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perchè le grandi opere non si fanno
- Subject: perchè le grandi opere non si fanno
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 12 Oct 2010 06:36:23 +0200
da Eddyburg
Perché le grandi opere non
si fanno Data di pubblicazione: 08.10.2010 Autore: Ponti, Marco Critiche e consigli derivati entrambi da una visione saggia dell’economia e della tecnica dei trasporti. Il Fatto quotidiano, 8 ottobre 2010. Ma chi dovrebbe ascoltareè sordo alla saggezza Le grandi opere “prioritarie”, decise nella legge finanziaria che si appresta a essere presentata, adesso sono diventate 28 (cfr. Sole 24 Ore di martedì), quasi tutte di trasporto, strade e ferrovie. Un nuovissimo elenco. I governi di centrodestra, dopo la celebre lavagna presentata da Berlusconi a Porta a Porta con 19 opere prioritarie, hanno prodotto davvero un grande numero di elenchi: il numero delle opere ha oscillato da 9 a 184, con moltissime sottovarianti. Poi di opere ne hanno fatte pochine e spesso per nostra fortuna, visto che molte e costosissime, probabilmente non servono, o non sono affatto prioritarie. Nel mondo sviluppato, gli elenchi di opere pubbliche si chiamano “shopping lists”, per distinguerli dai piani di investimento dotati da una qualche razionalità complessiva. Ma a quest’ultimo (ultimo?!?) elenco manca anche un minimo assoluto di elementi di valutazione e di priorità, che possano almeno suggerire ai contribuenti (nel caso delle ferrovie e metropolitane), o a agli utenti (nel caso delle autostrade) con quale logica si è deciso di spendere i loro soldi. Mancano ovviamente analisi costi-benefici sociali comparative (ma questo c’era da attenderselo, dato il deserto culturale in materia da sempre esistente in Italia). Ma mancano anche più semplici analisi finanziarie comparative (cioè il bilancio costi-ricavi, che segnala l’onere pubblico complessivo dell’opera e che per questa ragione deve contenere stime sul traffico servito). Ma manca anche il più semplice dei dati, appunto le previsioni di domanda. Queste consentirebbero ai cittadini (ai pagatori) di confrontare un’opera costosissima su cui passerà poco traffico con una più economica su cui ne passerà moltissimo e di aspettarsi che di ciò si sia minimamente tenuto conto nelle scelte di priorità. Ma se la logica della spesa è spartitoria e prescinde da ogni razionalità economica, dare dati di domanda può essere pericoloso, anche in caso di analisi di domanda “addomesticate”, cioè non fatte da soggetti indipendenti e in modo comparativo. Basta guardare al recente passato: la linea Alta Velocità Milano-Torino per esempio (ma tanti altri ce ne sono) è costata 8 miliardi di euro, ha una capacità di 300 treni al giorno e ne porta 14, cosa largamente prevedibile e da molti tecnici invano prevista e segnalata per tempo. Ma l’elenco delle 28 opere sarà comunque utile: farà partire molti cantieri (soprattutto in vicinanza di elezioni), per i quali poi non ci saranno i soldi per finire le opere, che si trascineranno per tempi biblici. Niente di male: l’obiettivo è aprire i cantieri, non finire le opere. L’orizzonte del consenso politico non supera certo la durata (residua) di una legislatura, e moltissime hanno durate superiori anche se realizzate secondo programma. C’è una razionalità di fondo in questa follia: il funzionamento degli appalti nelle opere civili. La concorrenza funziona pochissimo e non solo in Italia: gran parte delle risorse devono essere reperite in loco (macchinari, cemento, inerti, parte della mano d’opera). Quindi vincono quasi sempre imprese nazionali, che in buona quota poi si servono di imprese locali. Quindi le opere civili sono uno dei pochi strumenti con cui lo stato può finanziare le imprese nazionali e locali. Poi succede a volte che le imprese manifestino gratitudine, che in sé è un sentimento virtuoso. Purtroppo poi il settore è anche particolarmente afflitto dalla presenza della malavita organizzata, sempre a causa della scarsa competizione possibile e del diffuso intreccio politica-affari che ne segue. Malinconico ma non inspiegabile, per le ragioni sopra illustrate, il pieno supporto dato dal Pd e anche da Di Pietro a questa logica di spesa. La foglia di fico della contrarietà all’inutile Ponte di Messina del Pd infatti nasconde l’assenso a tutto il resto, spesso ancora più inutile e costoso. Per finire, tre accorate raccomandazioni: 1) dare un minimo di dati comparativi, per rincuorare i pagatori delle opere. 2) Tener conto che il traffico è prevalentemente di breve distanza, che si serve assai meglio con le “piccole opere” locali e con la manutenzione, che generano tra l’altro più occupazione in tempi più brevi, a parità di spesa. 3) Infine, partire coi cantieri solo quando tutti i soldi necessari a finire l’opera sono allocati e “congelati”. Lo “stop and go” infinito dei cantieri è micidiale sul piano sia dei costi che della funzionalità, come troppe esperienze passate hanno mostrato. |
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