Re: il consumo di suolo in italia






Quella che segue è la versione delle cose e l'approccio degli specialisti, assolutamente incompleto nel vedere il fenomeno e per nulla riflessivo sulle cose da farsi. E' anche la voce di un movimento finto progressista autenticamente retrogrado che ancora si rifiuta di ammettere l'esistenza di importanti questioni da sistemare, se si desidera che la società funzioni bene.

Oggi, grazie ad Internet, la voce dei cittadini può però giungere diretta, non mediata da alcuno, e così determinate importanti cose non dette ma assolutamente da dirsi e da farsi possono finalmente raggiungere la coscienza collettiva:

Il modo corretto di gestire il territorio
http://www.agoravox.it/attualita/societa/article/il-modo-corretto-di-gestire-il-11385

Mettete a confronto i due interventi e verificate quanto sia importante il lavoro degli organicisti per ben inquadrare e posizionare il lavoro degli specialisti nei vari settori di competenza.

Danilo D'Antonio





ANDREA AGOSTINI wrote:

da Eddyburg.it
* Il consumo di suolo in Italia: 1995 – 2006
*Data di pubblicazione: 19.11.2009

Autore: Berdini, Paolo

*Le impressionanti cifre che documentano, nella prima analisi di questo genere, il “grande sacco dell’Italia”. Scritto per eddyburg, 18 novembre 2009 (m.p.g.)*

*1. Stop al consumo di suolo*

Contro la dissennata cementificazione del territorio e la distruzione del paesaggio è da tempo in atto una vasta offensiva sociale e culturale. L’associazione Stop al consumo di suolo è da tempo una realtà in crescita e l’adesione all’appello conta un sempre maggiore numero di contatti[1]. All’associazione partecipano Eddyburg, AltritAsti, Gruppo P.E.A.C.E. Pace, Economie Alternative, Consumi Etici, Movimento per la Decrescita Felice, AltrItalialtroMondo, Comitato per la Bellezza, Associazione dei Comuni Virtuosi. Insieme a questa rete di amministrazioni pubbliche e comitati, anche le grandi associazioni ambientaliste e culturali sono impegnate nel contrastare la distruzione dei beni naturali e la riduzione della biodiversità. WWF, Fai, Italia Nostra e Legambiente sono concretamente impegnate nel contenere la dilagante espansione urbana.

Questo vasto movimento non ha finora potuto fare affidamento su dati certi sulla quantità di suoli agricoli che ogni anno viene urbanizzato e sottratto agli usi naturali. Gli unici indicatori di riferimento sono, come noto, la quantità di ettari sottratti all’agricoltura calcolati dall’Istat (3,5 milioni di ettari nel periodo 1990–2005) e il dato del consumo di suolo misurato dall’Agenzia Ambientale Europea tra il 1991 e il 2001 che aveva stimato in circa 8.400 ettari/anno la quantità di suolo sacrificata per l’urbanizzazione[2]. Il primo dato non rappresenta il reale consumo di suolo, poiché indica soltanto gli ettari sottratti all’agricoltura e dunque non necessariamente urbanizzati. Si tratta di aziende agricole che chiudono il ciclo produttivo o di aree coltivate che vengono abbandonate. Il secondo dato, al di là delle metodologie di interpretazione[3], si riferisce anche ad un periodo in cui l’attività edilizia è stata bassa in conseguenza dell’inchiesta Mani pulite[4].

Recentemente l’Istat ha fornito i dati sulle volumetrie realizzate in Italia nel periodo di tempo che va dal 1995 al 2006, proprio a partire da quel 1995 in cui inizia a verificarsi un attenuarsi degli effetti di Tangentopoli e l’attività edilizia -anche in relazione della congiuntura mondiale- inizia un’ascesa inizialmente lenta e successivamente sempre più impetuosa. Attraverso l’interpretazione di questi dati si è stimata con ragionevole approssimazione il valore del consumo di suolo in atto nel nostro paese, anche se si deve sottolineare preliminarmente che le informazioni Istat sono sicuramente sottostimate rispetto alla realtà. Esse, come noto, si basano sull’invio dei dati relativi al rilascio delle concessioni edilizie da parte delle amministrazioni comunali. E’ noto che questo invio non è sistematico: le informazioni fornite dall’istituto centrale sono conseguentemente sottostimate rispetto alla realtà. Inoltre, il fenomeno abusivo, quantitativamente importante in molte regioni italiane, sfugge per definizione alla rilevazione.

