Intervista del Prof. Giorgio Nebbia a Hermes Pittelli
http://pensierosuperficiale.ilcannocchiale.it/?YY=2009&mm=12&dd=7
Pittelli.
Il cielo sta per crollarci sulla testa. Il Professor Giorgio Nebbia, docente
emerito di Merceologia all'Università di Bari, saggista e ambientalista attivo e
combattivo, ricorre alla metafora dei Galli inventati da Goscinny/Uderzo ,
quelli che resistono ancora e sempre all'invasore e che hanno paura di una sola
cosa (che la volta celeste cada sulle loro teste, appunto), per ammonire
l'umanità prossima al punto di non ritorno.
"Se non
vogliamo essere buoni per motivi ecologici, cerchiamo di esserlo almeno per
motivi egoistici". Tradotto, se non vogliamo rinunciare agli
insensati agi della pseudo civiltà consumistica, facciamolo per preservare la
nostra stessa vita. Non solo perché il modello economico capitalista, basato
sull'esaltazione del massimo profitto e dello sfruttamento senza limiti delle
risorse ci sta conducendo a un passo dalla catastrofe climatica, ma anche perché
l'aumento dell'esclusione di fette sempre più larghe delle popolazioni della
terra da questo "benessere" --- popolazioni depredate delle loro risorse e del
loro futuro --- genera sempre più spesso uno stato di conflitti sanguinosi e
permanenti.
Pittelli. Professore: spira una brutta aria sul clima
mondiale ?
Nebbia. Si; le attività umane stanno immettendo nell'aria ---
quella "congregazione di vapori" come la chiama Amleto --- una crescente
quantità di sostanze che, oltre a causare danni alla salute nelle vicinanze dei
luoghi di emissione, si disperdono in tutta l'atmosfera terrestre e stanno
cambiando la temperatura del pianeta. Ciò è dovuto al cambiamento
dell'equilibrio, delicatissimo, fra l'energia solare che entra nell'atmosfera e
raggiunge la superficie della Terra, e l''energia che la Terra, un corpo "molto
caldo" a circa 15 gradi Celsiu, rispetto agli spazi interplanetari circostanti
(alla temperatura di circa –270 gradi Celsius) irraggia e perde nello
spazio.
Tale delicato equilibrio dipende dalla trasparenza dell'atmosfera
alla radiazione in arrivo e alla radiazione in uscita dalla Terra. Se, come sta
avvenendo, cambia la composizione chimica dell'atmosfera e cambiano quindi le
sue proprietà di trasparenza, all'interno dell'atmosfera, e quindi sulla
superficie dell'interio pianeta, aumenta il calore intrappolato, come in una
serra, e quindi aumenta la temperatura degli oceani, dei continenti, la
circolazione delle acque; cambia, insomma, in peggio, il clima del
pianeta.
Pittelli. Il vertice climatico di Copenhagen nasce sotto una
cattiva stella. Il viaggio di Obama in Cina, con l'esclusione di un accordo
sulle emissioni di CO2, lo rende già superato e inutile?
Nebbia. No, non
sarebbe superato se servisse a far capire ai governanti della Terra, una volta
tanto riuniti tutti insieme, apparentemente uniti dal fine comune dell'interesse
del pianeta e dei suoi abitanti, quello che sta succedendo e i rimedi che sin
possono (e devono) prendere. Ci sono delle diversità di vedute fra i vari paesi
perché i rimedi per rallentare le modificazioni del clima planetario costano dei
soldi, spesso tanti soldi. Si tratta di modificazione dei cicli produttivi,
delle pratiche agricole e forestali, di cambiamenti nel tipo e nella quantità di
consumi; si tratta di sanare o attenuare ingiustizie sociali. I paesi ricchi
inquinano di più perché sono ricchi e sprecano; i parsi poveri contribuiscono ai
mutamenti climatici perché cercano di migliorare le loro condizioni di vita:
tagliano le foreste per poter vendere legno e minerali, accettano industrie
inquinanti per guadagnare qualche soldo. Una ragionevole proposta è che i paesi
ricchi moderino il loro inquinamento e diano dei soldi ai paesi poveri perché
producano legname e minerali e prodotti agricoli con pratiche meno inquinanti.
