la nuova agricoltura



 Da il manifesto
29 Aprile 2007

«Slow trade», la nuova agricoltura
Incontro a Berlino sul commercio agricolo mondiale: per nuove regole, socialmente giuste e sostenibili per l'ambiente. Un «commercio lento», dice Wolfgang Sachs, del Wuppertal Institute, relatore di EcoFair Trade Dialogue
Giuseppina Ciuffreda
Berlino

Ben noto ai lettori del manifesto sin dalla pubblicazione della serie Archeologia dello sviluppo, Wolfgang Sachs, direttore di ricerca al Wuppertal Institute per il clima, l'ambiente e l'energia, con Tilman Santarius ha coordinato il rapporto Slow Trade-Sound Farming per una nuova politica commerciale agricola.
Perché avete scelto l'agricoltura?
Per ragioni politiche, umane e ambientali. L'agricoltura è una delle due grandi arene dove viene giocato il futuro della sostenibilità del nostro vivere: l'energia e la terra. Ed è il crocevia di gravi problemi ambientali: acqua, biodiversità, fertilità della terra, deforestazione. Dal punto di vista sociale dobbiamo avere coscienza che il 70 per cento dei poveri vivono in aree rurali, quindi tutto ciò che accade in agricoltura ha impatto sul loro destino. Infine, l'agricoltura è il fulcro dei negoziati sulla riforma del commercio internazionale. In questo momento è il nodo che non si può sciogliere ed è il punto su cui fallirà il round di Doha dell'Organizzazione mondiale del commercio(Wto). La logica dei negoziati trascura il diritto all'esistenza di intere popolazioni e l'integrità della biosfera.

