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ambiente ed equità sociale una storia di crescita
- Subject: ambiente ed equità sociale una storia di crescita
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 15 Oct 2007 06:28:48 +0200
da Aprile Quotidiano per la sinistra
25 settembre 2007 Una storia di
crescita
Franco Bianco, 24 settembre 2007 Ambiente e equità sociale I dati ultimi pubblicati dal "Living Planet Report", che raccoglie dati semestrali sull'impronta ecologica di oltre 150 nazioni, mostrano che l'impronta ecologica globale è già attestata sul 120% ( ! ) della capacità di carico del pianeta. Il mondo sfrutta ogni anno, in base al numero degli abitanti, oltre 2 miliardi di ettari più di quanti ne disponga. Eppure, le società attuali continuano a perseguire la crescita come imperativo categorico Nell'anno 1650 la popolazione mondiale contava circa mezzo miliardo di persone, e cresceva ad un tasso annuo di circa lo 0,3%, al quale corrispondeva un "tempo di raddoppio" di 240 anni. La popolazione mondiale era, nel 1900, giunta a circa 1.600 milioni di persone, e presentava un tasso di crescita di circa lo 0,8% all'anno; nel 1965 era diventata circa 3.300 milioni, ed il tasso di crescita annuo era aumentato al 2%; nel 2000 la popolazione mondiale contava 6.067 milioni, ed il suo tasso di crescita era diminuito all'1,3%, che però, in termini assoluti, comporta ancora un aumento di 75 milioni di persone all'anno; se il tasso annuo dell'1,3% venisse mantenuto, la popolazione mondiale si raddoppierebbe, rispetto a quella del 2000, in circa 55 anni (Nota: una facile regola per calcolare il tempo di raddoppio di un qualunque stock, corrispondente ad un tasso di incremento annuo composto dell'x%: basta dividere il numero fisso 72 per x. Esempi: al tasso dello 0,3%: 72:0,3=240; al tasso dello 0,8%: 72:0,8=90; all'1,3%: 72:1,3= 55 circa). Fra il 1900 ed il 2000 il prodotto industriale mondiale è aumentato di
oltre 30 volte; i beni di consumo pro-capite di circa 8 volte in valore totale.
E' evidente che, dato l'aumento della popolazione nel frattempo intervenuto, il
valore pro-capite medio era aumentato in misura molto inferiore, pari a circa il
doppio nel 2000 rispetto al 1900. E' altresì evidente che il valore medio è
definito come se la distribuzione fosse uniforme, il che è assolutamente lontano
dalla realtà. Tuttavia, in tutta questa trattazione faremo sempre riferimento,
salvo esplicito avvertimento diverso, ai valori globali, senza affrontare i
problemi della disuniformità della distribuzione, e dei conseguenti problemi di
mancanza di equità, ai quali dedicheremo solo cenni specifici.
Fra il 1950 ed il 2000 la popolazione mondiale è aumentata di 2,4 volte (da
2.520 a 6.067 milioni); il numero di veicoli immatricolati di oltre 10 volte (da
70 a 723 milioni, benché non più dell'8% - !!! - degli abitanti del pianeta
possegga un'automobile); il consumo di petrolio di oltre 7 volte (da 3.800 a
27.635 milioni di barili l'anno); la capacità di generazione di energia
elettrica di circa 21 volte (da 154 a 3.240 milioni di KW); la produzione di
mais, frumento e riso di circa 4 volte.
Dai dati sommari aggregati esposti si evince che la crescita è stata
continua, come tendenza complessiva e come risultati (a parte i declini
temporanei dovuti ai conflitti mondiali), dal 1900 ad oggi. E la "ideologia
della crescita" continua ad essere un imperativo della società contemporanea.
"Oggi sappiamo che la crescita è il motore del cambiamento", proclamava George
W. Bush nel 1992. Si sostiene che i problemi vitali come la miseria e la
disoccupazione possono trovare soluzione solo nella crescita. Chi si avventura a
cercare di mettere in discussione il valore intrinseco che viene attribuito alla
crescita - o anche a distinguere fra crescita e sviluppo - rischia di essere (ed
è, il più delle volte) ignorato, marginalizzato e perfino
ridicolizzato.
