bufale e camorra




da L'espresso
SETTEMBRE 2008 

Bufale e camorra
di Emiliano Fittipaldi
Allevamenti tra i rifiuti tossici. Animali malati di brucellosi. Tenuti nascosti per fare mozzarella. Con la complicità dei veterinari

È un ciclo dell'orrore, un capolavoro criminale dai risultati micidiali. I camorristi seppelliscono i rifiuti tossici nel terreno. Poi ci costruiscono un allevamento di bufale: animali che pascolano sopra montagne di veleni, brucando erba che ha le radici nei fanghi chimici. Alla luce degli atti dell'ultima inchiesta, l'emergenza diossina in Campania non sorprende. Il vero mistero è come mai non sia stata scoperta prima. Una spiegazione la fornisce Domenico Bidognetti, cugino del superboss Francesco: i controllori sono nelle mani dei casalesi e li preavvisano delle ispezioni. "I pubblici veterinari che intervenivano avevano con noi del clan degli ottimi rapporti", racconta elencando nomi e bustarelle. E anche i funzionari non collusi sanno chi è il vero padrone degli allevamenti: per paura dei padrini, evitano di denunciare i pericoli sanitari e gli illeciti più evidenti. Omertà e collusione, gli ingredienti chiave del potere mafioso.

Bidognetti, oggi 42 anni e una condanna all'ergastolo, da dieci mesi sta collaborando con i magistrati: ha ricostruito decine di omicidi commessi dai casalesi, i loro investimenti e parte delle loro coperture. Sul traffico di rifiuti, le sue dichiarazioni vanno in parallelo con quelle di Gaetano Vassallo. Raccontano la stessa storia, vista con angolature diverse: quella dell'imprenditore e quella del camorrista di rango. Ma Bidognetti sta pagando il suo 'pentimento' a caro prezzo: a maggio i killer hanno ucciso suo padre, crivellato con dodici proiettili nell'allevamento di bufale che mandava avanti da anni. Un'azione condotta, secondo le prime indagini, dal gruppo di fuoco che ha firmato l'ultima ondata di vendette casalesi, incluso l'omicidio dell'imprenditore Michele Orsi. A Bidognetti non sono state perdonate le rivelazioni rese al pm Giovanni Conzo. E gli inviti pubblici alla rivolta contro il 'sistema' camorristico: "Sono solo dei buffoni".

La catena contaminata Il ciclo veleni-bufale secondo Bidognetti nasce quando i casalesi decidono di cambiare strategia e nascondere i rifiuti pericolosi lontano dalle discariche autorizzate. Una volta acquistato un fondo, si sfrutta al massimo l'investimento. Si scava, utilizzando la terra per i cantieri delle grandi opere. La voragine viene colmata con i detriti tossici provenienti soprattutto dal Nord. Poi si copre il tutto, occultandolo anche con pascoli e stalle. "La prima discarica abusiva fu utilizzata agli inizi del 1992, in un sito di proprietà di Salvatore Noviello, in Casal di Principe, nella zona cosiddetta 'Cinquanta moggi'. La discarica fu creata dopo che era stata scavata una fossa per prelevare il terreno destinato a realizzare la superstrada di Villa Literno. Una volta creato l'invaso questo fu interamente riempito di rifiuti e coperto con terreno per evitare che la discarica fosse individuata. Su quel terreno poco dopo è sorta un'azienda bufalina, sempre di Noviello".