Nel vostro rapporto rovesciate le idee oggi dominanti sul commercio agricolo, sullo sviluppo e sulla lotta alla povertà. Parlate di reti sociali e naturali, e non della sola produzione di reddito. Usate parole che non troviamo nemmeno in altre analisi critiche della globalizzazione: biosfera, natura, rigenerazione dei suoli...
Nelle analisi, anche da parte dell'opposizione, l'enfasi è sui diritti umani dei contadini. Va bene, ma rimane fuori molto spesso la dimensione ambientale. Dalla riunione del Wto sull'agricoltura a Cancun è diventato un luogo comune che la strada migliore per portare avanti una maggiore giustizia sociale sia un accesso più libero per i prodotti agricoli del Sud del mondo verso i mercati del Nord. Questa enfasi secondo noi è sbagliata. E' vero che imercati del Nord sono strutturati in modo ingiusto, però abolendo tutte le barriere alle esportazioni dal Sud, avremo certo un mercato più equo ma sempre libero mercato, che non può risolvere la povertà, tantomeno i problemi dell'ambiente.
La chiave dell'alternativa sono per voi i piccoli produttori, le piccole aziende familiari. E'una proposta in totale controtendenza con i processi di concentrazione in corso.
Se vogliamo combattere la povertà e il fatto che sempre più persone perdono la possibilità di guadagnare la propria sussistenza, dobbiamo preoccuparci del destino dei piccoli produttori. Non è un sentimento romantico ma un atteggiamento pragmatico. Oggi una grande maggioranza sempre più grande di persone lavora nel settore. Piccoli produttori o piccoli commercianti che fanno parte di un'economia rurale fondamentale per la vita di milioni di poveri
Voi inserite questa chiave entro la valorizzazione del commercio locale e nazionale, che indicate come prioritario. Assegnate invece al commercio continentale e globale, anche qui in controtendenza, un ruolo complementare secondario.
Nel discorso dominante l'orientamento verso l'esportazione viene visto come lo strumento dello sviluppo. Noi invece, come tanti altri, diciamo che per il piccolo produttore il punto centrale non è l'accesso ai mercati lontani ma l'accesso al mercato vicino. Bisogna sviluppare quindi mercati locali ed economie nazionali, e cercare di integrare il settore rurale in esse. Solo come cosa in più, in modo complementare, potrebbe essere interessante svolgere certe attività sul mercato internazionale. Ma non dovrebbe quasi mai essere il fattore risolutivo.
Affermate anche che gli ostacoli al libero commercio non sono gli Stati ma le grandi imprese transnazionali, e rivalutate il ruolo dello stato e delle comunità locali. Multinazionali cattive, comunità buone...
Valutiamo soltanto un altro errore del Wto, quando sostiene che lo Stato è responsabile delle distorsioni del mercato. Può essere anche vero in alcuni casi ma se si guardano bene le cose vediamo che sono le grandi imprese ad avere il potere di dettare prezzi e standard di produzione. Ed è questo il motivo per cui tanti piccoli produttori non hanno la possibilità di entrare nei mercati. La liberalizzazione che elimina le frontiere dà più potere alle grandi imprese, che hanno oggi uno spazio molto più grande per le loro manovre globali. Ogni riforma del commercio agricolo dovrebbe invece rafforzare la posizione dei soggetti più piccoli nella catena transnazionale di produzione.
Non escludete però un commercio diretto all'esportazione per i piccoli produttori.
Noi non siamo contro l'esportazione di prodotti agricoli. Anzi può essere positiva anche per small farmers. E' già oggi così. Lo vediamo per il caffè o il cacao. Spesso sono attività di piccoli produttori che formano associazioni e affrontano il mercato. Noi cerchiamo di identificare criteri per una esportazione sostenibile. Che non marginalizzino i piccoli e non sacrifichino l'acqua, il suolo, le foreste per creare merci d'esportazione.
Mi sembra che a voi stia anche a cuore la rigenerazione della democrazia.
La democrazia entra direttamente quando si parla dei diritti delle nazioni e delle società perché la filosofia del libero commercio punta sulla loro sparizione. Creano ostacoli al flusso delle merci e dei servizi. In questo senso il mercato libero è un attacco alla democrazia perché democrazia vuol dire esprimere le preferenze di una collettività,mettere mano alle proprie cose e cercare di gestirle. Per dare più peso alla società e alla politica bisogna dare di nuovo più spazio alle nazioni e ai governi nazionali. E quindi bisogna arginare l'intenzione del Wto di contenerne l'autorità.
Stati Uniti, Europa, Giappone: li chiamate «la triade». E aggiungete Brasile, Argentina, Cina. Paesi dominanti che dettano le regole, a proprio vantaggio. L'Europa è dunque tra i cattivi?
Sì, tutto sommato l'Europa è tra i cattivi. Per esempio, mentre le politiche ambientali sono abbastanza interessanti, per il commercio internazionale l'Europa è assai vicina agli Stati Uniti. La sua strategia generale è di aprire imercati di altri paesi, in particolare quelli del Sud, per l'industria e per i servizi. Purtroppo per gli Europei il Sud se n'è accorto, e dice: «Se voi volete che noi apriamo i nostri mercati, dovete anche voi aprire i vostri ai nostri prodotti agricoli». Ma è problematico perché una vera apertura al Sud significherebbe la morte di gran parte dell'agricoltura europea. Così l'Europa ha capito che la globalizzazione vera non è possibile. E cerca di portare avanti una politica di doppio standard. Dovrebbe invece dire onestamente che se la liberazione in agricoltura non va bene per l'Europa, quella di industra e servizi può non andare bene per il Sud del mondo. E partire da questa ammissione per rilanciare i propri interessi. Finora non è stato così. L'Europa cerca di avere una cosa senza concedere l'altra.
 
L'Unione europea ha deciso la percentuale obbligatoria di biocarburante per auto. Ma l'ambiente può essere squilibrato profondamente dalle monocolture per il bioetanolo e il biodisel, a fronte di vantaggi poco certi per il clima della Terra: distruzione di foreste tropicali per le palme da olio, aumento prezzi mais o soia, competizione tra cibo e carburante...
Non sarei così pessimista. La riflessione è aumentata e anche la Ue ora sta cercando di trovare e applicare criteri. Credo decisivo non impegnarsi in un commercio intercontinentale. Il biocarburante deve venire dall'Europa e deve essere ricavato in primo luogo dai rifiuti agricoli e non da piantagioni.
Perché proprio questo titolo: Slow Trade Sound Farming?
E' stato pensato quando sono stato a Torino, per Terra Madre, l'iniziativa con i contadini piccoli produttori di tutto il mondo organizzata da Slow Food. Con questo titolo ci mettiamo nello spirito di Slow Food che non è solo gastronomia. E' anche preservare l'agricoltura delle razze autoctone, della biodiveristà alimentare, del tessuto sociale entro cui si produce. E poi Slow Trade perchè un commercio che cerca di promuovere il diritto all'esistenza e la protezione ambientale sarà sempre un commercio più lento. 

