sostenibilità: applichiamo gli indicatori




da greenport.it
17/07/2009

Sostenibilità: i nuovi indicatori già ci sono, applichiamoli
di Gianfranco Bologna
 
ROMA. Anche alla luce di quanto è emerso negli ultimi vertici G8, G8+5, MEF (Major Economies Forum) de L’Aquila, una domanda centrale per il nostro futuro continua a farsi prepotentemente strada, soprattutto alla luce della grave crisi finanziaria ed economica che stiamo attraversando: «Come è possibile in maniera responsabile far cambiare le moderne società industrialmente mature per garantire che produzioni e consumi rimangano entro le possibilità naturali del pianeta (ovvero che non si basino più su di un uso inarrestabile di risorse)?». Così la ponevano, nel 1995, gli studiosi del prestigioso Wuppertal Institute per il Clima, l’ambiente e l’Energia nel bel volume “Verso un’Europa sostenibile” (Maggioli editore).

Ormai è sempre più chiaro che il nodo cruciale del nostro immediato futuro si gioca sulla nostra capacità di individuare e percorrere rapidamente nuove strade di sviluppo sociale ed economico che non siano più in rotta di collisione con gli equilibri dinamici dei sistemi naturali come quella attuale. La base concettuale della dominante visione economica tradizionale si basa, come possiamo constatare tutti i giorni, sul concetto di “crescita” continua. Ancora oggi leggiamo in documenti ufficiali o ascoltiamo interventi di importanti personaggi del mondo politico ed economico che pensano possibile una “crescita sostenibile”.

Emblema di questa visone dominante continua ad essere, da quando è stato creato dalla fine degli anni ’40 dello scorso secolo, l’indicatore del PIL, il prodotto interno lordo, divenuto, con il tempo, un vero simbolo della crescita economica e quindi ritenuto anche simbolo della ricchezza e del benessere di una nazione. Nel 1950 il prodotto mondiale lordo era di 6.400 miliardi di dollari, nel 2008 ha sorpassato i 72.000 miliardi di dollari. Solo dal 1995 al 1998 la crescita del prodotto mondiale lordo è stata superiore a quella che si è avuta nel periodo da quando la specie umana ha avviato la sua rivoluzione agricola, circa 10.000 anni fa, fino al 1900.

Lo sviluppo sostenibile, come ha ricordato lo studioso di sostenibilità Hartmut Bossel (nel suo “Indicators for Sustainable Development: Theory, Method, Appplications” pubblicato nel 1999 dall’International Institute for Sustainable Development – IISD – www.iisd.org ), è possibile solo se i sistemi, nella loro totalità, mantengono la loro “vitalità”.

Oggi quindi è pertanto sempre più necessario identificare le componenti essenziali dei sistemi e definire degli indicatori capaci di provvedere ad un informazione valida circa la vitalità di ciascun sistema. L’avvio di percorsi di sostenibilità del nostro sviluppo necessita di un sistema di informazioni del quale gli indicatori costituiscono una parte molto importante.

Sugli indicatori per la sostenibilità negli ultimi anni si è scatenato un affascinante dibattito che ha coinvolto molti studiosi illustri, centri di ricerca, organismi delle Nazioni Unite, autorità locali e nazionali ecc.

In un lavoro del 1997 Mathis Wackernagel ed i suoi collaboratori (“Ecological Footprint of Nations: How much do they use? How much do they have?” pubblicato dall’Earth Council) scrivono: «Alla conclusione del Vertice della Terra tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, l’umanità si trovava di fronte alla sfida obbligata di dover diminuire il proprio impatto sul pianeta. A cinque anni di distanza viviamo in un mondo sempre più in pericolo, con una popolazione più numerosa, maggiori consumi, più rifiuti e povertà, ma con una minore biodiversità, meno foreste, meno acqua potabile da utilizzare, meno suolo ed un ulteriore riduzione dell’ozono nella stratosfera. Siamo tutti ben consapevoli di essere lontani dalla sostenibilità. Ma quanto lontani ? Se non siamo in grado di misurare, non abbiamo alcuna possibilità di agire. Per fare della sostenibilità una realtà dobbiamo sapere dove siamo ora e quanto lontano si deve andare; dobbiamo misurare quanto è lunga la strada verso il progresso. La buona notizia è che dopo il vertice di Rio questi strumenti di misurazione – essenziali per le istituzioni, le aziende e le organizzazioni di base – hanno compiuto progressi sostanziali».

Oggi, dopo quasi venti anni trascorsi dall’Earth Summit di Rio, i passi sono stati certamente notevoli e consentono di disporre di una straordinaria serie di strumenti che abbiamo ormai l’obbligo di utilizzare. A causa della crescita della popolazione e dei continui alti livelli di consumo nei paesi sviluppati insieme alla rapida industrializzazione di paesi come Cina, India e Brasile, la domanda mondiale di risorse naturali e le relative pressioni sui sistemi naturali continuano ad incrementarsi. Siamo sempre più consapevoli che le società umane sono strettamente connesse con la biosfera e dipendono dagli ecosistemi per i bisogni essenziali della nostra esistenza: cibo, acqua, energia, fibre, “serbatoi” naturali per gli scarti dei nostri processi metabolici ed altri servizi. Nello stesso tempo l’estrazione continua di tantissime risorse non rinnovabili ci dimostra che stiamo raggiungendo o siamo molto vicini al raggiungimento di “picchi” di consumo (Richard Heinberg ha scritto nel 2007 un libro che si intitola “Peak Everything: Waking Up to the Century of Declines” New Society Publishers). Come ci ricordano gli ultimi interessantissimi Working Papers pubblicati dal Sustainable Europe Research Institute (SERI – www.seri.at) un vero e proprio “Think-tank” sulla sostenibilità diretto da Friederich Hinterberger, gli ultimi 30 anni hanno visto un cambio nella complessità dei problemi ambientali.

All’inizio le politiche ambientali erano concentrate sulla riduzione del degrado ambientale a livello locale o regionale attraverso la riduzione dell’inquinamento di alcune sostanze pericolose sia nell’aria, che nell’acqua e nel suolo. Dalla metà degli anni Ottanta hanno assunto sempre più rilievo le dimensioni degli effetti del cambiamento globale da noi indotto sul pianeta, dal cambiamento climatico alla scomparsa della biodiversità, dalla trasformazione delle coperture del suolo agli alti livelli di consumo di energia e di risorse, alla relazione quindi tra i metabolismi dei sistemi naturali e dei metabolismi dei sistemi sociali e si tratta di temi tutti strettamente legati ai nostri modelli di produzione, di consumo e di commercio.

Questi problemi sono tutti legati alla scala della nostra attività economica ed oggi possono essere registrati attraverso una serie di indicatori applicabili a tutti i livelli dell’attività economica, da quelli micro dei produttori e delle imprese a quelli meso dei vari settori economici fino a quelli macro delle nazioni e delle regioni a livello mondiale.

L’applicazione di questi indicatori ci fornisce un quadro certamente preoccupante della situazione attuale ma ci fornisce altresì strumenti operativi per avviare soluzioni concrete a tali problemi. E’ necessario solo applicarli.