Pur con questi limiti i dati riescono a fornire un quadro attendibile e –soprattutto- verificabile attraverso le letture della crescita dell’urbanizzazione del territorio che iniziano ad essere prodotte alla scala locale.

*2. Si è costruito per “il mercato”
*
Iniziamo dai dati sulle costruzioni residenziali. Sono state costruite quasi 9 milioni di stanze per abitazione (8.897.959 corrispondenti a 1.122.043.692 metri cubi realizzati) (tav.1 file pdf).

Alle stanze di nuova costruzione vanno aggiunte quelle realizzate attraverso ampliamento di edifici esistenti, pari a oltre un milione (1.043 mila, vedi tav. 5). Si arriva in totale a circa 10 milioni di stanze. Questa enorme offerta non ha alcuna relazione con l’aumento della domanda. La popolazione italiana dopo una sostanziale stasi in tutto il decennio 1990-2000 ha iniziato a crescere con tassi molto modesti soltanto per l’apporto della popolazione straniera, la cui presenza è emersa in particolare con i due provvedimenti di regolarizzazione del 2002 (tav.2 file pdf)[5].

Il milione 900 mila abitanti di incremento demografico registrato dal 1995 al 2006 è rappresentati quasi esclusivamente dagli immigrati, persone che, salvo eccezioni, non hanno la minima possibilità di accesso alle abitazioni costruite nel quindicennio. Soltanto l’1% di queste, infatti, è costituito da alloggi pubblici: tutto il resto sono abitazioni private. Tant’è vero che in tutte le più grandi città italiane esiste una diffusa emergenza abitativa: ci sono fasce sempre più ampie di popolazione che a causa del fenomeno dell’impoverimento del ceto medio, della precarizzazione del lavoro e dell’impennata dei prezzi delle abitazioni, soffre di gravi disagi abitativi. Risulta dunque evidente che l’enorme mole di costruzioni realizzate non ha alcuna corrispondenza con la domanda, ma è evidentemente legata ad altri fattori. E’, come noto, un fenomeno comune a molti altri paesi: si è costruito molto perché il fiume di denaro virtuale creato dell’economia finanziaria doveva trovare luoghi in cui materializzarsi: le città e il territorio.

*3. Il consumo di suolo del segmento residenziale*

Vediamo ora di calcolare il valore del consumo di suolo prodotto dal segmento abitativo. Sono stati costruiti 562.885 edifici: incrociandoli con la volumetria totale (un miliardo e 122 mila metri cubi) si vede che il volume medio dei fabbricati e di circa 2.000 metri cubi (1.993, per la precisione). La tavola seguente ci dice che dimensione media dei piani delle abitazioni realizzate è compresa tra 2 e 3 piani. In particolare risulta che le abitazioni fino a due piani rappresentano percentualmente il 52,1% dell’intera produzione edilizia, a dimostrazione del fenomeno di diffusione residenziale che caratterizza il territorio italiano (tav. 3 file pdf)[6]. L’impronta a terra dell’edificio medio di 2.000 metri cubi è pari a circa 290 metri quadrati[7].

Per calcolare la dimensione del lotto impegnato dall’edificio medio si è assunto il valore del rapporto tra superficie coperta e superficie fondiaria contenuto nel decreto ministeriale sugli Standard urbanistici che per le zone consolidate “B” stabilisce un parametro pari a 1/8 tra impronta dell’edificio e superficie fondiaria[8]. Il lotto tipo ha dunque una misura di circa 2.320 metri quadrati. Il territorio fondiario consumato dai 562.885 edifici è dunque pari a circa 130.600 ettari. Se si considera che la volumetria realizzata è pari a 1 miliardo e 122 di metri cubi, si ottiene un indice di fabbricabilità fondiaria risulta pari a circa 0,9 metro cubo per metro quadrato (0,86 mc/mq), indice del tutto congruente con le caratteristiche prevalenti dell’urbanizzazione diffusa.

Per tener conto delle urbanizzazioni primarie, dei servizi e dei parcheggi, considerando che per le zone a bassa densità il rapporto tra superficie fondiaria e quella territoriale è generalmente di 4 a 6, si devono aggiungere 196 mila ettari. Si arriva così a 326 mila ettari di territorio consumato. L’indice di fabbricabilità territoriale scende a poco meno di 0,4 mc/mq, valore anche in questo caso coerente con le caratteristiche delle trasformazioni diffuse.

