liscia gasata artificiale l'acqua fai da te. La rivincita del rubinetto



da repubblica.it

CONSUMI
L'acqua fai da te
Liscia, gassata o artificiale?
È la rivincita dell'acqua del rubinetto. In molte mense scolastiche ricomparsa la caraffa. Mineracqua ammette: con la crisi abbiamo avuto l'1,7% di vendite in meno 
 
MILANO - "Mille litri, un euro". Un sorriso sotto i baffi, i soliti capelli un po' ribelli e una caraffa in mano, Massimo Cacciari - primo cittadino di Venezia - si è messo in affari. Siamo in recessione, gli italiani (e i Comuni) hanno in tasca pochi soldi. E lui ha fiutato il business: vende acqua. "Acqua Veritas, l'acqua del sindaco - dice riempiendosi un bicchierone nella pubblicità finita persino sulle pagine del New York Times. Buona, sicura e controllata ogni giorno". Oro blu che parte da sorgenti vicine ai pozzi della concorrente San Benedetto (butta lì il quotidiano Usa) e sgorga nei rubinetti di tutte le case della laguna.
Dopo una sbornia di minerale lunga quasi vent'anni, con i consumi di gasata e naturale cresciuti da 65 a 192 litri pro capite, l'Italia - Cacciari in testa - è tornata all'acqua fai-da-te. Basta bottiglie di plastica (smaltirle a Venezia costa quasi 250 euro a tonnellata).

Basta spese inutili. Il Belpaese ha rispolverato le brocche, scoperto le caraffe filtranti - "le vendite sono decollate", dicono alla Laica, numero uno del settore - ed è riapprodato all'autarchia idrica. Venezia - dove la campagna di Veritas (la municipalizzata locale) ha fatto aumentare del 4% il numero dei cittadini che bevono acqua di rubinetto - non è sola. L'Acea a Roma, l'Acquedotto Pugliese e quello lucano hanno "etichettato" il loro prodotto come fosse una "griffe" da ristorante due stelle Michelin.

Presentando sui propri siti le analisi organolettiche e il contenuto in minerali garantito da migliaia (350mila nella capitale) controlli l'anno. L'acqua naturale è riapparsa dopo un decennio sui tavoli delle mense scolastiche di Roma, Milano, Firenze e Bologna. Perugia, Abbiategrasso, Monterotondo, Cusano Milanino e tanti altri piccoli centri d'Italia hanno installato fontanelle pubbliche d'acqua gasata per placare la sete dei loro cittadini. A Torino e in Piemonte è partita la campagna Tvb. Non il melenso e abusato "ti voglio bene" da sms, ma "ti voglio bere", lo slogan che ha portato in centinaia di asili ed elementari della regione le borracce griffate e gli opuscoli che hanno accompagnato il ritorno della bevanda più vecchia del mondo a pranzo, evitando di riempire le discariche sabaude di 22 mila bottiglie di plastica al giorno.

Economia ed ecologia, in effetti, in questo ritorno al passato della tavola nazionale, vanno a braccetto. "L'acqua del rubinetto costa 500 volte in meno della concorrente industriale - dice Luca Martinelli di Altraeconomia, autore della fortunatissima "Piccola guida al consumo critico dell'acqua" - . Ma come ha capito bene Cacciari garantisce anche un enorme risparmio ambientale". L'Italia produce 12,4 miliardi di bottiglie l'anno consumando 655 mila tonnellate di petrolio, scaricando in aria 910 mila tonnellate di CO2 e in pattumiera 200 mila tonnellate di polietilene, il cui smaltimento (solo un terzo viene riciclato) "è a carico di cittadini ed enti locali". Non solo. Otto litri di minerale su 10 percorrono in camion centinaia di chilometri per arrivare dalla sorgente agli scaffali dei supermercati e sui tavoli dei ristoranti. Bruciando ettolitri di gasolio.

La qualità? "L'acqua del rubinetto non ha niente da invidiare a quella industriale - assicura Martinelli - . Ogni pozzo che garantisce da 100 a 10 mila litri, il fabbisogno di un piccolo capoluogo, è sottoposto a 70 controlli l'anno. Nelle grandi città le verifiche sono decine di migliaia. E una recente sentenza del Tar, ma non ce n'era bisogno, obbliga gli acquedotti pubblici alla trasparenza, pubblicando i risultati di tutti gli esami". I limiti di legge sono rigidi e valgono per tutti.

