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uno stile di vita che porta al disastro
- Subject: uno stile di vita che porta al disastro
- From: "ANDREA AGOSTINI" <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 14 Jul 2007 07:02:00 +0200
da repubblica.it di venerdi 13 luglio 2007 Perché bisogna cambiare il modello di sviluppo economico UNO STILE DI VITA CHE PORTA
AL DISASTRO
La notizia che le riserve di petrolio stanno per esaurirsi dovrebbe essere accolta con soddisfazione in tutto il mondo GUIDO VIALE Siamo in larghissima parte fatti, oltre che di acqua, di carbonio: lo stesso elemento che sta alla base del carbone, del petrolio e del metano, cioè degli idrocarburi che da duecento, cento e cinquant´anni, rispettivamente, forniscono l´energia alle società in cui viviamo. Questo forse dovrebbe farci sentire in sintonia non solo con il mondo dei viventi, fatti anch´essi, come noi, di acqua e carbonio, ma anche con la civiltà industriale, che ha fatto degli idrocarburi il sangue che scorre lungo tutti i circuiti della produzione e del consumo. Ma non è così. I processi di ossidazione del carbonio che mantengono la nostra temperatura corporea e ci forniscono l´energia per muoverci e pensare sono gli stessi che forniscono calore ed energia alla macchina produttiva e alla vita civile del pianeta; ma stanno tra loro come la fiamma di un fornello sta a un´esplosione di tritolo. I primi sono controllati ed efficienti: il nostro corpo non metabolizza più carbonio e non produce più calore ed energia di quanto gliene serve; i secondi sono rapidi, altamente dissipatori e consumano una risorsa che non si rinnova. Entrambi producono – ma i primi in misura infinitamente minore dei secondi - anidride carbonica: un gas che, riassorbito ogni giorno dalla vegetazione, mantiene la temperatura dell´ecosistema Terra in equilibrio; mentre diffuso in quantità eccessive nell´atmosfera, rende progressivamente invivibile il nostro pianeta: prima per gli stili di vita a cui siamo abituati; poi per la mera sopravvivenza degli organismi complessi. Se la vita, compresa la nostra, si è sviluppata sul nostro pianeta, è perché per alcuni miliardi di anni miriadi di organismi, come tanti spazzini, hanno "ripulito" l´atmosfera dall´anidride carbonica che la soffocava, liberando l´ossigeno dalla stretta del carbonio e poi inabissandosi con questo sotto i sedimenti e le colate di lava che hanno plasmato nel tempo la crosta terrestre. L´ossigeno liberato lo assorbiamo con l´aria che respiriamo e il respiro è vita, psykhé, spirito. Ora il sistema produttivo e gli stili di vita che si sono insediati nel mondo a partire dalla rivoluzione industriale sono stati costruiti dissotterrando e restituendo progressivamente all´atmosfera il bottino di quel lavoro di pulizia. E´ come se rendessimo la nostra casa inabitabile rovesciando per le stanze il contenuto della pattumiera; o il nostro territorio invivibile, come tante città della Campania, dissotterrando i rifiuti sepolti nelle discariche per spargerli in strada. Con una differenza: mentre gli altri inquinanti emessi dalla combustione sono da tempo fonte di allarme, perché rendono irrespirabile l´aria delle città e delle autostrade - puzzano, annebbiano, sporcano, lasciano l´amaro in bocca e ci rendono bronchitici, asmatici e cardiopatici fin da bambini - l´anidride carbonica è inodore, insapore e incolore; la percezione dei suoi danni può essere solo il risultato di calcoli e ragionamenti astratti. Le vere conseguenze - i ghiacciai che si sciolgono, i fiumi che si prosciugano, i suoli trasformati in croste di fango secco, le spiagge che si inabissano, le stagioni che scompaiono e gli uragani che imperversano - sono legate agli scappamenti delle nostre automobili, alle caldaie dei nostri riscaldamenti, alle