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costo della difesa dai mutamenti climatici
- Subject: costo della difesa dai mutamenti climatici
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 29 Oct 2008 06:36:44 +0100
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 21 ottobre 2008 Il costo della difesa dai mutamenti climatici Giorgio Nebbia nebbia at quipo.it Dodici, ventiquattro, zero ? quanti sono i miliardi di euro che l'economia e le imprese italiane, e quindi i cittadini italiani, dovrebbero spendere ogni anno se venisse approvato il "pacchetto venti-venti-venti" di misure proposte dall'Europa per frenare le modificazioni climatiche negative ? L'opinione pubblica è stata frastornata nelle scorse settimane dal balletto di cifre da cui pure dipende la vita e il lavoro di milioni di persone. Le modificazioni climatiche da frenare sono dovute al fatto che il consumo di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) e la produzione e il "consumo" di merci con l'attuale tecnologia emettono dei gas, fra cui l'anidride carbonica, che fanno cambiare la composizione chimica dell'atmosfera; di conseguenza una parte della radiazione solare resta intrappolata, proprio come in una serra, sulla superficie del pianeta e provoca un aumento della temperatura media della Terra. Il peggioramento presente e futuro del clima costa dei soldi perché fa aumentare le piogge e le alluvioni in alcune zone della Terra e fa diminuire, in altre zone, la disponibilità di acqua e quindi la produzione agricola, con conseguente aumento del prezzo delle merci e dei servizi; la fusione dei ghiacci e le modificazioni delle coste marine fanno perdere guadagni e lavoro alle attività turistiche sia al mare sia in montagna. Per rallentare --- solo rallentare perché indietro non si torna --- l'aumento dei danni economici, lasciando da parte quelli ecologici, dovuti al peggioramento del clima in atto, occorrono interventi di carattere internazionale: l'atmosfera, infatti, è la stessa sopra l'America e sopra la Cina, i gas immessi nell'atmosfera dall'Europa modificano il clima dell'Africa, eccetera. Per questo la comunità europea ha deciso di accettare norme e azioni tecniche e merceologiche che consentano, da oggi al 2020, di diminuire le emissioni di anidride carbonica e di gas serra nell'atmosfera del 20 percento rispetto al 1990, di diminuire del 20 percento i consumi di energia e di aumentare del 20 percento i consumi di energia da fonti rinnovabili (Sole, vento, biomasse, idrica). Una transizione che anch'essa costa e a questo punto alcuni paesi europei, con l'Italia in testa, hanno dichiarato che non intendono adeguarsi alle nuove norme perché i costi sarebbero troppo alti per la loro economia e per le loro imprese. Per l'Italia è stato calcolato un costo di circa 24 miliardi di euro all'anno, per modificare i cicli produttivi, per diminuire i consumi energetici, per filtrare, con costose tecnologie, i gas dai camini o per comprare "licenze di inquinare", per la razionalizzazione dei trasporti; tutto questo, secondo alcuni, renderebbe meno competitive le nostre merci nel mercato internazionale, costringerebbe molte imprese a chiudere e licenziare i dipendenti, farebbe diminuire i consumi interni e aumentare il prezzo delle case, eccetera. Dall'Unione Europea è stato ribattuto che i costi per l'Italia sarebbero di circa la metà e nessuno ci capisce niente e le decisioni sono state rimandate al prossimo dicembre. In questo periodo sarebbe intanto bene rifare i conti valutando quanti gas serra vengono emessi e quanta energia viene consumata, in ciascun processo di produzione e di consumo; quanti per ogni chilo di grano prodotto o di chilometro percorso da una automobile, o per ogni chilo di acciaio o di plastica o di cemento; poi bisognerebbe prevedere realisticamente quanto grano, quante automobili o acciaio o plastica sarà opportuno produrre da qui al 2020, poi quanto costerà, da qui al 2020, il petrolio, quella bizzarra merce il cui prezzo è stato capace di dimezzarsi in appena due mesi. E se i nuovi conti mostrassero tutto il contrario, se la transizione per attenuare i danni dei mutamenti climatici nei prossimi dodici anni fosse non un costo per il paese, ma una straordinaria occasione per l'ammodernamento e la razionalizzazione dell'economia, per rendere più competitivi i nostri prodotti nei mercati internazionali e in quello interno, adeguandoli agli standards ambientali di altri paesi, nostri concorrenti ? La diminuzione dei consumi energetici e delle emissioni di gas serra è realizzabile con la progettazione e costruzione di nuove automobili, di nuovi frigoriferi, di nuove merci, di nuovi edifici, con il cambiamento di innumerevoli oggetti incapaci di soddisfare le nuove domande di vincoli ambientali dei paesi industriali e di quelli emergenti. Una sfida che contribuirebbe a riscoprire la centralità della "fabbrica", come qualcuno ha detto, l'importanza della ricerca nelle Università, nelle stesse imprese. Senza contare le prospettive di innovazione, di occupazione e di affari contenute in una adesione a quella parte del "pacchetto clima" che prevede di far dipendere l'Europa per il 20 % dalle fonti energetiche rinnovabili. Si pensi alle prospettive dell'energia solare anche nella progettazione di edifici a basso consumo energetico, in una nuova urbanistica, alle prospettive di utilizzazione delle risorse idriche nelle zone interne del paese, di valorizzazione delle risorse energetiche offerte dal vento e dalla biomassa vegetale. Senza contare, infine, il valore, in soldi, che si ha evitando frane e alluvioni, siccità, impoverimento della fertilità dei suoli, diminuzione delle rese agricole per la mancanza di acqua; che si ha diminuendo l'inquinamento dovuto all'uso proprio dei combustibili fossili che, oltre all'anidride carbonica, immettono nell'atmosfera sostanze dannose per la salute. Una realistica analisi dei reali costi e dei reali benefici dell'adesione alle iniziative per rallentare i mutamenti climatici mostrerebbe che l'Italia ne trarrebbe non costi, ma ricchezza, in particolare nel Mezzogiorno, ricco di Sole e di lavoro. |
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