Si deve infine aggiungere al dato stimato una percentuale relativa all’abusivismo. Il peso dell’abusivismo è sistematicamente stimato da Ecomafia, pubblicazione annuale curata dall’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente che stima intorno al 20% la percentuale dell’abusivismo sulla quota legale[9]. Ai precedenti 326 mila ettari vanno pertanto aggiunti ulteriori 65.000 ettari.

In conclusione, la quantità di territorio consumata nel periodo 1995 – 2006 dal comparto residenziale è pari a 390 mila ettari.

*4. Il “piano casa” è già stato realizzato
*
L’Istat pubblica anche la quantità di volumetrie residenziali realizzate attraverso gli ampliamenti degli edifici esistenti. Si tratta di 146.267.196 metri cubi, per un totale di 287.996 abitazioni e 1.043.467 stanze (tav. 4 file pdf). E’ evidente che questo tipo di attività, a parte trascurabili eccezioni, non produce aumento di consumo di suolo.

Il motivo per cui pubblichiamo la tavola degli ampliamenti è relativo ad un'altra questione, e cioè il rapporto delle quantità realizzate con il cosiddetto piano casa annunciato dal Governo nazionale nel mese di marzo 2009 e i successivi provvedimenti regionali. Dal dato Istat di vede infatti che il mercato edilizio aveva già diffusamente utilizzato le possibilità regolamentari per gli ampliamenti degli edifici esistenti. Il primo atto di ogni buon governo dovrebbe essere quello della conoscenza sistematica delle questioni affrontate. In questo come in molti altri casi, il legislatore si è invece affidato alla sorte. Oggi dal mondo della Confindustria si levano alte grida contro “la burocrazia che blocca i piani casa”[10]. In realtà il motivo vero del fallimento è che si erano già realizzate molte costruzioni ampliando gli edifici esistenti.

Anche un’altra serie di informazioni fornite dall’Istat, pur esulando dallo specifico obiettivo della presente ricerca, è di grande utilità per comprendere gli effetti della valorizzazione immobiliare di questi anni. Le informazioni statistiche riportano la distribuzione dimensionale dell’edilizia residenziale realizzata. Il vertiginoso aumento dei valori immobiliari di questi anni ha causato una riduzione delle superfici alloggiative. Oltre al fenomeno della diffusione residenziale, siamo dunque in presenza di un evidente fenomeno di diminuzione dello standard abitativo. Il decennio del liberismo trionfante ha intaccato il diritto alla città perché ha esteso l’urbanizzato oltre ogni limite e costretto le famiglie meno abbienti a trasferirsi sempre più lontano dalle città e nello stesso tempo ha eroso il diritto ad una casa adeguata alle esigenze del nucleo familiare (tav. 5 file pdf). Si vive sempre più lontano e e in case sempre più modeste.

Ulteriore passo della restaurazione privatistica delle città, come nota Paola Bonora, sarà quello di abbassare la durevolezza delle abitazioni, costruendo alloggi da rottamare in tempi brevi (20 anni al massimo) così da alimentare un mercato drogato di demolizioni e ricostruzioni[11].

*5. Il consumo di suolo del segmento produttivo*

Oltre al comparto residenziale, l’Istat certifica che sono stati realizzati 246.451.984 metri quadrati di manufatti produttivi (tav. 6 file pdf). Soltanto con la realizzazione dei capannoni sono stati dunque consumati 24.645 ettari di terreno.

Assumendo un indice di occupazione medio dei lotti pari al 30% si raggiunge un valore fondiario dei lotti edificati pari a 82.150 ettari. Per tenere conto delle strade di allacciamento e di distribuzione e dei parcheggi si è raddoppiata la precedente quantità. In complesso il consumo territoriale di suolo delle nuove costruzioni è di 164.300 ettari.

L’Istat fornisce ancora i dati quantitativi sugli ampliamenti degli edifici produttivi esistenti, 45.974.441 metri quadrati (tav. 7 file pdf). A differenza del comparto residenziale, in questo caso gli ampliamenti produttivi producono aumenti del consumo di suolo. Vengono infatti utilizzati nuovi suoli non urbanizzati per aumentare le linee di produzione o per ampliare le aree di stoccaggio. Tenendo conto dell’incremento per le urbanizzazioni primarie (anche in questo caso si è utilizzato un parametro di aumento del 100%) si raggiunge il valore di 10.000 ettari (9.194).