Il pentito fornisce una mappa dettagliata degli allevamenti direttamente posseduti dai boss dei casalesi nel casertano: decine di stalle con migliaia di capi. In molti casi, si tratta di strutture interamente criminali: mungono bestiame rubato, coltivano il suolo con macchine agricole trafugate. Le opere vengono tirate su da costruttori sottoposti al racket. I padrini della nuova mafia campana non temono nulla: figuriamoci i veterinari. L'unico nemico che non riescono a fermare è la brucellosi. Quando l'epidemia diventa inarrestabile e le autorità non possono più chiudere gli occhi, loro trovano comunque una soluzione. Importano clandestinamente bufale dalla Romania, animali non utili per la produzione di mozzarella e di costo basso, e le sostituiscono ai capi infetti da eliminare. In questo modo intascano i rimborsi pubblici per gli abbattimenti e continuano a mungere i bovini ammalati per confezionare mozzarella. "Francesco Schiavone mi rispose che quelle dei paesi dell'est non erano idonee alla produzione del latte ma solo per la carne. Mi spiegò tuttavia che le bufale della Romania potevano essere utilizzate per sostituire dei capi infettati destinati all'eliminazione, che dovevano essere occultati e sottratti agli abbattimenti disposti dall'autorità, al fine di continuare a usarle per fare la mozzarella di bufala. Mi disse che alcuni allevatori di Casale già stavano acquistando degli animali in Romania per sostituire le bufale infette". 

Il contagio umano per brucellosi è raro. Avviene per contatto diretto o attraverso il latte non pastorizzato: quello che dovrebbe essere usato per le mozzarelle di prima qualità, da consumarsi freschissime. Ma anche l'epidemia può diventare un business, che permette ai camorristi di arricchirsi: "Queste bufale provenienti senza alcuna dichiarazione e 'a nero' venivano talvolta anche infettate 'appositamente' con il virus della brucellosi al fine di destinarle agli abbattimenti e lucrare così l'indennizzo governativo per eliminare il bestiame malato".

Le dichiarazioni del 'pentito' riguardano fatti recentissimi: dal 2002 al 2007. Nel suo racconto però gli inganni sulla mozzarella sono prassi antica. "Ricordo ancora che nel 1988-89 vi fu un'epidemia di una malattia che colpiva le bufale alla bocca al punto che gli animali morivano perché non riuscivano più a mangiare. Dopo di questa malattia intervenne l'Asl competente che procedette a fare dei controlli finalizzati ad accertare focolai di brucellosi.

All'epoca i pubblici veterinari che intervenivano avevano ottimi rapporti con noi casalesi... Allora decidemmo di mandare un fiancheggiatore del clan ad acquistare delle giovenche piccole esenti da brucellosi da un'azienda di Latina che noi sapevamo essere a norma. Comprate queste otto giovenche, ovvero giovani capi bufalini, ce li siamo passati azienda per azienda sottoponendo sempre quest'ultimi e non gli altri capi ai controlli veterinari allo scopo di falsarne le risultanze di laboratorio".

"Questa procedura era al corrente del personale sanitario che interveniva per fare i controlli, i quali tuttavia soprassedevano agli evidenti illeciti intimoriti dal fatto che potevano essere sottoposti ad azioni violente. Ricordo che il dirigente del servizio veterinario dell'Asl di Castel Volturno ci preavvisava della venuta degli ispettori in modo tale che noi avevamo il tempo di sostituire le bufale effettivamente malate con quelle sane che venivano passate da azienda azienda. Ricordo che quelle otto giovenche a causa dei continui prelievi, divennero visibilmente fiacche".

L'uomo fa nome e cognome di tre veterinari. Tutti ricevevano dal clan denaro e doni costosi. Fino al 1999 il gioco procede con grande facilità. Poi i controlli diventano più severi, ma non riescono a impedire la truffa. Perché se non si poteva pilotare l'ispettore, si agiva sui laboratori di analisi: "Michele Schiavone aveva buoni rapporti con del personale operante nel laboratorio dell'Asl di Caserta che si occupava di analizzare i prelievi ematici fatti sui capi di bestiame... Così attestavano falsamente i risultati di laboratorio in beneficio degli affiliati facendo risultare le bufale sane anche se in realtà erano infette". Questo accadeva e accade nel caso della brucellosi, con un pericolo di contagio limitato per gli esseri umani. Ma chi ci garantisce che non sia accaduto con la diossina e con altri veleni chimici seminati nel terreno dai trafficanti di rifiuti, entrati nella catena alimentare e serviti poi sulle nostre tavole?