Eppure non possiamo non porci domande che investono la mentalità della
crescita, e della possibilità di continuare a perseguirla senza che questo
comporti rischi per le popolazioni attuali e per quelle future. Non possiamo non
chiederci se non esistano dei "limiti (o vincoli) globali", e di quale tipo essi
possano eventualmente essere, e quali conseguenze per l'umanità possa comportare
il loro superamento, temporaneo o permanente. Non possiamo non chiederci se la
crescita illimitata sia "sostenibile" - e vedremo qual è il significato preciso
di questo termine - sia sul piano ambientale globale che su quello sociale. C'è
come una rimozione collettiva ad associare le tematiche ambientali a quelle
sociali: eppure esse sono strettamente legate, basta qualche riflessione per
rendersene conto. Vi accenneremo più avanti.
Avvertimenti e grida di allarme sono stati lanciati da tempo da persone,
istituzioni e collettività di assoluto valore: ne citiamo qualcuno.
- Nel 1969 l'allora Segretario generale dell'ONU, U-Thant, scrisse: "I
Paesi membri dell'ONU hanno a disposizione a malapena dieci anni per impegnarsi
in un programma globale di risanamento dell'ambiente e di controllo
dell'esplosione demografica, orientando i propri sforzi verso la problematica
dello sviluppo. In caso contrario, c'è da temere che i problemi menzionati
raggiungeranno dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di
controllo". 1969.
- Nel Giugno 1972 si tenne a Stoccolma, con la partecipazione di 110 Paesi,
una Conferenza dell'ONU che si concluse con una "Dichiarazione sull'ambiente
umano". Essa recitava: "Noi dobbiamo condurre le nostre azioni in tutto il mondo
con più prudente attenzione per le loro conseguenze sull'ambiente, la cui difesa
ed il cui miglioramento sono divenuti uno scopo imperativo per tutta l'umanità".
La Dichiarazione elencava quindi 26 principi, che sono a tutt'oggi integralmente
validi, purtroppo tuttora disapplicati o rispettati in misura insufficiente. Di
questo si parla.
- Alla fine degli anni '60 fu fondato da Aurelio Peccei (1908-1984, grande
imprenditore e manager industriale - fra le tante cose che fece, fu fondatore di
Alitalia e di Italconsult, un'organizzazione non-profit alla quale diede il
compito di aiutare lo sviluppo delle popolazioni del terzo mondo, memore delle
situazioni estremamente disagiate in cui vivevano - nonché abilissimo
organizzatore culturale) e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a
premi Nobel, leader politici e intellettuali, quello che divenne poi famoso come
"Club di Roma" (il nome del gruppo nacque dal fatto che la prima riunione si
svolse a Roma, presso la sede dell'Accademia dei Lincei), un gruppo di
ricercatori e scienziati provenienti da tutto il mondo per sviluppare un
progetto ed un programma per la previsione ed il monitoraggio dello sviluppo con
l'intuizione fondante che il globo terrestre è finito (nel senso di non
infinito) e che conseguentemente esistessero limiti fisici per lo sviluppo. Nel
1972 il Club di Roma dette alla stampa il volumetto tradotto
come "I limiti dello sviluppo", dove si
presentavano i risultati della ricerca. Il titolo originale del libro era "The
limits to growth", quindi era orientato a ciò che oggi, più correttamente,
definiamo "crescita", poiché lo sviluppo è inteso come cosa diversa dalla
crescita. Il Rapporto, che ebbe enorme risonanza, fu tradotto in molte lingue e
fu venduto in milioni di copie, prediceva che la crescita economica non potesse
continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse
naturali, specialmente petrolio. Gli stessi autori di quel Rapporto pubblicarono
nel 1992 un'edizione riveduta, intitolata "Oltre i limiti dello sviluppo"; poi,
nel 2004, hanno pubblicato (tradotto in Italia nel 2006), "I nuovi limiti dello
sviluppo". In entrambi i due libri successivi al primo rilevano che ciò che nel
1972 era un pericolo latente è ormai divenuto realtà: il mondo ha ormai
superato, non di poco e non da poco, i limiti della capacità di sostentamento
della terra. Ed a nulla sono serviti i vertici mondiali su "ambiente e sviluppo"
di Rio de Janeiro (1992) e di Johannesburg (2002, detto perciò " Rio + 10
").
- Nel 1987 una commissione dell'ONU, detta Commissione Brundtland dal nome
della sua presidente, ex primo ministro della Norvegia, introdusse il concetto
di "sostenibilità": "Una società sostenibile è una società che soddisfa i
bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di
soddisfare i propri".
