crisi globali e soluzioni nazionali



da greenport.it
18/02/2009
 
 Crisi globali e soluzioni nazionali: torna solo la rima
di Lucia Venturi
 
LIVORNO. La crisi dilaga, si trasforma e assume di giorno in giorno tutte le facce che la caratterizzano e ancora non le ha svelate tutte nella loro drammaticità: da finanziaria ad economica a sociale e ambientale. Così come fino a pochi mesi fa agiva la crescita a scala globale è ora la crisi ad essere la protagonista planetaria. Tanto da condurre prima a uno stop e poi alla retromarcia anche i maggiori fautori e sostenitori del turboliberismo che è crollato sotto le macerie delle borse, delle banche, delle immobiliari: di quel sistema virtuale che sta portando a picco, adesso, l’economia reale.

La risposta che viene dai singoli – sebbene si richiami a livello corale la necessità di mettere in atto politiche sinergiche- è infatti quella dell’intervento dello Stato, della finanza pubblica, per impedire lo sfacelo. Una risposta che in molti casi rasenta anche – seppur ricusato da tutti - il protezionismo.

E non è un caso isolato, seppure faccia notizia, la conversione di un alfiere della liberalizzazione come lo è stato l´ex presidente della Fed, Alan Greenspan, che ha dichiarato in una intervista al Financial Times che il governo Usa potrebbe nazionalizzare temporaneamente alcune banche per stabilizzare il sistema finanziario «e rendere più veloce e ordinata - dice Greenspan - la loro ristrutturazione... In alcuni casi la soluzione meno dannosa per il governo è quella di assumere il controllo temporaneo delle banche in crisi». Temporaneo, certo, ma sempre un intervento di controllo dello Stato sul mercato, che ha dimostrato in maniera incontrovertibile di non essere affatto capace di regolarsi solo in base alla lex mercatoria, che veniva propugnata come l’unica possibilità di regolamentazione.

Non è un caso isolato, dicevamo, perché mentre ieri Obama ha firmato il pianto anticrisi americano salutato da un roboante calo della Borsa, è notizia di oggi (anticipata da Afp) che anche il governo tedesco si accingerebbe al varo di una norma che consenta la temporanea nazionalizzazione di quote azionarie delle banche in crisi al fine di prevenirne il fallimento.
Quindi anche la Germania, guidata da Angela Merkel che aveva provato a lanciare l’ipotesi di un Consiglio economico dell’Onu per dare regole globali come risposta ad una crisi globale - senza che nessuno del resto, e tantomeno l’Onu avesse raccolto e rilanciato quella proposta - cede.

E anche la Germania andrà – sempre in maniera temporanea (fino al 30 giugno)- a dotarsi del potere di nazionalizzare le banche espropriandone, se necessario e come ultima risorsa, gli azionisti e ha deciso di portare da tre a cinque anni il periodo di garanzia previsto dal Fondo statale di stabilizzazione del mercato finanziario.

Più la crisi morde, potremmo dire, più la forbice si allarga tra quanto ritenuto necessario in termini di risposte e quanto poi realmente viene agito. E più si ammette la necessità, riconosciuta e ribadita in maniera ormai quasi unanime, di trovare risposte e regole comuni e di rifuggire dalla tentazione della chiusura in mercati nazionali, più le risposte sono da parte di singoli e guardano ai propri mercati, ai propri sistemi finanziari, ai propri interessi nazionali.

«Nei momenti di crisi ognuno fa le sue proposte. Il governo deve governare, le parti sociali devono rappresentare i lavoratori e le associazioni devono fare gli interessi delle categorie. Il Parlamento poi deve avere una visione complessiva. Ma ognuno deve fare le cose che gli spettano» ha risposto il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, a chi gli chiedeva un commento alla richiesta di convocare gli stati generali, avanzata nei giorni scorsi dal presidente della Fiat Luca Cordero di Montezemolo, per far fronte alla crisi economica.

Appunto, parafrasando Scajola, in un momento di crisi eccezionale quale è quello attuale, sarebbe necessario – anche per avere qualche chance che i tentativi (ancora modesti) di riorientare l’economia in chiave sostenibile potessero avere speranza di successo - che ognuno facesse le cose che gli spettano, secondo un orientamento comune e condiviso.
Purtroppo la realtà ci mostra un andamento che va nella direzione diametralmente opposta.