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alta densità .L'occupazione dello spazio disponibile
- Subject: alta densità .L'occupazione dello spazio disponibile
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Wed, 23 Jan 2008 06:44:14 +0100
da carta.org
Alta
densità
Sandro Roggio [15 Gennaio 2008] Densità, alta densità; e poi soprattutto sprawl, cioè diffusione ininterrotta di case nel territorio. E’ rimasto in ombra questo aspetto nelle analisi
sul dramma di Napoli e dintorni, invasi dai rifiuti oltre ogni temibile
previsione.
Sì, perché la difficoltà è pure data dal grado elevatissimo di occupazione dello spazio disponibile da cose e persone (la Campania è la regione più densamente popolata del paese: oltre 420 abitanti per km quadrato). Basta dare un’occhiata alle mappe per scoprire che ogni metro quadro di questa metropoli è impegnato, non ci sono più vere campagne da tempo, che dovrebbero stare ad una distanza di sicurezza dalle città e dai suoi cascami. L’urbanizzazione è senza soluzione di continuità e ogni vuoto, risorsa scarsa (da riempire di case o di rifiuti) ha grande valore, e per il suo possesso concorrono schiere di malavitosi. In una simile condizione, di pericolo per frammistione di attività incompatibili, è ovvio che sia assai difficile trovare un posto dove appoggiare, seppure temporaneamente, i rifiuti prodotti da tanta gente, che ad occhio sembra più di quella che viene censita/denunciata. Densità, allora. C’è una linea di pensiero che
associa l’elevata presenza umana con la ricchezza di un’area urbana che, si
dice, deve attrarre investimenti per competere. L’indice dei consumi (quindi di
rifiuti prodotti) serve a misurare la forza di un luogo rispetto ad un altro. E’
la presenza elevata di grandi strutture (di vendita in primis) che dice del
primato di un luogo, dove si contano i consumatori con compiacimento. I
consumatori sono anche elettori. Il consumo del territorio, com’è noto, si
trasforma in voti dappertutto. E il caso Napoli non è isolato: è assai simile,
piuttosto, all’ecomostro di turno che spicca per sottovalutazione di tanti altri
casi di usi distorti del territorio. Ci fu una legge per Napoli, alle origini
della storia urbanistica del Paese, che alludeva ad altri casi.
La bassa densità insediativa è stata (è) considerata una disgrazia dalle comunità che non crescono, perché le regioni meno abitate, così è nella storia, salvo eccezioni, sono più povere. La condizione sfavorevole, indicata dagli investitori, è quella della distanza dalle grandi correnti di traffico, com’è per le isole. Se, ad esempio, si guardano i rapporti sulla Sardegna, si troverà continuamente riproposto l’argomento della bassa densità abitativa come svantaggio grave. Nel Settecento, i Savoia che si prendevano l’isola con i suoi pochissimi abitanti, molto controvoglia, consideravano grave questo deficit di popolamento, e il progetto di portarci gente, quanta più gente possibile, è stato riproposto a lungo. Ancora oggi un milione e mezzo di abitanti (che stanno in pezzo di città), settanta per chilometro quadrato, sembrano un difetto. Il disegno di occupare i luoghi, quelli più preziosi per cominciare, è molto sostenuto dagli apostoli del Pil, e trova attenzione. Produce dispersione, se non crescita di popolazione. Decrescita. Se ne parla con diffidenza. I più
considerano le tesi sullo scadimento della qualità della vita prodotte dalla
crescita (quelle di Latouche, ad esempio) strampalate interpretazioni della
realtà, perché porre limiti allo sviluppo, si dice, è contro le leggi che fanno
girare il mondo, da sempre. C’è chi considera il ciclo edilizio inarrestabile,
incontrollabile, perché tocca al mercato decidere.
Serviranno le condizioni allarmanti di Napoli a
fare riflettere sull’idea di sviluppo, almeno sulle difficoltà di governare
territori dove peraltro gli abusi allignano in un circolo vizioso?
Uno degli insegnamenti da trarre dovrebbe essere quello di risparmiare il suolo, anche dove sembra abbondante. Ci potrebbe essere bisogno di terra fertile e soprattutto salubre nei prossimi anni. Che la bassa densità possa essere volta a vantaggio qualcuno comincia a immaginarlo: la produzione agricola e zootecnica sarà consentita solo dove la terra non è stata avvelenata. Lo esigerà il mercato, perché anche i consumatori più distratti si accorgeranno che di veleni si muore. |
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