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cosa nasconde il piano b sulla casa del governo
- Subject: cosa nasconde il piano b sulla casa del governo
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 15 Apr 2009 06:36:09 +0200
da repubblica.it
mercoledi 14 aprile 2009 Che cosa nasconde il piano b del governo SALVATORE SETTIS La tragedia dell´Abruzzo martoriato dal terremoto spazza via la farsa del cosiddetto "piano casa". Frutto di cinica improvvisazione in caccia di voti, esso prevedeva persino «procedure semplificate per le costruzioni in zone sismiche», fra cui l´abolizione di ogni autorizzazione preventiva, sostituita dal «controllo successivo alla costruzione, anche con metodi a campione». Ci sono voluti centinaia di morti perché un residuo di decenza cancellasse (sembra) queste parole sinistre, preludio a nuovi disastri, a nuovi lutti. Conflitti di competenza Stato-Regioni, furberie e tatticismi procedurali hanno ormai consegnato il "piano casa" a una sorta di percorso carsico, da cui esso riemerge ogni giorno in vesti mutate. Ma è vero che il "piano casa", «a furia di passare di mano in mano e dal setaccio delle Regioni, è diventato un pianerottolo» (così Feltri su Libero)? O ha ragione invece Bartezzaghi quando scrive che, accantonato il Piano A, il governo è passato a un Piano B («l´opzione alternativa, la via di fuga, la riserva mentale, la scappatoia»)? E il Piano B, scritto con la voglia del Piano A, non ne avrà conservato, nonostante le copiose lacrime di coccodrillo, le peggiori istanze? Per valutare il Piano B e i suoi travestimenti, ricordiamoci quel che diceva il Piano A. Esso incoraggiava ampliamenti indiscriminati di tutti i fabbricati, infestando case e condomini con funeste escrescenze: ampliamenti del 20% degli edifizi ultimati entro il 2008, per giunta con opzione di acquisto dai vicini delle quote di loro spettanza, onde raddoppiare (e oltre) quel 20%; per chi abbatta un edificio, possibilità di ricostruirlo ampliato del 35%. Il tutto in deroga a ogni norma vigente, mediante il ricorso massiccio al silenzio-assenso e alla d.i.a. (dichiarazione inizio attività), che perfino nei centri storici doveva precedere (di fatto, sostituire) il parere delle Soprintendenze, ribaltando la sequenza prevista dal Codice dei Beni Culturali e dal T.U. per l´edilizia. Insomma, la legalizzazione previa di abusi e reati: una vera e propria istigazione a delinquere nei panni di una bozza di legge, un regalo agli «osceni palazzinari di cui ci lamentiamo da anni, ai comuni annaspanti nella corruzione, ai costruttori senza regole e ai politici imbroglioni: uomini che disprezziamo, ma che sono stati prodotti da noi, sono parte di noi, e il nostro disprezzo non ci protegge dalle loro malefatte» (Orhan Pamuk). Molto si è reclamizzato il fatto che nel Piano B uscito dalla Conferenza
Stato-Regioni del 31 marzo, e rimaneggiato fino al 9 aprile, le escrescenze (la
"soluzione 20%") vengano limitate a villette uni e bifamiliari (resta invece la
"soluzione 35%" per la demolizione e ricostruzione di edifici residenziali di
qualsiasi dimensione), e che ne vengano esclusi i centri storici. Resta da
capire come mai una norma che prevede la rottamazione dei fabbricati di bassa
qualità costruttiva (quelli che all´Aquila sono crollati come castelli di carta)
inciti poi a ricostruirli più in grande senza garanzie di sicurezza; e questo in
un Paese che da decenni vede il drammatico calo di tecniche costruttive e
controlli pubblici, come le rovine d´Abruzzo dimostrano anche ai ciechi.
Ma il Piano B fa di peggio. Dove il Codice dei Beni Culturali prevede
l´autorizzazione paesaggistica preventiva, con controlli incrociati di Stato,
Regioni ed Enti locali (art. 146), si sostituisce la vana opzione di
annullamento ex post di quanto già approvato dai Comuni, ma «solo per contrasto
con le prescrizioni del Codice»; e ciò in via permanente (secondo una versione),
ovvero fino al 2011 (secondo un´altra, che però aggiunge il silenzio-assenso).
