lo sviluppo sostenibile in italia e la crisi climatica



da greenport.it
18/02/2008
 
 Lo sviluppo sostenibile in Italia e la crisi climatica a cura di Edo Ronchi
Rapporto Issi 2007
A cura di Edo Ronchi
Edizioni Ambiente 2007
 
Leggendo in questi complicati giorni "Lo sviluppo sostenibile in Italia e la crisi climatica. Rapporto Issi 2007" viene subito l´amaro in bocca. Non solo per il quadro impietoso che gli indicatori dell´Istituto sviluppo sostenibile dipingono del Belpaese, ma anche per la netta e pessima sensazione che con la caduta dell´attuale governo non si riesca a metter mano a questa situazione proprio nel momento topico. Dopo le macerie lasciate dal precedente governo, urgeva subito un piano di azione energetico-climatico. Invece andiamo incontro a mesi di campagna elettorale che magari faranno tornare l’Italia sotto quella maggioranza responsabile in larga parte dell’attuale deficit ambientale. Nessun monumento alla memoria di Prodi e compagni che però, pur con fatica, con lentezza, con contraddizioni evidenti, stavano mettendo mano a questa situazione. A partire dalla legge delega sulla contabilità ambientale, faro di ogni politica orientata alla sostenibilità, che almeno era riuscita a superare il primo vaglio governativo e che aveva intrapreso la strada della consultazione parlamentare.

Ma andiamo con ordine. Cos´è il progetto Issi sugli indicatori? Nasce praticamente insieme all´Istituto e nel 2002 pubblica il primo Rapporto sulla sostenibilità in Italia. "Un progetto ampio e complesso - scrive Andrea Barbarella nel rapporto 2007 - obbligava a elaborare strumenti di sintesi in grado di ricondurre il sistema a una dimensione trattabile (…). Il ruolo degli indicatori era, innanzitutto, quello di fornire ai decisori uno strumento che li guidasse nelle loro scelte e ai cittadini un sistema di valutazione dell´azione delle istituzioni". Così è, o meglio sarebbe, se effettivamente i decisori sfruttassero a pieno questo strumento, pur con la consapevolezza, esplicitata senza remore nel testo, che sugli indicatori che dovrebbero fornire il "pannello di controllo della sostenibilità" c´è ancora molto da lavorare.

Gli indicatori dell´Issi sono al momento 30, suddivisi in tre domini: “società ed economia”; “ambiente”; “uso delle risorse”. Complessivamente il dominio “ambiente” - spiega l´Issi - è quello che è stato interessato dai maggiori cambiamenti rispetto alla prima edizione del 2002, non solo a causa della crisi climatica, ma soprattutto per la scarsa dotazione statistica di partenza e i sensibili miglioramenti in tal senso che si sono verificati negli anni successivi. Da segnalare che tra gli indicatori sono state eliminate le emissioni di diossina "che non rappresentano più un elemento critico, avendo oramai raggiunto i target stabiliti dalle normative vigenti". L´indicatore sull´abusivismo edilizio è stato invece integrato nel calcolo dell´indice sintetico R6, uso delle risorse, che misura la superficie che ogni anno viene edificata o infrastrutturata.

Nel dominio "società ed economia" sono due le novità: l´introduzione della percentuale di occupati nel settore ambientale, ritenuta una misura indiretta di quanto il mercato del lavoro e quello produttivo si vadano a orientare verso i temi della sostenibilità; e la rinuncia al Pil in favore di un indicatore elaborato dalla Banca mondiale che misura la quota percentuale di Prodotto interno lordo destinata agli investimenti, piuttosto che ai consumi, già misurati da molti altri indici.

Il terzo dominio, "Uso delle risorse", è rimasto sostanzialmente invariato con il passaggio da un indice di efficienza economica, l´intensità energetica del Pil, a uno relativo al valore assoluto dei consumi di energia primaria, per il quale si dispone di nuove indicazioni sugli obiettivi di efficienza a livello comunitario. Grazie al lavoro dell´Istat nell´ambito dei flussi di materia - di cui greenreport ha dato notizia qualche mese fa - è stato possibile introdurre una serie storica soddisfacente del Total material requirement (Tmr), indicativo dei prelievi di risorse connessi al funzionamento del sistema economico nazionale che comprende anche il calcolo dei flussi nascosti.