Alla somma dei due precedenti valori (173.500 ettari) si deve ancora aggiungere una percentuale del 20% per tener conto dell’abusivismo, e cioè altri 34.700 ettari.

Il consumo di suolo per il comparto produttivo è complessivamente pari a circa 210 mila ettari.

*6. Il consumo di suolo per la realizzazione delle infrastrutture*

Il calcolo del consumo di suolo causato dalla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali realizzate negli undici anni considerati non può fare affidamento su alcun dato statistico. Per stimarlo si è operato sui valori della larghezza standard degli impalcati infrastrutturali per le tipologie ferroviarie e per quelle autostradali o stradali. Il parametro lunghezza è stato calcolato sulle opere realizzate in questi anni: la tratta di alta velocità ferroviaria tra Napoli e Torino, la terze corsie autostradali (Roma-Orte, tratta Adriatica, etc); le nuove tratte (variante di valico appenninico, etc.); l‘adeguamento del grande raccordo anulare a Roma e la Salerno-Reggio Calabria. Se si pensa che soltanto per l’alta velocità ferroviaria si può valutare il consumo di suolo in circa 25 mila ettari, una stima prudenziale ci fa arrivare al valore complessivo di 150 mila ettari di terreno consumato.

Il consumo di suolo per la realizzazione delle infrastrutture arriva a 150 mila ettari.

*7. La coerenza dei dati stimati con gli studi esistenti*

La somma del consumo di suolo residenziale, di quello produttivo e di quello infrastrutturale porta ad un valore di 750 mila ettari. Questo risultato è stato verificato con quelli desunti da concrete indagini di campo.

La provincia di Milano ha pubblicato nel 2009 il Quaderno n. 28 del Piano territoriale dedicato al consumo di suolo. La ricerca “Consumo di suolo. Atlante della provincia di Milano” è stata redatta in collaborazione con il Centro studi Pim e riporta il dato sintetico del consumo di suolo calcolato nel periodo 1999 – 2004 in5,5 metri quadrati di suolo per abitante/anno.

Il dato calcolato all’interno della ricerca (750 mila ettari) porta ad un dato sensibilmente più alto, e cioè 11,6 metri quadrati/abitante/anno. In realtà il dato è comparabile con quello calcolato dalla Provincia di Milano per due motivi. Il primo di natura legale: nel milanese la percentuale dell’attività abusiva è pressoché vicina allo zero e il valore dell’11,6 deve subire una decurtazione pari al 20%, diventando pari a 9,3 mq/ab/anno. Il secondo motivo è invece legato ai valori di densità edilizia che nel caso delle aree metropolitane è molto superiore al dato utilizzato per il calcolo del consumo di suolo medio.

L’Istat fornisce i dati relativi alla distribuzione del numero di piani degli edifici residenziali disaggregati rispetto alla dimensione degli organismi urbani, in particolare fornisce quelli relativi alle città italiane con oltre 500 mila abitanti[12]. Dalla tavola 8 si vede che se la percentuale delle abitazioni realizzate su tre piani è identica al dato nazionale (33,6), ben diverso è invece il peso degli edifici di 5 e 6 piani. Nei grandi centri urbani gli edifici ad alta densità assumono un peso notevolmente maggiore: gli edifici di cinque piani rappresentano l’8,8% nelle grandi città mentre il dato nazionale era del 2,4% (tav. 3 file pdf). Gli edifici con 6 e più piani di abitazione raggiungono nelle grandi città la percentuale del 17,2% rispetto alla media nazionale dell’1,5%[13].

Se si tiene conto dei due fenomeni (assenza di abusivismo e maggiori densità urbane) il valore calcolato su scala nazionale dell’11,6 scende nel caso della provincia di Milano a circa 7,0, molto vicino a quello di 5,5 mq/ab/anno misurato dagli uffici tecnici provinciali.

*8. In undici anni è sparita l’Umbria. In un anno Ravenna*

Come accennavamo, i tre addendi del consumo di suolo raggiungono in totale 750 mila ettari nel periodo della rilevazione 1995-2006, e cioè oltre 68.200 mila ettari/anno.

Ciò vuol dire che, se si tolgono le aree già urbanizzate, in undici anni è stata coperta dal cemento e dall’asfalto una regione grande quanto l’Umbria e che ogni anno sparisce per lo stesso motivo l’intero comune di Ravenna[14]. Un dato che può certo far piacere agli idolatri dell’urbanistica contrattata-perequativo-compensativa. Un dato spaventoso per coloro che hanno a cuore la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali italiane.

