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E' possibile una prosperità senza crescita?
- Subject: E' possibile una prosperità senza crescita?
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 20 Dec 2010 06:37:06 +0100
da greenreport.it
[ 10 dicembre 2010 ] Economia
ecologica
E' possibile che esista una
prosperità senza crescita? Il dubbio è
legittimo
Gianfranco Bologna ROMA. Mentre si sta chiudendo la 16° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (vedasi www.unfccc.org) non possiamo non sottolineare che ancora, a fronte di urgenze sempre più impellenti, le soluzioni offerte dalla politica sono modeste, timide, e sembrano veramente incapaci di innovazione e di visione. Eppure chi riesce a leggere più a fondo la situazione economica e finanziaria mondiale attuale facendo le dovute connessioni, è sempre più convinto che per reagire efficacemente agli evidenti danni prodotti da una visione economica imperniata sull'obiettivo di una crescita continua, bisogna coraggiosamente e urgentemente, voltare pagina. E' necessario "costruire un altro edificio", non possiamo pensare che sia bastevole mettere continuamente dei giusti "puntelli" per evitare che l'edificio che abbiamo oggi non crolli. Credo sia sempre più chiaro a tutti, anche a fronte della drammatica crisi economica e finanziaria che ci stiamo trascinando dal 2008, che è impossibile immaginare un mondo in cui le cose andranno semplicemente avanti come prima. Ma, come si interroga il noto studioso Tim Jackson, professore di sviluppo sostenibile al Center for Environmental Strategies dell'Università del Surrey, in Gran Bretagna, autore dello splendido volume "Prosperity Without Growth . Economics for a Finite Planet" edito da Earthscan (che sarà stampato in italiano, a mia cura, agli inizi del 2011 dalla meritoria casa editrice Edizioni Ambiente) , cosa possiamo dire di un mondo in cui 9 miliardi di persone (quante ne avremo sul nostro pianeta nel 2050, secondo le statistiche delle Nazioni Unite) possano raggiungere tutte il livello di ricchezza e abbondanza atteso per le nazioni dell'area OCSE? Jackson ci ricorda, come hanno fatto tanti altri illustri studiosi prima di lui, che ci sarebbe bisogno di un'economia pari a 15 volte quella attuale (75 volte quella del 1950) entro il 2050, e pari a 40 volte quella attuale (200 volte quella del 1950) entro la fine del secolo. A cosa può mai avvicinarsi un'economia del genere? Come potrebbe andare avanti? Offre davvero una visione realistica di una prosperità condivisa e duratura? Scrive Jackson: «Nella maggior parte dei casi evitiamo di guardare in
faccia la dura realtà di questi dati. Assumiamo di default che - a parte la
crisi finanziaria - la crescita continuerà all'infinito non solo per i paesi più
poveri, dove è innegabile che ci sia bisogno di una qualità della vita migliore,
ma anche nelle nazioni più ricche dove la grande abbondanza di ricchezza
materiale ormai non ha che un impatto minimo sulla felicità e, anzi,inizia a
minacciare le basi del nostro benessere.
È abbastanza facile capire il perché di questa cecità collettiva [...] La
stabilità dell'economia moderna dipende a livello strutturale dalla crescita
economica. Quando la crescita mostra segni di incertezza - come è avvenuto in
modo drastico nelle ultime fasi del 2008 - i politici si fanno prendere dal
panico. Le imprese faticano a sopravvivere. La gente perde il lavoro e a volte
la casa. La spirale della recessione incombe. Mettere in dubbio la crescita è
considerata una cosa da pazzi, idealisti e rivoluzionari. Ma dobbiamo metterla
in dubbio. L'idea di un'economia che non cresce potrà essere un anatema per gli
economisti. Ma l'idea di un'economia in costante crescita è un anatema per gli
ecologi. Nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all'infinito: è
una legge fisica. Gli economisti dovrebbero riuscire a spiegare come può un
sistema economico in continua crescita inserirsi all'interno di un sistema
ecologico finito».
Sappiamo che, molti economisti e non solo, hanno cercato di farci capire
che l'unica soluzione possibile a questo problema è ipotizzare che la crescita
in termini di denaro possa essere "sganciata" dalla crescita in termini di stock
e flussi di risorse utilizzate, con i relativi impatti ambientali causati. Si
tratta del ben noto processo del cosiddetto decoupling, disaccoppiare la
crescita economica riducendo l'input di materie prime ed energia per produrre
beni e servizi. Ma come ben sappiamo sino ad ora il decoupling non ha dato i
risultati necessari. Non si prevede che ci riuscirà nell'immediato futuro e, per
rispettare i limiti ecologici sempre più chiari e palesi, sarebbe necessario un
decoupling su scala così vasta che è persino difficile da immaginare.
