se i palazzinari governano le citta'



«Se i palazzinari governano le città la corruzione si moltiplica»
Data di pubblicazione: 12.01.2009

Autore: De Lucia, Vezio

Nell’intervista rilasciata ad Ella Baffoni, l’analisi dell’attuale situazione dell’urbanistica italiana e l’indicazione della sua radice politica. L’Unità, 12 gennaio 2009

Architetto e urbanista, ex direttore generale del ministero dei lavori pubblici, Vezio De Lucia è stato amministratore pubblico ma anche impegnato in politica, assessore all’urbanistica a Napoli, oltre che consulente di amministrazioni comunali, provinciali e regionali.Un osservatorio speciale, il suo, dentro e fuori l’amministrazione pubblica.
Come mai nelle più recenti inchieste giudiziarie sule amministrazioni pubbliche è proprio l’urbanistica il cuore della corruzione? Il controllo e il mutamento del territorio non dovrebbe invece essere dominato dall’interesse pubblico, collettivo?

«In parte non è una novità. Non c’è dubbio però che la situazione si sia aggravata in questi anni. Certo da quando si è consolidata l’urbanistica contrattata, che la prima legittimazione l’ha avuta dall’amministrazione comunale di Milano. Ora è ormai cosa ordinaria: un avvocato che si occupa del caso di Firenze ha recentemente dichiarato che “La procura sta confondendo le contrattazioni giornaliere tipiche dell’urbanistica contrattata con atti di corruzione che invece non ci sono”. Può darsi benissimo che l’urbanistica contrattata non sia corruzione, certo è una sua parente stretta».

Perché?

«Perché affida le scelte sull’uso del territorio - che dovrebbe essere un primario interesse collettivo - agli interessi della proprietà fondiaria. Sarebbe uno scandalo, ma sta per diventare legge della repubblica: alla Camera è tornata in discussione - senza gran scandalo - la famigerata legge Lupi, che prevede esplicitamente che gli atti «autoritativi» della pubblica amministrazione siano sostituiti dagli atti «negoziali». Il ché significa rendere obbligatoria la contrattazione. Il governo del territorio, il suo sviluppo, non sarà dunque guidato dai bisogni e dall’interesse pubblico, ma dall’interesse fondiario».

La pausa nella corruzione, dopoTangentopoli, è durata un paio d’anni, dice Gerardo D’Ambrosio. In quegli anni lei era assessore a Napoli, qual’ è la sua esperienza?

«A Napoli l’urbanistica continua a essere impeccabile. Quando si imposti bene e si organizzi le strutture pubbliche con idee forti, competenza e trasparenza, le difese ci sono. Nessuno sembra accorgersi che a Napoli ci sono mille guai, una corruzione diffusissima: ma l’urbanistica è pulita, nessuno scandalo ha finora sfiorato l’amministrazione comunale».

Più che sui politici, D’Ambrosio punta il dito sui tecnici, i funzionari che preparano i bandi delle gare e i testi delle delibere...

«Ha perfettamente ragione. Infatti, l’ho appena detto, è indispensabile che le amministrazioni abbiano strutture trasparenti, leali, garantite; persone eticamente motivate. Senza, nulla regge. Nemmeno il migliore amministratore del mondo può governare limpidamente senza funzionari e strutture competenti e trasparenti; gli interessi fondiari sono fortissimi...».

Tito Boeri sostiene che il Parlamento è un luogo dove si coltivano interessi molto privati. Voti in cambio di gare d’appalto su misura.

«È corretto, è la conseguenza del modo in cui sono eletti i parlamentari che non hanno più da dar conto al proprio collegio, ma solo ai dirigenti del loro partito. La nuova legge elettorale ha prodotto un sistema che riduce il controllo e la partecipazione dei cittadini e degli elettori. Ai quali spesso si rassegnano e, come dice D’Ambrosio, la rassegnazione favorisce la corruzione».

È come fosse cessata ogni sanzione sociale sulla corruzione. Non sarà, come dice Achille Serra, che siamo un paese troppo qualunquista e individualista? Eppure sembrava forte la tradizione – comunista ma anche liberale, repubblicana, azionista - dei Cederna e dei Tafuri, di Antonio Iannello e di Danilo Dolci...

«Credo sia conseguenza della scomparsa dei partiti di massa. Un esempio: la sconfitta elettorale a Roma del centrosinistra è stata accolta con rassegnazione dall’elettorato. Chi ha vissuto la sconfitta della sinistra nell'85 ricorda quel che avvenne nel Partito comunista. Ci fu una rivolta, assemblee senza fine, capri espiatori, fu preteso il rinnovamento...Questa volta, invece non è avvenuto nulla, a nessuno si è chiesto conto. Senza quel partito, quel dibattito che arrivava fino in borgata, a Roma le denuncie di Antonio Cederna avrebbero avuto certo meno peso. Sono le contraddittorie conseguenze del dopo Tangentopoli: la maggior libertà di manovra che si sono conquistati i partiti e la degradazione dei meccanismi politico elettorali. Una strada pericolosa,come avrebbe dovuto insegnare la parabola del Psi, che aveva trasformato la corruzione da fenomeno marginale a componente organica della politica».

A complicare le cose,l’abusivismo edilizio.

«Il territorio, da Roma in giù, è in mano all’abusivismo. Come hanno accertato molte indagini giudiziarie, l’abusivismo è una delle attività della malavita organizzata. In Campania, non solo in Campania, l’intero ciclo della produzione abusiva è controllata dal clan dei catanesi. A contrastare questo fenomeno non c’è alcun autentico impegno. Certo, c’è sempre il sindaco impegnato, il magistrato, la Guardia di Finanza, le forze dell’ordine... Ma lo Stato è assente. Per l’ultimo condono a Roma sono state presentate 85.000 domande; segno che il territorio è allo sbando. E oggi, con Alemanno, anche quel tanto di repressione dell’abusivismo che era stata messo in campo sembra sia stato messo in discussione».

Scomparsa la questione morale? La tensione etica?

«A volte mi sembra residuale, di nicchia. È scomparso Antonio Cederna, che veniva definito sprezzantemente “l’indignato speciale”. Ma quando scriveva non era solo: i suoi articoli avevano eco fin nelle borgate, c’era un sentimento diffuso, a volte organizzato, la sua indignazione veniva raccolta dalle associazioni ambientaliste. Ora anche l’indignazione è confinata in circoli sempre più ristretti. Sono molto pessimista, è vero. A volte penso, facendo gli scongiuri del caso, che ci vorrebbe uno shock forte, uno scatto di indignazione analogo a quello che si provocò dopo la frana di Agrigento nel 1966. Sull’onda di quell’indignazione fu non solo vincolata la valle dei Templi,ma il Parlamento varò la legge ponte del 67: un testo illuminato che ha assicurato almeno dieci anni di buona urbanistica».