto dal professor Giovanni Lerker. In quell’occasione vennero rilevate le concentrazioni di alchil esteri in 24 extravergini di fascia primo prezzo e hard discount. Dieci campioni vennero riconosciuti come “non extravergine” perché la “traccia indelebile” degli alchil esteri segnalava qualcosa di anomalo. E infatti tra i motivi della bocciatura venne menzionata proprio la presenza di olio deodorato. Nel settembre scorso il Salvagente ha chiesto proprio al professor Lerker un commento a queste analisi: “Chi punta alla grande qualità considera il valore di 30-40 milligrammi per chilo di alchil esteri come un valore accettabile. Possiamo dire che se si supera il limite di 75 è sintomo di un olio di qualità discutibile”. Alla luce dei risultati dell’Arpam di qualità discutibile ce n’è davvero molta sugli scaffali italiani.

Insetticidi vietati
Insetticidi vietati eppure presenti nell’olio extravergine. L’altro aspetto allarmante dello studio condotto dall’Arpam di Ascoli Piceno e pubblicato dal Salvagente è la presenza di pesticidi non consentiti nel trattamento delle olive, riscontrati nel 35% dei campioni acquistati nei supermercati.
Percentuale che negli oli prelevati nei frantoi marchigiani si abbassa al 15%.
Al di là del numero di campioni coinvolti, queste sostanze gettano più di un’ombra sulla genuinità degli extravergine in vendita.

L'elenco delle sostanze
Tra le sostanze rilevate ma non ammesse troviamo il Fenitrotion, l’Endosulfan (alfa, beta e solfato) e il Dicofol. Spiega Daniela Sciarra, componente dell’Ufficio scientifico di Legambiente e curatrice del dossier annuale sui pesticidi: “Stiamo parlando di insetticidi che appartengono alla categoria degli organofosfati. Sono persistenti e bio-accumulabili con un’azione neurotossica per l’uomo. Il Dicofol, poi, è un derivato del Ddt. È considerato moderatamente tossico, agisce sul sistema nervoso, sul fegato e sui reni. L’aver rilevato la presenza di Dicofol è comunque di per sé preoccupante considerando il fatto che il Ddt è messo al bando dagli anni Settanta”.