In poche parole, come ci ricorda Jackson, non possiamo che mettere in
dubbio la crescita. Il mito della crescita ci ha delusi. Ha deluso il miliardo
di persone che cercano ancora di vivere ogni giorno con metà del prezzo di un
caffè. Ha tradito i fragili sistemi ecologici dai quali dipende la nostra
sopravvivenza. Ha fallito in modo eclatante, contraddicendo se stesso, nel dare
alla gente stabilità economica e certezza dei mezzi di sussistenza.
Ed è per questo che Tim Jackson dedica il suo ottimo volume alla
comprensione del fatto che quando l'economia vacilla seriamente, come sta
accadendo ora, la prosperità senza crescita risulta essere un asso nella manica
molto utile.
La scomoda realtà attuale è che ci troviamo di fronte alla fine imminente
dell'era del petrolio a buon prezzo, alla prospettiva di un costante aumento dei
prezzi delle commodity, al continuo e progressivo deterioramento di aria, acqua
e terra, ai conflitti per l'uso del suolo, delle risorse, dell'acqua, del
patrimonio boschivo e forestale e dei diritti di pesca, e all'importante sfida
di stabilizzare il clima globale e di frenare i cambiamenti globali che abbiamo
innescato in tutti i sistemi naturali, ormai da decenni. E, ricorda Jackson, ci
troviamo di fronte a tutto questo con un'economia fondamentalmente incrinata,
che ha un disperato bisogno di rinnovamento.
Scrive Tim Jackson: «In tale contesto la possibilità di tornare a fare
affari come al solito è preclusa. La prosperità dei pochi, basata sulla
distruzione ecologica e sulla continua ingiustizia sociale, non può stare alla
base di una società civilizzata. La ripresa economica è fondamentale. Proteggere
l'occupazione e creare altri posti di lavoro è di assoluta importanza. Ma
abbiamo anche urgente bisogno di un rinnovato senso di prosperità condivisa. Un
impegno più serio per la giustizia in un mondo finito.
Raggiungere questi obiettivi potrà sembrare un compito strano o persino incongruo per le politiche dei giorni nostri. Il ruolo del governo è stato definito in termini troppo ristretti dagli obiettivi materiali e svuotato di significato da una visione fuorviante in cui la libertà dei consumatori non ha limiti. Lo stesso concetto di governance ha bisogno di essere rinnovato al più presto. La crisi economica ci offre un'opportunità unica di investire nel
cambiamento. Di spazzare via la logica di breve periodo che ha afflitto la
società per decenni. Di sostituirla con una politica ponderata che sia in grado
di affrontare l'enorme sfida di assicurare una prosperità duratura.
Perché, dopo tutto, la prosperità va oltre i piaceri materiali e trascende
le questioni pratiche. Risiede nella qualità delle nostre vite, nella salute e
nella felicità delle nostre famiglie. È presente nella forza delle nostre
relazioni e nella fiducia che abbiamo nella comunità. È messa in luce dalla
nostra soddisfazione sul lavoro e dal nostro sentire di avere un significato e
uno scopo comune. Dipende da quanto possiamo partecipare a pieno alla vita della
società.
La prosperità consiste nella nostra capacità di crescere bene come esseri
umani, entro i limiti ecologici di un pianeta finito. La sfida che la nostra
società si trova davanti è creare le condizioni perché questo sia possibile. È
il compito più urgente dei nostri tempi».
Oggi è assolutamente necessario evitare la formula tradizionale che, per
raggiungere la prosperità, dobbiamo continuare a basarci sul perseguimento della
crescita economica, sul presupposto che redditi maggiori portano a un maggiore
benessere e quindi alla prosperità di tutti.
Oggi è assolutamente legittimo mettere in dubbio questa formula. Dobbiamo
mettere in dubbio che la crescita economica sia ancora un obiettivo legittimo
per i paesi ricchi, viste le enormi disparità di reddito e benessere che
continuano a esistere sul pianeta e visto che l'economia globale deve fare i
conti con i limiti imposti da risorse naturali non infinite. E' necessario
valutare se i benefici della crescita perenne sono ancora superiori ai suoi
costi, e analizzare nel dettaglio l'ipotesi che vede la crescita come
presupposto essenziale per la prosperità. In poche parole, come fa Tim Jackson
nel suo libro, dobbiamo chiederci: è possibile che esista una prosperità senza
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