Per la verità, passata -anche se non del tutto- l’ubriacatura neoliberista gli urbanisti che si immolano sempre e comunque all’urbanistica promozionale e ai mercatini dell’urbanpromo sono in rapido declino e senza grandi argomenti. Aumenta invece il numero delle persone che denunciano questo intollerabile stato di cose. Non soltanto i soggetti che elencavamo in premessa, ma anche grandi intellettuali come Barbara Spinelli che di recente ha scritto “Inutile dividere i mali italiani in compartimenti stagni: la morte della politica da una parte, l’informazione ammaestrata o corriva dall’altra, le speculazioni edilizie da un’altra ancora. Tutte queste cose sono ormai legate, fanno un unico grumo di misfatti e peccati d'omissione che mescola vizi antichi e nuovi. È l’illegalità che uccide l’Italia politica e anche quella fisica, la sua stima di sé, la sua speranza, con tutti i vizi che all’illegalità s’accompagnano: la menzogna che il politico dice all’elettore e quella che ciascuno dice a se stesso, il silenzio di molte classi dirigenti su abusivismo e piani regolatori rimaneggiati, il territorio che infine soccombe”[15].

Non ci sono parole migliori per tentare di fermare per sempre il “grande sacco dell’Italia” e il consumo di suolo.

[1] Al 10 novembre gli iscritti all’associazione sono 13.092, di cui almeno 200 comitati e associazioni di cittadini. Il sito è www.stopalconsumoditerritorio.it

[2] I dati sono riportati nella ricerca effettuata dal WWF e dall’Università di L’Aquila. Vedi “2009, l’anno del cemento”. Dossier sul consumo di suolo in Italia, a cura del WWF Italia, 2009.

[3] E’ stato utilizzato il sistema Corinne Land Cover che non apprezza le urbanizzazioni sotto una soglia dimensionale elevata.

[4] La produzione edilizia del decennio 1991 – 2001 si attesta su una media di 200 mila alloggi /anno. Raggiunge i 300 mila alloggi negli anni 2004-2005.

[5] In numero dei permessi di soggiorno al 1 gennaio 2008 sono 2.063.127. Nel 2002 erano 1.448.392.

[6] Si veda in particolare No Sprawl, a cura di Maria Cristina Gibelli e Edoardo Salzano. Alinea editrice, 2006.

[7] Si è assunto un valore medio tra due piani (6,00 ml) e tre piani (9,00 ml), e cioè 7,0 metri.

[8] Il Decreto ministeriale 1444/68 definisce le zone B di completamento urbanistico “le parti del territorio parzialmente edificate in cui la superficie coperta dagli edifici esistenti non sia inferiore al 12, 5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona”.

[9] Legambiente, Osservatorio ambiente e legalità, Ecomafia 2009. Pagg. 175 e sgg.

[10] E’ il titolo d’apertura del quotidiano della Confindustria evidenziato su quattro delle cinque colonne dell’inserto dedicato a Roma e al Lazio il 28 ottobre 2009.

[11] Paola Bonora, E’ il mercato bellezza, in Eddyburg dal 29.03.09. In corso di pubblicazione. Dall’inizio del 2009 da parte dell’Ance sono ormai numerosissime le uscite mediatiche tese a “convincere” l’opinione pubblica che realizzare

case a rapido degrado sia l’unico modo per risolvere il problema abitativo delle famiglie a basso reddito. Come prassi consolidata, interessi egoistici se non bassamente speculativi vengono spacciati per interessi generali, complice un compiacente mondo dell’informazione.

[12] Come noto, le città italiane con popolazione superiore ai 500 mila abitanti sono sei. Nell’ordine Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova.

[13] Il fenomeno del aumento delle densità urbane è anche causato dalle caratteristiche dell’urbanistica contrattata che ha di fatto consegnato le città alla proprietà fondiaria. Un approfondito studio del fenomeno è contenuto in un recente volume di Sergio Brenna, La strana disfatta dell’urbanistica pubblica, Maggioli editore, 2009.

[14] La superficie territoriale dell’Umbria è pari a 8.546 chilometri quadrati. Quella del comune di Ravenna 652,89 chilometri quadrati.

[15] Barbara Spinelli, Il grande sacco dell’Italia, La Stampa, 4 ottobre 2009, consultabile su eddyburg: http://www.eddyburg.it/article/articleview/13937/1/352

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