Pittelli. Lei, al convegno organizzato da Attac Italia il 14 novembre
2009 sui cambiamenti climatici, ha definito "falangi" le delegazioni che
marceranno sulla capitale danese. Si riferiva soprattutto a politici, portaborse
e lobbisti. Può chiarire perché ? Può spiegarci per quale motivo i lobbisti sono
ammessi a un tavolo di confronto sulla salute del pianeta?
Nebbia. Pare
che a Copenhagen vadano migliaia di persone, alcuni al seguito delle delegazioni
governative, alcuni per far sentire la richiesta di giustizia e di ambiente
pulito dei cittadini della Terra, altri --- quelli che ho chiamato lobbisti ---
per difendere gli interessi dei loro datori di lavoro. E si danno e si daranno
un gran da fare per spiegare ai governanti che la situazione non è poi così
grave, che forse i mutamenti climatici non ci sono, che non è colpa del petrolio
o del carbone, che forse ci sono ma che non è colpa delle attività umane, che
(se sono pagati dalle industrie) è colpa degli agricoltori; che (se sono pagati
dagli agricoltori) è colpa delle industrie, e così via. Insomma cercano di
attenuare i costi che ciascuno dei loro datori di lavoro teme di dover
affrontare (se verrà imposta una limitazione delle emissioni di agenti
inquinanti) per i cambiamenti della produzione, per cui le merci costeranno di
più e se ne venderanno di meno. Tutto li. A questa gente del futuro del pianeta
non interessa niente. Ci sono poi i lobbisti interessati a sostenere che i
mutamenti climatici si possono attenuare se le loro aziende vendono più pannelli
solari, o più motori a vento, o più centrali nucleari e che per tutte queste
azioni virtuose gli stati devono tirare fuori dei soldi e darli ai loro datori
di lavoro per contribuire al bene dei loro cittadini: insomma al fine della
produzione di soldi a mezzo di ecologia.
Pittelli. Tutti i guasti
ambientali sono dovuti a cose buone: il riscaldamento nelle case, l'energia
elettrica, i carburanti per i trasporti, l'energia per la lavorazione dei campi.
Argomenti formidabili per negazionisti dei mutamenti climatici e per chi difende
gli interessi delle multinazionali: Come ne usciamo? Cosa possiamo dire a quei
cittadini "passivi" ormai assuefatti e dipendenti dalle comodità della civiltà
capitalista occidentale schierati con chi sta portando il pianeta verso
l'autodistruzione?
Nebbia. Si può spiegare che il "non fare", il non
prendere iniziative per fermare i mutamenti climatici si traducono in costi che
dovranno pagare; i mutamenti climatici innescano azioni che costano: aumento di
piogge che provocano alluvioni e frane e distruzione dio case e strade e ponti,
che costa ricostruire; innalzamento del livello dei mari che richiederanno
costose opere di difesa delle città costiere, o abbandono di terre costiere;
avanzata dei deserti con aumento del prezzo delle derrate agricole e quindi
degli alimenti che troveranno nel mercato; perdita di profitti per perdita di
turismo. Insomma, se i nostri coinquilini del pianeta Terra non intendono
rinunciare alle comodità della "società dei consumi capitalistica" dovranno
pagare sempre di più in futuro tali comodità, e in alcuni casi ne saranno
privati, per la forza distruttiva della natura violentata dal loro stesso
comportamento.
Pittelli. Lei ha definito l'emission trading un moderno
mercato delle indulgenze. Può spiegare in breve a chi crede che il protocollo di
Kyoto sia risolutivo per i guasti climatici quanto si tratti in realtà di un
pallido palliativo ?
Nebbia. Qualsiasi accordo fatto in buona fede può
non essere un palliativo; non condivido la politica del commercio del diritto ad
inquinare, secondo cui chi inquina emettendo anidride carbonica e gas serra
nell'atmosfera, può "comprare" tale diritto da qualcuno che si impegna a
inquinare un poco di meno; il dovere è di inquinare di meno tutti. Diverso è il
caso in cui i paesi industriali si impegnano a risarcire con denaro il minore
reddito di coloro che, nei paesi poveri, rinunciano a tagliare le foreste, a
estrarre minerale, alle monocolture intensive, che finora sono spesso le uniche
fonti di reddito, traendo lo stesso reddito, grazie ai soldi dei paesi ricchi,
con pratiche di vita e agricole e forestali che conservano le condizioni
ambientali che "non" generano gas serra. Questi impegni --- a inquinare di meno,
a risarcire i paesi poveri perché evitino pratiche che fanno aumentare i gas
serra --- dovrebbero essere il fine delle riunioni della lunga serie di incontri
internazionali cominciata a Rio de Janeiro, continuata a Kyoto, ora a
Copenhagen, eccetera
Pittelli. L'Eni e Scajola premono per
l'interramento della CO2. Non sembra una grande soluzione ?