E non a caso oltre 1.500 ristoranti nel Belpaese hanno aderito senza alcuna remora alla campagna "Imbrocchiamola" di Legambiente, offrendo esplicitamente in menù l'acqua del rubinetto. Liscia e gasata. A garantire le bolle d'anidride carbonica fai-da-te del terzo millennio non sono più Idriz e Frizzina - le magiche polverine degli anni '60 - ma i nuovi gasificatori, diabolici marchingegni che stanno iniziando a conquistare a ritmi vertiginosi le cucine degli italiani.

"Noi abbiamo iniziato a proporli un anno fa - conferma Claudio Tagliapietra, direttore commerciale di Sodastream, uno dei leader sul mercato nazionale -. Ci eravamo posti un obiettivo di vendite che credevano molto ambizioso per il 2009 e l'abbiamo già raggiunto a maggio, viaggiando a 15 mila pezzi al mese". Merito di un mercato immaturo (in Svezia ci sono gasificatori nel 30% delle famiglie, da noi siamo a percentuali da prefisso telefonico) ma anche di una serie di accordi con le amministrazioni locali che si stanno tuffando nel business dell'acqua del sindaco. "A Venezia la Veritas vende a sconto i nostri modelli - conclude Tagliapietra - imputando a rate il costo in bolletta".

L'industria della minerale, 321 marchi, 3,5 miliardi di giro d'affari e 8 mila addetti, ha accusato - com'era inevitabile - l'uno-due della crisi e del revival del rubinetto. "Le nostre vendite sono calate l'anno scorso (-1,7%) per la prima volta in dieci anni - ammette Ettore Fortuna, numero uno di Mineracqua, l'organizzazione di settore - anche perché la gente al supermercato privilegia le etichette meno care, snobbando quelle di fascia alta".

La concorrenza degli acquedotti? "L'acqua di rubinetto e la nostra sono due cose completamente diverse - dice - : noi la recuperiamo in un giacimento sotterraneo profondo, protetto e incontaminato e la imbottigliamo alla fonte. Quella delle municipalizzate ha le provenienze più disparate. Torino la prende in parte dal Po, Firenze dall'Arno, poi la devono trattare, disinfettare e potabilizzare". Uno studio (ancora non pubblicato) commissionato dall'industria e contestato da Legambiente, sostiene Fortuna, "conferma che da un rubinetto su quattro esce acqua con tracce batteriologiche e "contaminanti di origine antropica"".

Tutti in valori ben sotto i limiti massimi previsti dalla legge, però. E nella maggior parte dei casi - dice Martinelli - per colpa della mancata manutenzione degli impianti condominiali: "Le municipalizzate garantiscono un'acqua pura fino al contatore, poi troppo spesso gli amministratori si dimenticano di trattare le cisterne e le autoclavi".

La riscossa del rubinetto non è un fenomeno solo italiano. Michael Bloomberg, sindaco di New York (forte di un acquedotto che attinge a 13 riserve e 3 laghi cristallini), ha impostato buona parte della sua campagna elettorale vincente proprio sull'addio alle minerali (negli Usa se ne beve un po' meno che da noi, anche per la concorrenza delle micidiali bevande zuccherate). Anche se nella patria di Wall Street e del business sono riusciti a mettere in commercio un'etichetta, "Tap'd NY" che vende a 2 dollari a bottiglia l'acqua del rubinetto imbottigliata (e c'è gente che la compra!).

Parigi, che aveva ceduto ai privati i suoi acquedotti, ha fatto marcia indietro pochi mesi fa. La gestione di Veolia e Suez - per il primo cittadino Bertrand Delanoe - aveva peggiorato la qualità idrica e fatto decollare i prezzi. E così il Comune ha ripreso il controllo del servizio.

Tutto il mondo è paese, insomma. L'autarchia idrica, complice la recessione, dilaga. Dalla Tour Eiffel all'Empire State Building, dalle case scandinave alla provincia italiana. Ultimo caso: l'apertura poche settimane fa di un distributore di H20 (si chiama proprio così) sulla strada Regina, due passi dalla villa di George Clooney sul lago di Como. Eroga, gratis, acqua limpida e purissima, liscia o gasata. Tutta prodotta della municipalizzata locale. Quella del comune di Acquaseria. Più di così...