- Nel 1988 fu costituito l'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate
Change), un comitato scientifico formato da due organismi dell'ONU (il WMO e
l'UNEP) allo scopo di studiare il riscaldamento globale; i suoi rapporti sono
alla base di accordi mondiali riguardanti i cambiamenti climatici (come il
"Protocollo di Kyoto").
- Nel Novembre 1992 venne pubblicato un "Avvertimento degli scienziati
all'umanità", sottoscritto da oltre 1600 scienziati di 70 Paesi, fra i quali 102
premi Nobel. Si leggeva fra l'altro: "Gli esseri umani ed il mondo naturale sono
in rotta di collisione. Molte delle pratiche correnti mettono in serio pericolo
il futuro per la società umana e per i regni vegetali ed animali. Chiediamo
l'aiuto delle genti del mondo. Invitiamo tutti ad unirsi a noi in questo
compito".
- Nel 1996, come accennato nell'articolo precedente, fu introdotto il
concetto di "impronta ecologica".
- Nel Dicembre 1997 fu sottoscritto (NON ratificato) da più di 160 Paesi il
"Protocollo di Kyoto", un trattato internazionale riguardante il riscaldamento
globale e la riduzione del biossido di carbonio (anidride carbonica) e di altri
cinque "gas serra" che concorrono al riscaldamento globale. Nel Febbraio 2005
l'accordo raggiunse, con la ratifica del Novembre 2004 da parte della Russia, le
maggioranze richieste per diventare operativo. Gli USA, che avevano dapprima
ratificato il Trattato con Clinton, se ne ritrassero con Bush, ed ancora oggi
non lo hanno ratificato (gli USA, con il 5% della popolazione mondiale, sono
responsabili del 36% delle emissioni complessive). Gli obblighi assunti con la
ratifica cominceranno a decorrere dal 2008 e fino al 2012. Ma già dal 2005 sono
ripartite le trattative relative al cosiddetto "secondo periodo" del Protocollo
di Kyoto, che inizierà dal 2013, che riguardano l'impegno a ridurre
ulteriormente le emissioni, poiché esistono stime secondo le quali entro il 2050
sarà necessaria una riduzione dal 45 al 60 percento delle emissioni globali di
anidride carbonica, ed i limiti fissati dal "Kyoto 1" sono ben al di sotto di
questi valori. Gli accordi attuali, come le cifre citate rendono evidente, sono
del tutto insufficienti in sé (ciò non evita che essi non siano rispettati);
inoltre, il "Kyoto 1" non prevede restrizioni per i paesi emergenti (per dare
loro maggior respiro per le spese di riconversione), ma ormai già soltanto le
emissioni di quei paesi superano la capacità di assorbimento dell'atmosfera.
Vedremo più avanti quali sono le ipotesi in campo.
- Ancora nel 2001 un rapporto elaborato dalla Banca Mondiale scriveva: "Il
tasso di degrado ambientale è allarmante, e, in taluni casi, in via di
accelerazione. Nei Paesi in via di sviluppo, i problemi ambientali impongono
pesanti costi umani, economici e sociali e minano le fondamenta su cui poggia la
crescita e, in ultima analisi, la sopravvivenza".
Insomma, a distanza di quasi quarant'anni dall'allarme di U-Thant il mondo
non ha cambiato rotta. I dati ultimi pubblicati dal "Living Planet Report", che
raccoglie dati semestrali sull'impronta ecologica di oltre 150 nazioni, mostrano
che l'impronta ecologica globale è già attestata sul 120% ( ! ) della capacità
di carico del pianeta. Il valore sostenibile pro-capite sarebbe oggi di circa
1,8 ha (ettari), laddove sono stati misurati i seguenti valori di impronta
ecologica media (dati WWF 2006): mondo 2,23 ha; paesi industriali 6,60 ha; paesi
in via di sviluppo 1,5 ha come valore medio (in realtà varia da 2,52 ha per
quelli più ricchi a 0,88 ha per quelli più poveri).
Il mondo sfrutta ogni anno, in base al numero degli abitanti, oltre 2 miliardi di ettari più di quanti ne disponga. Eppure, le società attuali continuano a perseguire la crescita come imperativo categorico. Una vera follia collettiva: danziamo tutti sul Titanic, ed abbiamo anzi prenotato i posti per i nostri figli e nipoti. |
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