La recente scoperta che alcune iniziative di edilizia residenziale e
commerciale di Milano sono state previste su terreni che nascondevano nel
sottosuolo discariche di rifiuti industriali, ripropone un grave problema
ambientale sempre accantonato che, silenzioso e nocivo, riemerge
continuamente.
L'industria, soprattutto chimica e metallurgica, è basata
sulla trasformazione di materie prime naturali --- petrolio, carbone, minerali,
rocce, eccetera --- nelle merci volute: plastica, acciaio, carbonato sodico,
alluminio, gomma, eccetera. Inevitabilmente tale trasformazione è accompagnata
dalla formazione di scorie e residui; quelli gassosi finiscono nell'atmosfera e
lì si disperdono, ma quelli liquidi e quelli solidi finiscono nel terreno e
spesso lì rimangono per tempi lunghi e lunghissimi. L'industria, nata nella metà
dell'Ottocento, all'inizio si è insediata addirittura nel centro delle città: a
Milano le prime fabbriche chimiche erano in pieno centro, lungo i canali che
attraversavano la città; poi a poco a poco, soprattutto dall'inizio del
Novecento, le fabbriche si sono spostate alle periferie, fuori dal centro
storico.
Nella loro rapida diffusione alcune industrie sono sorte, poi
fallite, poi sostituite da altre; sono cambiati i processi produttivi, le
materie prime, le merci prodotte e sono cambiate e si sono stratificate nel
sottosuolo le scorie. Le scorie non sono corpi morti e inerti; alcune subiscono,
a contatto con le acque sotterranee, trasformazioni e reazioni che ne modificano
la pericolosità e ne aumentano la mobilità al punto che talvolta riemergono in
superficie col loro carico di veleni.
Il caso più famoso e drammatico è
quello della cittadina di Love Canal, vicino alle cascate del Niagara: un canale
abbandonato fu utilizzato, negli anni cinquanta del secolo scorso, come
discarica di rifiuti tossici di una vicina industria chimica. Il tutto fu
ricoperto di terra e dimenticato; poi il terreno fu venduto al comune di Niagara
Falls che vi costruì sopra un quartiere residenziale e una scuola. Nel 1976 le
piogge intense hanno allagato la discarica e hanno portato in superficie molte
sostanze velenose che hanno provocato malori e malattie negli abitanti e nei
bambini. L'evento scandalizzò l'America; gli abitanti furono fatti sloggiare, le
case e la scuola furono abbattute, e il governo si decise ad emanare leggi per
la bonifica delle zone contaminate, con forti investimenti e costi pubblici.
Poco dopo un caso simile di terreno contaminato da sostanze tossiche, portate in
superficie da un'alluvione, colpì la cittadina americana di Times
Beach.
Di fronte a questi e simili eventi i paesi europei si decisero ad
emanare norme per la bonifica delle zone contaminate da rifiuti e scorie
industriali pericolosi. In Italia si intervenne con tutta calma, dopo il 1998, e
soltanto nel 2001 fu pubblicato un elenco delle zone contaminate di importanza
nazionale, con l'indicazione delle sostanze nocive presenti; vi sono poi altre
zone da bonificare indicate dalle Regioni e altre ancora; in tutto sono state
stimate in 4400 le aree industriali contenenti nel sottosuolo rifiuti tossici e
di queste soltanto il 10 percento risulta bonificata.
Un rapporto della
Legambiente intitolato: "La chimera delle bonifiche", ha denunciato la lentezza
delle operazioni di messa in sicurezza delle zone inquinate; le stesse
operazioni di bonifica, tecnicamente complicate e costose, vengono rallentate da
infiniti contenziosi con i proprietari dei suoli che sono poi spesso le imprese
che vi hanno scaricato i propri rifiuti nocivi. Spesso i suoli abbandonati dalle
industrie sono attraenti per le speculazioni edilizie e vengono venduti senza
sapere, o facendo finta di non sapere, che cosa c'è sotto.
Eventi come
quello ricordato, alla periferia di Milano, non sono rari; qualche tempo fa è
stata denunciata la costruzione di edifici pubblici e privati sulla discarica di
scorie industriali tossiche a Crotone in Calabria. Per evitare i danni e i
relativi costi occorrono varie cose.
Prima di tutto occorre conoscere
dove le industrie, che si sono succedute sul territorio italiano nel secolo e
mezzo dell'industrializzazione italiana, hanno scaricato le proprie scorie e che
cosa queste contengono; un compito difficile che richiederebbe una indagine
sulla localizzazione delle vecchie fabbriche, sulla conoscenza delle materie
prime utilizzate, delle merci prodotte e dei residui che ciascun ciclo
produttivo ha generato. Di molte attività industriali si sono persi i documenti,
perfino spesso si sono perse le tracce, e nessuno saprà mai quali materie prime
sono state usate, senza contare che, nel corso della sua vita, una fabbrica, per
lo stesso ciclo produttivo, usa materie prime differenti, provenienti da
differenti paesi.
Spesso i caratteri delle materie prime e delle merci
prodotte e delle relative scorie non era nota non solo alle pubbliche
amministrazioni, che pure avrebbero dovuto vigilare su quello che avveniva nel
loro territorio, ma alle stesse imprese e ai tecnici e ai lavoratori. Le cose si
aggravano continuamente da quando si stanno diffondendo le industrie che
"trattano" i rifiuti di altre industrie, residui e scorie di cui non sanno
niente per cui finiscono nel sottosuolo i rifiuti tossici del trattamento di
altri rifiuti tossici. La più utile celebrazione dei 150 anni dell'Italia
unitaria, che sono anche quelli dell'Italia industriale, consisterebbe nella
mobilitazione di storici, chimici, ingegneri, merceologi, geografi per
ricostruire la storia e la geografia delle fabbriche, dei processi produttivi e
della localizzazione e natura dei loro rifiuti. Solo con una simile indagine si
possono avviare delle serie operazioni di bonifica che richiederebbero il lavoro
di specialisti di discipline che non si sono mai insegnate in nessuna
università: la scienza e la tecnica dei rifiuti industriali e del loro
trattamento. Solo così si evitano futuri costi e
dolori.