puoi anche provare a mettere qualcosa sotto l'avallamento
della vita dietro, magari i fianchi ti fanno meno male
cerca di riposare
e trova qualcuno a cui far fare le pulizie della casa,
così quando il bimbo arriva trova tutto bello sterilizzato e pulito, non so come
fai a pulire il bagno, e dopo hai qualcuno da cui farti eventualmente aiutare,
con la schiena che hai non puoi fare tutto da sola
non pensare ai soldi, pensa alla salute, non puoi arrivare
al parto a pezzi
mamma
----- Original Message -----
Sent: Monday, October 29, 2007 6:32
AM
Subject: cibi al veleno mozzarella e
carne ecco i ganster della tavola
da repubblica.it
Alimenti contraffatti, vino sintetico,
olio colorato artificialmente. Viaggio nel business da un miliardo
l'anno Cibi al veleno, mozzarella e carne ecco i gangster della
tavola dal nostro inviato PAOLO BERIZZI
CASERTA - Le
mozzarelle galleggiano nella vasca di raffreddamento. Sbattono una contro
l'altra. Hanno cortecce nodose, imperfette. Il tempo di arrivare a
temperatura, di rassodarsi, e un nastro d'acciaio le destina alla
salamoia, ultima liturgia prima del confezionamento.
"Queste se ne
vanno in America" fa il casaro senza staccare gli occhi dalle sue
creature. Sono mozzarelle di bufala taroccate. Piene di latte boliviano.
Latte in polvere rigenerato, corretto col siero innesto e mischiato con
quello locale casertano, che costa quattro volte tanto e per questo sta
attraversando un periodo di vacche magre. Il "boliviano" arriva ogni
settimana via Olanda ai porti di Napoli e Salerno. Con le loro
autocisterne i produttori campani si attaccano alle navi come fossero
mammelle. Fanno il pieno. Poi riempiono i serbatoi dei caseifici. Agro
aversano, litorale domizio, alto avellinese,
salernitano.
Incrociano e imbastardiscono. E guadagnano. Le bufale
bolicasertane il casaro le piazza sul mercato a 6 euro al chilo anziché 9.
Per produrle spende una miseria. La materia prima per fare un chilo di
mozzarella costa circa 5 euro. Il latte di bufala 1,35 al kg. Con 1 kg di
latte boliviano (50 centesimi) di chili di mozzarella se ne fanno 5. Una
"bufala" delle bufale che ammazza il mercato. Una delle tante
sofisticazioni che infettano le terre da dove vengono i migliori e anche i
peggiori prodotti agro alimentari su piazza. Puglia, Campania, basso
Lazio.
E' un mondo senza etica e con regole fisse (le loro) quello dei
pirati della tavola. Abbattere i costi. Creare un prodotto mediocre, a
volte immangiabile. Che però viene immesso normalmente sul mercato. Rischi
bassissimi, ottimi guadagni, possibilità di riciclare ingenti quantità di
denaro. "Il business più fiorente è il riciclaggio di prodotti scaduti -
dice il colonnello Ernesto Di Gregorio, comandante dei Nas di Napoli con
delega su tutto il Sud - . Poi, certo, i tarocchi: latticini, olio, vino,
concentrato di pomodoro, carne, pesce". Sconfezionano e riconfezionano gli
spacciatori di cibo. Appiccicano etichette posticce, "rinfrescano"
prosciutti e salami. Tengono in vita la carne con nitrati e solfiti. I
primi abbattono la flora batterica, i secondi mantengono il
colore.
Così hamburger e salsicce possono resistere per giorni, senza
dare nell'occhio, al banco della vendita. "Tagliano" le mozzarelle, le
sbiancano, le gonfiano. Allungano e colorano l'olio, impestano il vino.
Sganciano bombe sul nostro sistema gastrointestinale e
circolatorio.
Sono banditi della tavola. Professionisti della frode
capaci di inserirsi nella catena della piccola e della grande
distribuzione, di puntellare con quintali di merce truccata un mercato che
rende qualcosa come 1 miliardo di euro l'anno. Smerciano prodotti che
invadono le nostre tavole, che riempiono gli scaffali delle botteghe e dei
supermercati, che ritroviamo proposti nei menù dei ristoranti e in quelli
meno ambiziosi delle mense e delle tavole calde. Aziende, uffici pubblici,
navi, caserme. "Vede, queste invece vanno al Nord. Ormai su la bufala la
trovi dappertutto, e la compri anche bene". L'uomo ha un faccione ispido.
I polpastrelli duri e ustionati (mettete le mani nella pasta di latte a 90
gradi per vent'anni).
I modi smaliziati del sensale di un tempo.