Peggio ancora, e ancora contro il Codice, un basso espediente causidico
nullifica ogni potere e responsabilità dello Stato nella gestione dei vincoli
paesaggistici, obbligando il Soprintendente ad esprimersi in una "conferenza dei
servizi", cioè a sedere a un tavolo in cui può facilmente esser messo in
minoranza dai rappresentanti degli enti locali, anche se privi di competenza
tecnica in materia di paesaggio. Si assimilano alla manutenzione ordinaria e
straordinaria gli interventi di "edilizia libera", prefigurando un condono
garantito a regime, e si estende in perpetuo la sanatoria paesaggistica che il
Codice bloccava al 2004. Infine, si delega il Governo a "semplificare" le
sanzioni degli illeciti paesaggistici, depenalizzando in particolare le false
dichiarazioni tecniche dei progettisti, punibili solo dopo l´accertamento del
danno (cioè dopo il prossimo terremoto, dopo altri lutti e rovine). Anche il
Piano B calpesta dunque senza scrupoli il Codice dei Beni Culturali, che pure
nacque da un altro governo Berlusconi, e a cui ministri e loro lacché continuano
a rendere omaggio pro forma, mentre lavorano per smantellarlo. Intanto le
Regioni, dopo aver protestato perché il Piano A non rispettava le loro
competenze, tacciono, soddisfatte del Piano B, quasi per un patto scellerato:
accettano di subire l´invadenza dello Stato sul piano casa, purché i controlli
paesaggistici previsti dal Codice vengano posticipati sine die o annullati.
Questo richiamo al Codice non è l´ubbía di qualche nostalgico. I valori in
gioco sono la memoria storica del Paese, la sua dignità etica, il patrimonio
naturale e artistico che abbiamo ereditato dai nostri padri e dobbiamo
trasmettere ai nostri figli. Sono valori presidiati dalla Costituzione: e
sarebbe bene che qualcuno, a Palazzo Chigi e dintorni, andasse a rileggersi
l´articolo 9 («La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e
artistico della Nazione»), e si ricordasse che, in quanto inserito tra i
principi fondamentali, esso è sovraordinato a tutto quel che segue, inclusa
l´attività economica privata, che «non può svolgersi in contrasto con l´utilità
sociale» (art. 41). Perciò la Corte Costituzionale ha spesso sancito la
«primarietà del valore estetico-culturale, che non può esser subordinato ad
altri valori, ivi compresi quelli economici», e anzi dev´essere «capace di
influire profondamente sull´ordine economico-sociale» (151/1986), affermando che
il paesaggio è «un valore primario e assoluto, che precede e costituisce un
limite agli altri interessi pubblici» (367/2007). Precisamente il contrario
della ratio del piano-escrescenze, che fa appello all´egoismo individuale per
inondare città, borghi e campagne d´Italia con un´immensa colata di cemento.
Sarebbe un delitto contro l´ambiente come bene pubblico, contro la storia e la
memoria di questo Paese: questo vuol dire il severo, tempestivo monito del Capo
dello Stato contro le «molte insidie alla salvaguardia del patrimonio artistico,
culturale e paesaggistico, valori che la Costituzione tutela e di cui impone il
rispetto».
Il terremoto d´Abruzzo è una tragedia per l´Italia, e costringe, oltre le
emozioni del momento, a un severo riesame delle priorità nazionali. Se davvero
vogliamo "far ripartire i cantieri", questo è il momento di ricordarsi delle
leggi antisismiche, ogni giorno disattese: basti ricordare le misure del governo
Berlusconi nel 2003 dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia, mai entrate in
vigore dopo svariati rinvii (l´ultimo dei quali nel recente "decreto
milleproroghe"). Anziché costruire il ponte sullo Stretto di Messina (una delle
aree più sismiche del mondo, oltre centomila morti nel terremoto del 1908), è il
momento di concentrare energie e investimenti in un grandioso piano di messa in
sicurezza del Paese (non solo monumenti, ma case, scuole, ospedali, uffici,
fabbriche, università, musei) con le tecnologie antisismiche più avanzate, come
in Giappone e in California, promuovendo architetture di qualità, inasprendo e
non allentando i controlli.
Anziché legiferare per poi cancellare le norme mediante indecenti sequele
di "rinvii", è il momento di attivare la virtuosa ricostruzione non di anonime
new town che cancellino memoria storica e identità culturale, ma del prezioso
tessuto abitativo, anche "minore", della nobile terra d´Abruzzo, mantenendo le
caratteristiche costruttive dei borghi (come dopo un altro terremoto fu fatto,
nelle Marche assai meglio che in Umbria). Invece di irresponsabili demolizioni,
l´Abruzzo merita una campagna di accurato ripristino: non è un caso che abbiano
retto benissimo al terremoto le case della splendida Santo Stefano di Sessanio,
sul Gran Sasso, restaurata di recente come "albergo diffuso" nel rispetto delle
norme antisismiche. Profitto imprenditoriale e rispetto delle regole di tutela
si possono coniugare, salvando vite umane. Non di uno sgangherato "piano casa"
ha bisogno l´Italia, ma di un vero piano-sicurezza, che sia insieme un
piano-tutela dell´ambiente, del paesaggio, della memoria storica.
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