Nebbia.
L'Italia avrà grossi problemi nelle discussioni di Copenhagen perché, per
sofismi vari, ha fatto ben poco sia sul fronte delle fonti energetiche
rinnovabili sia, soprattutto, per cambiamenti tecnico-scientifici e merceologici
che dovrebbero limitare le emissioni di gas serra. La proposta di continuare a
generare gas serra, a bruciare carbone e petrolio nelle centrali e nei forni, e
poi di sotterrare l'anidride carbonica mi sembra un po' come le massaie che
invece di pulire nascondono la polvere sotto il tappeto. Del resto l'idea di far
passare enormi quantità di gas di scarico delle centrali, contenenti pochi
percento di anidride carbonica, in un sistema che separi l'anidride carbonica e
poi di liquefare tale anidride carbonica e di spedirla allo stato liquido, o
anche gassoso, a centinaia di chilometri di distanza e poi di immetterla nelle
caverne sotterranee da cui è stata estratta acqua o gas naturale o petrolio, non
risolve il problema perché ciascuna di queste operazioni richiede energia e, se
si fa il conto, il costo in energia (cioè i chili di anidride carbonica
prodotta) è maggiore della quantità di anidride carbonica che si fa "scomparire"
e si mette sotto terra. A parte problemi geologici di tenuta dei serbatoi
sotterranei. A mio modesto parere non è questo che l'Italia dovrebbe proporre
come grande furbizia.
Pittelli. Professore, dobbiamo rassegnarci. O
mutare i nostri stili di vita o scomparire. Concretamente, cosa dobbiamo fare da
subito per salvare il pianeta e la stessa razza umana? Qualcuno ipotizza la
necessità della scomparsa del capitalismo occidentale e della rivoluzione
industriale per costruire una controrivoluzione o capitalismo verde. Ma come
sempre i volponi del profitto agitano lo spettro della miseria: es. se non
produciamo più auto, mandiamo sul lastrico gli operai.
Nebbia. Di certo
il capitalismo come lo conosciamo è destinato a scomparire per lasciare il
posto, se non a un sistema sociale più attento alle persone e all'ambiente, ad
un capitalismo meno becero, riformato in cui l'attenzione al benessere prenda il
poso dell'idolatria dei soldi. Se i paesi occidentali non accetteranno la
transizione, tale transizione sarà imposta dalla pressione dei popoli emergenti.
Il destino della sfrontatezza e dell'esibizionismo e del lusso del capitalismo
fa venire in mente un famoso sonetto di Shelley che racconta di una gigantesca
statua del faraone Ramesse, abbandonata semisommersa dalla sabbia nel deserto
egiziano, sulla quale era incisa la frase: "Io sono Ozymandias, re dei re:
guarda le mie opere o tu potente e sappi regolarti". Ecco anche il potente
capitalismo occidentale (e non solo occidentale, ormai) dovrebbe sapere quello
che lo aspetta, deserti e alluvioni, se non cambia in
fretta.
Pittelli. Professore, al bando le utopie. Ma per mutare,
invece del clima, le pessime abitudini merceologiche e di consumo non solo degli
occidentali ma delle economie emergenti, come possiamo intervenire ? A chi
spetta intervenire in modo sostanziale e pianificare questa vera rivoluzione
copernicana ?
Nebbia. Spetta a lei come giornalista, a me come (sia pure
ex) insegnante, a chi può fare informazione e cultura; spetta a chi è capace di
spiegare i rapporti fra merci e consumi e il mondo circostante, a chi riesce a
propagandare valori come solidarietà, come capacità di guardare al futuro, di
guardare il cielo come grande portatore di energia per le piante e la vita ma
anche di veleni per la salute, al valore del silenzio; anche il chiacchiericcio
consuma energia a immette gas serra
nell'atmosfera.