spine dei nostri elettrodomestici solo in modo indiretto. Tanto indiretto che si può continuare a fare come se niente fosse. Ora, però, dopo che anche Bush e il prof. Guido Visconti, esperto di meteorologia del Corriere della sera, si sono finalmente convinti che l´effetto serra esiste, sul pianeta Terra sono rimasti solo il romanziere Michael Crichton e il consigliere economico di Berlusconi Renato Brunetta a pensare che sia invece un complotto dell´"Internazionale verde", o una favola imposta dalla "dittatura planetaria degli ambientalisti". Tutti gli altri sono d´accordo che bisogna correre ai ripari e mentre in Iraq come in Afghanistan gli eserciti occupanti bruciano tutti i giorni tanto petrolio quanto forse basterebbe risparmiarne per "rientrare" nei pur insufficienti parametri di Kyoto, la gente si chiede "Che fare?". E i politici affamati di comparse in TV invidiano Al Gore, che si è procurato un´audience fantastica (due miliardi di telespettatori) cavalcando il problema; una riproposizione, anche in sedicesimo, del suo successo, piacerebbe a tutti. Ma c´è un ma. Da un lato correre ai ripari vuol dire consumare meno combustibili fossili: meno petrolio, meno metano e soprattutto meno carbone; se se ne consumano meno, tutti dovrebbero essere contenti. Dall´altro, senza petrolio, carbone e metano nessuno ha idea di come far funzionare la macchina economica, cioè la "crescita" e lo "sviluppo": l´aumento del Pil di qualche punto percentuale, o di qualche frazione di punto, che per tutti i governi del mondo è ormai una questione di vita o di morte. Le alternative ai combustibili fossili - l´eolico, il fotovoltaico, i biocarburanti, ecc. - possono essere un business e i gruppi industriali più accorti, con quelli italiani in coda, vi si stanno gettando a capofitto. Ma il petrolio continua e continuerà a far gola: tanto all´Eni quanto a Bush, tanto al governo cinese quanto a quello australiano, un cui ministro finalmente non ha avuto remore nel dire quello che tutti sanno; e cioè che in Iraq ci si è andati a fare la guerra e ci si resta per rubare il petrolio. L´Aie – l´Agenzia internazionale dell´energia, lobby dei paesi consumatori nata per contrapporsi all´Opec, cartello dei paesi produttori – fino all´anno scorso prevedeva una crescita del 50 per cento del consumo di petrolio nei prossimi 25 anni, sicura che le riserve del pianeta vi avrebbero fatto fronte. Ma ora è costretta ad ammettere quello che gli esperti indipendenti riuniti nell´Aspo – l´associazione di coloro che sostengono che l´estrazione di petrolio e gas è prossima al suo picco – stanno ripetendo da tempo: cioè che di petrolio da estrarre ce ne sarà sempre meno e che dobbiamo imparare a far senza. Dovrebbe essere una buona notizia, invece è fonte di panico, anche se il petrolio residuo è ancora sufficiente a trasformare il mondo in una fornace. Un conto è infatti spiegare, durante un concerto in mondovisione o con un bel film, che il tempo stringe e si deve cambiare. Un conto è aprire una trattativa con la Confindustria o l´Unione petrolifera per definire un piano e degli impegni precisi – con incentivi e penalità sostanziali - per ridurre in trent´anni le emissioni di gas di serra di un fattore 10: cioè non del 10 per cento, ma di dieci volte. E cominciando subito. Ve lo immaginate un governo italiano – un governo, e non un ministro, perché i nostri ministri sono sempre "in libera uscita" – che apre una trattativa di questo tipo? O il sindaco di una grande città che spiega ai suoi elettori che dovranno staccare il sedere dalle loro automobili e salire su un autobus sgangherato, già oggi affollato come una scatola di sardine, o su un taxi collettivo, che nemmeno sa bene spiegare che cosa sia? |
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