Ed è proprio questo terzo dominio – che comprende tra gli indicatori consumi energetici, produzione da fonti rinnovabili, fabbisogno di materia, prelievo di acqua a uso potabile, produzione di rifiuti urbani, gestione dei rifiuti urbani, trasporti - che spiega meglio quale sia il grado di sviluppo sostenibile raggiunto dall´Italia. Peraltro subito sentenziato dall’Issi nelle prime pagine del rapporto: peggioramento dello stato della sostenibilità rispetto al 2002, tutti i processi dell’integrazione e della sostenibilità sono in ritardo.

Sulle fonti rinnovabili la distanza dal target - ovvero le tappe che l´Italia deve raggiungere progressivamente per arrivare all´obiettivo che è lo sviluppo sostenibile - è tra le più alte del dominio. Dal 1994 al 2005 si è registrato un progressivo aumento, fino ai 14 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (Mtep) raggiunte nell´ultimo anno, ma il target sarebbe 36 Mtep e quindi siamo molto indietro.

Il settore dei trasporti risulta essere tra i principali responsabili dell´aumento sia dei consumi energetici sia delle emissioni di gas serra negli ultimi quindici anni. Dal 1990 al 2005 il volume passeggeri e merci trasportati su strada è aumentato del 30%. Per conseguire il target - spiega l´Issi che lo ha calcolato in funzione del rispetto di Kyoto entro il 2012 - bisognerebbe cancellare tale incremento tornando ai valori degli anni ´90. Unica nota non negativa è che dal 2000 al 2005 la quantità dei passeggeri e merci trasportata, secondo l´Issi, è praticamente stabile. Rimane grave invece il deficit relativo allo sviluppo delle modalità di trasporto a minore impatto, prime tra tutte ferrovie e vie navigabili: il paese è riuscito nell´impresa di ridurre la quota di passeggeri e merci spostate su ferro e nave dal 12.3% del 1990 all´8.3% del 2005. Sconsolante.Niente di nuovo, infine, sul fronte dei flussi di materia. Il flusso in ingresso rappresenta in quest´era il principale elemento di criticità, dici l´Issi, e il fabbisogno complessivo dal 1990 al 2004 in Italia tende ad aumentare, come negli altri paesi industrializzati. Aumentano i flussi importati e diminuiscono quelli esportati. Il disaccoppiamento si è verificato, ma solo quello relativo (crescita degli aggregati economici di riferimento superiore a quella degli indicatori di pressione) e comunque del tutto insufficiente per raggiungere il target. Target peraltro che Issi ha costruito in coerenza con le indicazioni comunitarie, ovvero un limite pari al 50% dell’ultimo valore disponibile: 1.092 Mt. Ma il problema è che “non esistono nelle istituzioni internazionali o comunitarie precise indicazioni circa obiettivi quantitativi di riduzione dei flussi di materia”, ma solo “inviti ai governi nazionali a promuovere un uso sostenibile delle risorse naturali e ad avviare processi di dematerializzazione dei sistemi economici”, oltre alla “Strategia tematica per l’uso sostenibile delle risorse naturali” dell’Ue che indica in 25 anni l’arco temporale entro il quale intervenire.

Per quanto riguarda i rifiuti, l´Issi ha adottato un nuovo indice per il monitoraggio di quelli urbani che integra il tasso di raccolta differenziata con il quantitativo di rifiuti smaltiti in discarica. L´indice mostra un miglioramento sensibile tra il 1995 e il 2005, ma il target costruito dall’Issi in assenza di veri obiettivi quantitativi fissati a livello normativo - è lontano, ovvero 501 Kg pro capite entro il 2011 (nel 2005 era 539 Kg).
 
Ci pare però gravemente limitativo fermarsi alla contabilizzazione dei rifiuti urbani ( ovvero i rifiuti di prodotto), che rappresentano peraltro solo il 25% del totale dei rifiuti prodotti ( inclusi quelli di processo e/o speciali che rappresentano invece il 75% dell´intera produzione). E ancora più limitativo è non considerare quell´amplissima zona grigia ( che fa sballare e rende incredibili i numeri sui quali si ragiona ) rappresentata dai "rifiuti speciali assimilati agli urbani". Se non si mette ordine, anche concettuale, in queste misurazioni, qualsiasi indicatore sconterà limiti di approssimazione che lo renderà inutilizzabile.

Altro indicatore fondamentale è quello relativo al prelievo di risorse idriche ed evidenzia come i cambiamenti climatici negli ultimi anni cominci a incidere sulla stessa disponibilità della risorsa. Insomma, c´è molto da fare. E purtroppo c´è il ragionevole dubbio che non ci sia la voglia.