passare dal senso comune a pensare con la propria testa.



da greenport.it
 
 Green Economy: passare dal senso comune a pensare con la propria testa
 
LIVORNO. Secondo Tom Prugh e Gary Gardner, del Worldwatch Institute: «Idee su come funziona il mondo che non si adattano con la realtà possono essere inutili. Questo è particolarmente vero per il senso comune economico, che si basa in parte su idee che si sono imposte all’opinione pubblica durante gli ultimi 250 anni, ma che sopravvivono al loro tempo e alla loro utilità. Queste idee, come l’affidarsi al Pil come indice principale del benessere generale, continuano a dominare il pensiero e le ipotesi riguardanti le questioni economiche di media, governi, imprese e coscienza popolare. Ma in questi ultimi decenni, ricercatori e teorici dell’economia hanno proposto una serie di riforme che renderebbero l’economia più reale, più verde e più sostenibile».

Prugh e Gardner condensano questi pensieri e queste ricerche nel primo capitolo dello “State of the World 2008: Innovations for a Sustainable Economy”. Il primo punto riguarda la scala economica: quanto è grande l’economia globale rispetto all’ecosistema globale? Una domanda cruciale perché l’economia è completamente all’interno dell’ecosistema del nostro pianeta che fornisce all’economia l’ambito nel quale operare, tutte le forniture di materie prime, e la sostiene con servizi cruciali. «In termini fisici – spiegano Prugh e Gardner - l’attività economica è fondamentalmente la conversione di bit e pezzi dell’ecosistema che sono utilizzati dall’uomo: alberi e boschi in legname e case, praterie ed altri habitat in aziende agricole per nutrire i miliardi di esseri umani, e cosi via. Abbiamo ottenuto una forte crescita economica. Dal tempo di Adam Smith, nel mondo il numero delle persone è esploso da 1 a quasi 7 miliardi. E negli ultimi 200 anni il prodotto interno lordo è aumentato quasi di un fattore 60. Il risultato è stata la sofferenza dell’ecosistema, con i titoli che vediamo tutti i giorni: cambiamento climatico, estinzione delle specie, diminuzione delle foreste pluviali, penuria d’acqua e tutto il resto».

Mettendo insieme i frammenti, cominciamo solo adesso a ricostruire un’economia di scala. Siamo ormai sicuri che emettiamo troppa CO2 per poter gestire bene il sistema, la novità è che della cosa si stanno preoccupando anche le grandi imprese, tanto che 90 colossi economici come General electric, Volvo e Air France hanno invitato i governi a fissare obiettivi per la riduzione di gas serra e l’Ue ha istituito un sistema e misure vincolanti di “carbon cap-and-trade”.

L‘altra certezza è che bisogna minimizzare la produzione di rifiuti e utilizzare diversamente le materie prime. «Ogni anno estraiamo e processiamo più di mezzo milione di miliardi di tonnellate di materie prime e, sei mesi più tardi, il 99% è rifiuti». Il Worldwatch Institute fa l’esempio positivo della Interface carpet company che, dalla metà degli anni ’90, ha ridotto la produzione di rifiuti del 70%, risparmiando più di 300 milioni di dollari.

Il secondo punto riguarda lo stress dello sviluppo sulla crescita. Cioè di come rendere l’economia non solo più grande, ma più soddisfacente per i bisogni umani. Questo si affronta in parte con l’eco-efficienza. «Ora il costo effettivo permette di incrementare l’efficienza delle risorse di un fattore 4 e possibilmente di un fattore 20 – dicono Prugh e Gardner – E, data la necessità di miliardi di persone di far crescere il loro livello di vita per uscire dalla povertà, dobbiamo proseguire lungo la strada di questi benefici».

Ma i due ricercatori si pongono anche un’altra domanda: cosa è in realtà l’economia? «Non solo l’economia globale non può crescere per sempre, ma la crescita non sta lavorando per tutti, anche nelle nazioni più ricche: per esempio, negli Usa il reddito procapite è triplicato dal 1950, ma la percentuale di americani che dicono di essere davvero felici è diminuita nel corso degli ultimi 30 anni». Il Worldwatch Institute cita studi in di psicologia edonica che rivelano che solo i redditi più elevati, e fino ad un certo punto, sono soddisfatti dell’innalzamento del miglioramento del livello di vita e che all’aumento dei consumi e all’erosione delle cose si associano livelli inferiori di felicità e di relazione, mentre a rendere felici le persone sono soprattutto i rapporti sociali, la vita familiare e il senso di comunità.

Il terzo punto riguarda la verità ecologica sui prezzi, che non riflettono i costi effettivi. «Una riforma effettiva – dicono i due ricercatori – sarebbe applicare questa regola all’ecosistema. Per esempio, il cambiamento climatico è probabilmente l’effetto di non aver fatto pagare lo scarico di emissioni di CO2 in atmosfera. Un altro esempio è la causa antropica dell’estinzione delle specie. Stiamo fondamentalmente smantellando la nostra vita con il sostegno delle macchine, in maniera estesa, e fino a poco tempo fa nessuno ha pagato per questo. Fortunatamente i governi e le imprese stanno iniziando a sperimentare i mercati di carbonio, i meccanismi di prezzo per l’acqua e la conservation banking. Il valore del carbon market è stato di 59 miliardi di dollari nel 2007 ed ora ci sono diverse centinaia di zone umide protette e species banks nei soli Stati Uniti».

Ma quanto valgono i servizi resi dall’ambiente all’economia? «L’impollinazione effettuata dalle api mielifere ha un valore di 19 miliardi all’anno – spiegano Prugh e Gardner - Ma tra i molti servizi che la natura ci offre, ci sono anche l’aria, la depurazione delle acque, la generazione dei suoli, la lotta contro i parassiti, la dispersione dei semi, il riciclaggio di sostanze nutritive». L’erosione degli ecosistemi mina questi servizi ai quali alcuni Paesi cercano di dare il giusto valore. La Costa Rica paga i proprietari per salvaguardare le foreste con le tasse sui carburanti, il Messico e lo Stato australiano di Victoria hanno istituito sistemi per assegnare valore economico a servizi ambientali finora gratuiti. Grandi temi che si incrociano con altre tre questioni: il principio di precauzione (primo: non fare danni); la gestione comunitaria delle risorse ambientali messa sempre più a rischio dalla privatizzazione e dalla globalizzazione; il valore aggiunto delle donne, senza le quali la qualità della vita e il benessere sociale non avanzano nei Paesi in via di sviluppo.