Apprezza il "don" anteposto al nome. "'A bufala piace a tutti, ce la
chiedono, e noi gliela mandiamo... ", gongola. E' un produttore
sofisticatore. Tarocca mozzarelle e ricotte. Le produce mischiando latte
bufalino locale e latte congelato e liofilizzato proveniente dall'estero.
Cagliate targate Romania, Ungheria, Polonia, Estonia, Lituania. E, ultima
novità, il "boliviano". "Almeno la metà dei 130 caseifici che hanno il
marchio Dop sofisticano la mozzarella di bufala", è l'allarme lanciato da
Lino Martone, segretario del Siab, il sindacato degli allevatori bufalini
di Caserta. "Non è così, il prodotto Dop, almeno quello, lo garantiamo",
replica Luigi Chianese che del consorzio Mozzarella di bufala campana è il
presidente. "Con gli altri prodotti forse qualche problemino c'è - ammette
- ma dobbiamo ancora capire bene dove sta".
Pare tutto perfetto,
tutto normale in questo caseificio di Cancello e Arnone. Alto casertano, 5
mila anime a cavallo delle due rive del Volturno. Una densità casearia
pari a quella camorristica. Trattori e Mercedes tirate a lucido. Fa
impressione vederle scivolare tra le campagne impregnate di diossina (per
questo, dice Guglielmo Donadello di Legambiente, "la mozzarella campana
oggi è uno dei prodotti più pericolosi d'Italia"). Al volante, uomini in
canotta e in età matura. Accade a Casal di Principe, a Castel Volturno, a
Grazzanise, a Marcianise. Sono i feudi del clan dei casalesi, i potenti
camorristi le cui fortune milionarie poggiano soprattutto sul
calcestruzzo. Ma non solo. Nascono come allevatori e casificatori i
casalesi, molti di loro continuano il mestiere (come racconta un'indagine
della Dda di Napoli). Le famiglie Schiavone, Zagaria, Iovine: ognuna ha
parenti che allevano bufale e vacche. Ognuna rifornisce caseifici o ne
possiede.
Come Claudio Schiavone, cugino del boss Francesco "Sandokan"
Schiavone. Una stradina defilata di Casal di Principe. Vendita di
latticini al minuto. Dicono le mozzarelle di bufala più buone della zona.
"I più bravi nel settore sono proprio loro, i casalesi", ragiona un
esperto che è anche conoscitore delle tecniche di adulterazione dei
derivati del latte.
Ci sono caseifici che spuntano come funghi nella
notte. Senza licenza edilizia. Vi lavorano, in media, una decina di
persone. Se il capo ordina, bisogna obbedire. Truccare. "Il latte di
bufala concentrato, unito al siero dolce, ti dà una mozzarella gonfiata
dieci volte superiore al normale" - spiega ancora Martone che ha
presentato una denuncia alla Procura della Repubblica. C'è qualcosa che
non va nell'area dop (250 mila bufale) da Latina a Foggia passando da
Caserta e Salerno.
"Molte aziende rifiutano il latte di bufala
nostrano. Il prezzo alla stalla è sceso di 20 centesimi al litro. Eppure
la produzione di mozzarelle non diminuisce, anzi. E allora: con che latte
le fanno?". Con le cagliate romene. Le congelano di inverno e le
scongelano d'estate, quando la richiesta di latticini aumenta del 30 per
cento. Per sbiancarle (arrivano in Italia scurite dal tempo e dal viaggio)
usano la calce e la soda caustica. La usano anche per correggere l'acidità
della mozzarella. O per "tirare" la ricotta, perché così si accelera il
processo di separazione del grasso dal siero e si favorisce l'affioramento
del formaggio fresco. In certi caseifici tengono scorte di sacchi di
calce.
"Quando li becchiamo il casificatore si giustifica dicendo che
serve per pitturare una parete scrostata" - dice il colonnello Di
Gregorio. Dal suo ufficio all'ultimo piano di una torre del centro
direzionale di Napoli, tra la Procura e il carcere di Poggioreale, si
domina un pezzo di città. "Sequestriamo di tutto, anche l'inimmaginabile.
La calce qui la mettono pure sullo stoccafisso, per sbiancarlo e renderlo
più morbido". Ne combinavano di tutti i colori al mercato ittico di Porta
Nolana, il più antico di Napoli. I Nas l'hanno chiuso il 29 luglio.
Sequestro di tutta l'area. Rivolta dei venditori. Decine di cassonetti
bruciati. Igiene sanitaria da suk terzomondiale. Molluschi turchi e greci
importati coi Tir, moribondi, marci, rianimati con acqua di mare. Anguille
cinesi vendute come pescato locale.
