come sfamare il mondo



dal manifesto
venerdì 16 ottobre 2009
Come nutrire il mondo
di Marinella Correggia

Un mondo che lascia affamato un miliardo di persone adesso che le bocche sono 6,8 miliardi, come riuscirà a nutrire tutti nel 2050 quando saremo 9,1 miliardi e le condizioni naturali di produzione saranno proibitive a causa dei cambiamenti climatici? Su «Come nutrire il mondo nel 2050» hanno discusso per due giorni, non senza contraddizioni, molti esperti di ogni parte del mondo e di ogni settore (università, centri di ricerca, reti non governative, compagnie private) invitati a Roma dalla Fao. Per il direttore generale della Fao Jacques Diouf, «si dovrà produrre di più con meno risorse e meno acqua, più rischi climatici e più malattie, in condizioni di estremo stress per gli agricoltori e gli ecosistemi soprattutto delle terre tropicali dove sono concentrati i poveri e malnutriti». L'energia scarseggerà e sarà più cara, i ghiacciai disciolti non alimenteranno più i fiumi, l'acqua evaporerà prima per il caldo, le stagioni saranno sconvolte, la biodiversità - chiave per l'adattamento - è erosa. Ebbene in queste condizioni estreme, quanto e che cosa dovrebbe produrre l'agricoltura, per nutrire tutti, per combattere la povertà rurale, per essere volano di sviluppo e pure far bene al clima? Dipende dalla concorrenza per l'output agricolo, che è molteplice e crescente: si parla di competizione fra cibo, mangimi, agrocarburanti, fibre, forse in futuro i sostituti della chimica. Il documento preparatorio dà per certo che nei prossimi 41 anni la produzione agricola totale dovrà aumentare del 70% almeno e del 100% nei paesi impoveriti. Ma perché? In parte per affrontare l'aumento demografico, per il resto per rispondere alla diffusione di modelli alimentari a elevato consumo di prodotti animali, i quali richiedono più risorse (in più, si prevede un aumento esponenziale degli agrocarburanti che porrebbe «seri rischi per la sicurezza alimentare»). Ma, hanno contestato alcuni partecipanti dal pubblico, dare per non modificabili i modelli alimentari presenti e futuri rende tutto più difficile. Altri hanno ribadito che l'accesso al nutrimento è un fatto di giustizia sociale più che di quantità prodotte e magari sprecate.
Comunque, per arrivare a questo raddoppio della produzione, quali i soggetti giusti, le tecniche e le risorse? Unanime o quasi l'omaggio ai famosi piccoli contadini, oltretutto la maggioranza fra i malnutriti. I loro rappresentanti hanno però sottolineato la rovina a cui li hanno sottoposti le politiche commerciali di dumping e l'aggiustamento strutturale, l'imperativo dell'accesso alle risorse produttive, dello sviluppo rurale e dei mercati locali. Riconosciuto anche il ruolo della biodiversità nell'adattamento alle nuove condizioni, e delle colture neglette, rustiche, nutrienti e non colpite dalla speculazione. Però, quanto alla sfida tecnologica, è parso piuttosto maggioritario nell'assemblea di 300 persone l'appoggio agli Ogm e alla rivoluzione verde. E se i coltivatori organici sostengono che «nelle aree difficili e aride i raccolti senza chimica sono più alti del 10-20% rispetto ai convenzionali», Diouf è stato chiaro: «L'agricoltura biologica contribuisce alla lotta alla povertà, è benefica ma non può nutrire il mondo».
A parte tutto, chi paga? Chi sgancerà quegli 83 miliardi di dollari globalmente necessari? In gran parte, dicono, il settore privato. E i paesi poveri, da dove prenderanno le risorse? «Perché non pescare dalle spese militari?» ha detto Elenita Dano del Third World Network. E altri hanno sottolineato il principio del «chi inquina il clima paga per i danni»: ma a Copenaghen gli inquinatori pagheranno?