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new economy: infrastrutture di rete, quel che resta di un'idea di economia
- Subject: new economy: infrastrutture di rete, quel che resta di un'idea di economia
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 17 Mar 2010 06:33:02 +0100
da greenreport.it
8 marzo 2010
Infrastrutture di rete, ovvero quel che resta della vecchia new economy Diego Barsotti Il 10 marzo di dieci anni fa la new economy toccò il
massimo del suo splendore per poi cominciare a sgonfiarsi sempre più
repentinamente dando vita alla prima bolla speculativa del nuovo millennio, che
presto ne avrebbe conosciute di altre e di ben più gravi. Nel 2000 anche chi
scrive faceva parte a pieno titolo del magico mondo avvolto in una cupola di
vetro dove nevicavano bit e i domini internet si vendevano a peso d'oro: i
giornalisti della new economy si chiamavano publisher (junior e senior) e chi li
coordinava - come nel mio caso - si chiamava content manager, titolo al quale
dovevo affiancare l'ulteriore ridondanza "del primo network europeo di portali
verticali". Le ore passavano più a fare brain storming che a scrivere, a fare
public relation più che a cercare le notizie, a improvvisare trading online, a
cercare l'intuizione geniale di turno o magari a far nascere l'Arnovalley che
avrebbe messo in rete i cervelli di Firenze e Pisa sotto l'egida compiacente
delle istituzioni e delle larghe mani delle banche toscane, pronte a finanziare
qualsiasi cosa avesse un net come prefisso o come suffisso.
Sappiamo tutti come è andata. La bolla è scoppiata, le previsioni si sono puntualmente non avverate, le ridicole new-yuppaggini sono state prestamente cancellate e la rete si è profondamente evoluta: se la new economy si è sgonfiata perche non produceva che miti, la rete di oggi produce soprattutto informazione (dati e immagini che rischiano di intasare quelle che un tempo erano le immense autostrade telematiche), che prima o poi qualcuno dovrà pagare, almeno quella di qualità (sempre di esseri capaci di discernimento). Qui però si è anche verificato il disaccoppiamento tra
l'evoluzione sociale della rete che è stata stratosfericamente più veloce
dell'evoluzione strutturale. Il fenomeno google prima, i social network poi,
hanno profondamente cambiato anche la vita reale e le abitudini della gente,
soprattutto la gente dei paesi sviluppati ma non solo quella. Hanno sconvolto le
dinamiche del marketing e dei consumi, costituendo un'ancora semi-inesplorata
miniera ricchissima di dati per chi deve vendere, qualsiasi prodotto o servizio.
La prossima frontiera, da questo punto di vista, sarà il software che non
capterà più soltanto le parole, i tag, bensì sarà capace di leggere i concetti
espressi nei mille rivoli 2.0 della rete, permettendo così alle imprese di
avere una fotografia reale delle opinioni e dei gusti dei
consumatori.
Un altro fronte caldo sarà quello delle traduzioni,
inaugurato da google che mentre affina sempre di più le sue versioni, si
appresta a lanciare i sottotitoli su you tube. I ricercatori fanno l'esempio
virtuoso dello studente che pur non conoscendo l'inglese potrà seguire l'ultima
conferenza del Mit sottotitolata, ma in realtà anche qui il gioco vale
soprattutto per le imprese: perché limitarsi a una sola lingua quando con il
traduttore i propri messaggi video potranno raggiungere molte più persone? Anche
perché il file con la trascrizione deve essere messo dall'utente, mentre il
software di google si "limiterà" a sincronizzare il video con i sottotitoli.
Quindi non solo pare ad oggi uno strumento esclusivamente ad uso e consumo delle
imprese che vogliono allargare ulteriormente il target dei propri clienti (il
servizio, gratuito in apparenza, lo pagano i ritorni commerciali) ma va ad
evidenziare uno dei vulnus della rete riconosciuto da tutti: la facilità di far
passare per vere notizie false, con la possibilità per chiunque di tradurre una
cosa per un'altra.
L'evoluzione delle rete dal punto infrastrutturale invece
è stata molto più lenta, non solo in Italia, dove per esempio sono ancora
fermi al Cipe gli 800 milioni finalizzati a ridurre il digital divide. Giovanna
De Minico, docente di diritto costituzionale all'università Federico II di
Napoli ricordava ieri sul Sole 24 ore che sono già trascorsi 16 mesi «da
quando la commissione europea sottopose a consultazione pubblica il destino
della futura rete in fibra ottica che dovrebbe sostituire la rete in rame nella
trasmissione di voci, immagini e servizi digitalizzati dell'amministrazione». In
realtà l'Europa sembra aver deciso di non decidere, lasciando questo ruolo ai
singoli Stati «che ci porta a una cartina europea che somiglia a un puzzle, e
nemmeno si avvicina a una scelta univoca e comune». De Minico rassegna quindi la
posizione di Regno Unito e Germania per arrivare poi al nostro Paese dove «circa
le nuovi reti, l'Italia non ha un progetto politico maturo con obiettivi,
predisposizione di mezzi certi, e definizione di tempi adeguati per
conseguirli». «Se è vero che l'Europa tace - conclude Giovanna De Minico - la
Germania favorisce l'ex monopolista, e il Regno unito fa il primo della classe,
i nostri ritardi di oggi li pagheranno i cittadini e le imprese italiane di
domani, in termini di mancata inclusione sociale e di emarginazione della
competizione internazionale». |
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