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l'auto ecologica ci salvera'?
- Subject: l'auto ecologica ci salvera'?
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 6 Sep 2007 06:24:52 +0200
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greenport.it 03/09/2007Comunicazione L´auto ecologica ci salverà? Campetti: «Sicuramente anni di ambientalismo e di lotte in difesa dell’ambiente hanno prodotto una modifica dell’approccio culturale anche da parte dei costruttori di macchine. Ma si tratta in realtà di una sorta di rivoluzione passiva, per usare una categoria gramsciana, perché la battaglia di rottura del modello di sviluppo viene mangiata dall’antagonista stesso per mantenere il proprio livello di sviluppo e continuare a vendere» di Diego Barsotti LIVORNO. Nel prossimo week end il Lingotto di Torino ospiterà la prima edizione di Autoeco, fiera dedicata alla mobilità sostenibile, con una sessantina di espositori che presenteranno i loro veicoli ecologici. Si va dalle ultime novità progettate dalla Brc per la riconversione a metano di auto tradizionali, agli scooter elettrici della Vectrix, fino alla sfilata dei modelli pensati nel centro ricerche della Fiat, che ospita e organizza l’evento. Del resto da parte delle case automobilistiche c’è sempre più attenzione alle prestazioni ecologiche dei propri modelli: che sia solo una questione d’immagine oppure una reale consapevolezza dei rischi anche economici che deriveranno dai cambiamenti climatici, quello che importa è che poi ai proclami seguano i fatti e quindi la riduzione degli impatti, non solo per quanto riguarda il periodo di utilizzo, ma durante tutto il ciclo di vita dei veicoli, quindi anche nella fase produttiva e in quella finale di recupero e smaltimento. Ne parliamo con Loris Campetti (Nella foto), caporedattore del Manifesto ed esperto di tematiche ambientali ed economiche. «Sicuramente anni di ambientalismo e di lotte in difesa dell’ambiente hanno prodotto una modifica dell’approccio culturale anche da parte dei costruttori di macchine, che devono tenere conto di questa accresciuta sensibilità. Si tratta in realtà di una sorta di rivoluzione passiva, per usare una categoria gramsciana, perché la battaglia di rottura del modello di sviluppo viene mangiata dall’antagonista stesso per mantenere il proprio livello di sviluppo e continuare a vendere». Quindi nessuna nuova consapevolezza, solo tentativo di difendere lo status quo? «Più o meno direi di sì, anche per un altro fattore fondamentale: le scelte ecologiste delle case automobilistiche sono dettate anche dalla limitatezza delle risorse, perché i produttori sanno benissimo che nel futuro le proprio auto non potranno essere più alimentate con combustibili fossili e quindi per garantirsi un futuro devono investire in ricerca e sviluppo sulle energie rinnovabili, c’è chi lo fa di più e c’è chi lo fa di meno, l’Italia non lo sta facendo». Si riferisce all’idrogeno? «Al tempo dello sciagurato accordo con General motors tutta la ricerca sull’idrogeno in casa Fiat è stata abbandonata perché si diceva che era preferibile investire solo su quella del partner che era più avanzata. Quindi oggi la Fiat ha avuto una ripresa straordinaria e impensabile solo 3 anni fa, ma sul medio termine siamo messi male perché se fra 50 anni si riuscirà finalmente a introdurre l’idrogeno, la Fiat sarà fuori da tutti i giochi». In realtà però la ripresa Fiat è stata dettata anche da scelte verdi, attualmente è l’unica casa a rispettare i limiti europei sulle emissioni ed è quella ad avere la gamma più ampia di veicoli bifuel benzina/metano. «Ma infatti nel breve periodo Fiat ha fatto grandissime cose, mi preoccupa molto di più l’azzeramento della ricerca sull’idrogeno. Se non investe nelle risorse il nostro Paese sarà sempre legato non solo alle multinazionali dell’auto, ma alla geopolitica generale, cioè alle scelte fatte da altri in termini di materie prime non rinnovabili. Per quanto riguarda il metano, che non è la panacea perché è comunque un combustibile fossile seppur meno impattante, le responsabilità del suo mancato sviluppo sono tutte pubbliche: il governo italiano non ha fatto scelte strategiche in questo senso perché la rete distributiva è assolutamente insufficiente relegando il settore in una nicchia che non allenta minimamente la tensione del Paese rispetto al petrolio». In questi giorni si parla molto di biocarburanti, che in alcuni Paesi come il Brasile sono già una realtà, ma che grondano di contraddizioni, sia ambientali che sociali. «Le critiche che vengono fatte da alcuni Paesi da movimenti ambientalisti e dagli agricoltori sono assolutamente legittimi e condivisibili, perché si va a trasformare con una monocultura l’economia di alcuni paesi che vengono utilizzati come veri e propri cortili delle case delle nazioni più sviluppate. Accanto c’è chi invece galleggia sul petrolio come Chavez, che teoricamente ne fa un uso politico anche interessante, ma in realtà ci sarebbe una terza scelta, che nessuno vuole intraprendere: cioè intervenire direttamente sui consumi e lo sviluppo. Ma anche qui le criticità non mancano, perché è difficile dire a un Paese in pieno sviluppo di non imitare quello che hai fatto fino a ieri». Cosa intende per “intervenire sui consumi e lo sviluppo”? Forse il fatto che oltre al risparmio e all’efficienza energetica si dovrebbe cominciare a parlare anche di risparmio di materia? «Il punto è proprio questo. Nessuno ne parla e gli unici esempi di almeno teorico risparmio di materia sono i tentativi un po’ consociativi di affrontare queste questioni nei cda delle grandi società con i bilanci ambientali e sociali: iniziative utili ma che non vanno a incidere sulla realtà, anche perché in una società capitalistica non puoi chiedere o sperare che i padroni si facciano carico di altro che non siano i loro interessi. La risposta all’esigenza di risparmiare energia e risorse non può venire dall’industria». Quindi da chi deve venire questa scelta? «Dovremmo cercarla nella politica e anzi nelle singole politiche statali. Qui deve essere fatta la scelta perché sono i governi a dover mettere dei limiti, delle regole e a programmare il percorso. E l’Italia purtroppo è tutto fuorché in controtendenza. Parlo di stati nazionali perché sappiamo benissimo gli sforzi che per esempio l’Unione europea sta facendo sul fronte ambientale e del fatto che per esempio proprio essere nell’Unione europea ci ha salvato dalla crisi dei tassi americani. Però questo significa anche dipendere totalmente da scelte economiche dove la Bce, la Fed e la banca mondiale ragionano solo e soltanto in termini di Pil e di crescita. Ecco perché è necessario che alcuni margini di intervento siano garantiti ai singoli Stati, che altrimenti saranno impossibilitati, se anche un giorno lo volessero, a fare quella scelta coraggiosa intervenendo per reindirizzare finalmente i consumi e lo sviluppo». |
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