Dal mare si risale verso i
piccoli centri dell'entroterra campano. Per fare una prova abbiamo bussato
in una macelleria dalle parti di Baiano, ai confini dell'Agro Nolano: "Ho
della carne in scadenza, manzo, la ritirate?". "Per questo mese siamo a
posto, ma se ripassate tra una decina di giorni ve la ritiro", ha risposto
il figlio del titolare. Siamo in area dot: denominazione origine tarocca.
Mani esperte manipolano i cibi, li ingentiliscono dopo averli acquistati
già "avviati" dall'Est europeo. Prendiamo la pummarola. "Le importazioni
dalla Cina sono triplicate del 207 per cento, con un trend che porterà in
Italia oltre 150 milioni di chili a fine anno - spiega Vito Amendolara,
direttore della Coldiretti campana - Il concentrato di pomodoro che arriva
a Napoli e Salerno viene rielaborato, riconfezionato, etichettato e
esportato come Dop".
Un flagello, da queste parti, la sofisticazione. I
rapporti delle operazioni dei Nas e dei Nac dei carabinieri disegnano una
mappa che parte dal Lazio, taglia la Campania e piega verso Puglia e
Sicilia, lambendo anche la Basilicata che si sta affacciando sul mercato
della pirateria agro alimentare. Cinquecento chili di capperi marocchini
spacciati come "di Pantelleria". Quintali di miele moldavo pieno di
pesticidi. Centinaia di fusti di sale industriale - estratto dalle saline
nordafricane infestate dai colibatteri fecali - smerciato come sale
alimentare. Tutta roba scoperta nell'hinterland napoletano, e destinata
con marchio falsificato al mercato nazionale e internazionale. Sulla torta
del cibo truccato la camorra ha messo le mani da tempo, assieme alle
organizzazioni criminali dell'Est europeo e cinesi. Un coinvolgimento
organico di cui la Dia ha preso atto. La stessa cosa avviene in Puglia.
Qui il prodotto taroccato per eccellenza è l'olio. La molitura delle olive
e l'imbottigliamento rappresentano, da soli, il 2 per cento del Pil
regionale.
Peccato che gli ulivi siano diventati terra di conquista dei
corsari. L'extravergine d'oliva "corretto": è questo il loro fiore
all'occhiello. Importano olio di colza o di nocciolino dalla Spagna, dalla
Turchia, dalla Grecia, dalla Tunisia. Lo allungano col verdone per dargli
il colore. Lo profumano. "Almeno il 75 per cento del nostro olio non ha
una chiara origine certificata - dice Antonio De Concilio della Coldiretti
pugliese - . In pratica è ad alto rischio sofisticazione". Un litro di
extravergine vero costa 5 o 6 euro, farlocco 50 o 60 centesimi. Ma dove
finisce? Chi lo compra? Finisce nelle grandi catene dei discount. Nelle
botteghe di paese. Nelle mense pubbliche e private, nelle
pizzerie.
Ne ordina grandi partite chi deve sfamare senza pretese tante
persone. Come il vino a 50 centesimi a bottiglia. Rita Macripò è il
presidente delle Cantine Lizzano, Taranto, dal 1957: 21 dipendenti, 600
soci consorziati. "Come fanno? Acquistano uva da tavola, la correggono con
acido tartarico e coloranti. Quando i Nas o la Guardia di Finanza vanno
nelle aziende - a volte sono semplici cisterne e basta - nell'ufficio
anziché i libri contabili trovano le pistole". Sta girando una voce nel
tarantino. Gli investigatori la ritengono attendibile. Dei produttori
locali avrebbero ordinato partite enormi di tannino cinese di origine
sintetica. Servirà a "correggere", a produrre bottiglie da vendere a 40
centesimi.
"Certe catene se ne fregano che sia robaccia - dice Macripò
- . La comprano e basta. Faccio un esempio. A Taranto ci sono 40 mila
marinai. Vuol dire un quarto di vino a testa al giorno. Fanno 10 mila
litri al giorno, cioè 100 quintali, cioè 365 quintali l'anno. Secondo lei
la Marina Militare che vino compra? Il nostro che costa 2,5 euro o quello
che costa 40 centesimi? Pretendono tutti prezzi sempre più bassi. Così i
produttori onesti vengono sbattuti fuori dal mercato".
A fianco del
listino prezzi abbattuto, scoprendo i magheggi dei pirati agroalimentari,
ritornano alla mente i sacchi di calce. I caseifici a scomparsa e le
mozzarelle drogate. L'olio pitturato, il vino sintetico. Il pesce in coma.
Il menù dell'altra alimentazione.
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