Tornare alla terra
Gi. Ci.

L'agricoltura ha un ruolo fondamentale e i contadini esistono, non sono scomparsi. Nonostante la credenza diffusa che li vuole ridotti al lumicino, sono ancora due miliardi nel mondo. Nonostante l'affermazione arrogante di un premio Nobel che potremmo tranquillamente fare a meno della natura, abbiamo bisogno ancora di mangiare e bere. E cibo e acqua originano da complesse relazioni naturali e sociali e non dai laboratori di Cargill o Monsanto che, per ora, riescono soltanto a manipolare il materiale creato da secoli di esperimenti delle comunità di agricoltori. Considerati da capitalisti e marxisti residui del passato feudale e forze ostili al progresso e alla rivoluzione, i contadini sono oggi uno dei soggetti di resistenze e cambiamenti.
Movimenti contadini sono nati nei paesi ricchi e nel Terzo Mondo, si sono formate reti transnazionali, sono cresciute le associazioni degli agricoltori organici e biologici. La vita in campagna non sembra più così arretrata di fronte alle emergenze causate dal Progresso tecnologico.
Assistiamo infatti a un paradosso: che l'agricoltura tradizionale dei contadini tanto disprezzata ha consentito all'umanità di sopravvivere per millenni mentre l'agricoltura chimico-industriale, oggi anche biotech, rischia di non sopravvivere a se stessa e agli altri «benefici » tecnologici del nostro mondo moderno e post moderno. E con lei è l'umanità che rischia di non sopravvivere.
Terra desertificata e acqua scarsa, siccità e inondazioni, uragani e gelate si susseguono per il riscaldamento globale che compromette il regime regolare delle piogge e l'alternarsi delle stagioni, fondamentali per la sopravvivenza dell'agricoltura. Strozzata contemporaneamente dall'avidità cieca delle multinazionali che dominano l'agrobusiness mondiale che sta riducendo la biodiversità e le possibilità di vita dei contadini del Sud del mondo e il lavoro paziente e pionieristico degli agricoltori biologici.
I mass media ci raccontano un mondo dominato da beni immateriali, tv e Second Life. Giorno dopo giorno viene creato un mondo parallelo che rende difficile la percezione del vero. Nel mondo reale i contadini si ribellano, giovani testardi creano aziende bio,donne vignaiole emergono con passione e saperi millenari si rifiutano di scomparire. Ignorata ma sparsa ovunque sta crescendo una tendenza, materiale e spirituale insieme, che ama la natura, il nostro pianeta e vuole tornare alla terra. Per la nostra salute e quella di Gaia.

Come produrre cibo, rigenerare acqua e suoli, difendere i contadini
«Dialogo su un commercio ecologico e giusto». Un'idea nata nel 2003 al vertice Wto di Cancun, che ha coinvolto reti alternative del Nord e del Sud
Gi.Ci.
Berlino

L'idea è nata a Cancun, nel 2003, primo vertice dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto)centrato sull'agricoltura. In questi anni più di 200 organizzazioni, centri di ricerca, gruppi del Nord e del Sud delmondo hanno dato vita all'EcoFair Trade Dialogue e si sono incontrati per discutere i punti di una politica del commercio agricolo socialmente giusta e ambientalmente sostenibile.Nella fase finale un gruppo di 13 esperti ha elaborato il testo che è stato presentato a Berlino dalla Fondazione Heinriche Boell, da Misereor, grande ong cattolica tedesca, e dal Wuppertal Institute, uno deimaggiori centri tedeschi di ricerca sul clima, l'ambiente e l'energia. I negoziati sul commercio mondiale (Doha Round) sono fermi e l'iniziativa di Berlino è un contributo significativo con nuovi punti di vista.
L'incontro non è stato rituale. Wolfgang Sachs e Tilman Santarius, coordinatori del testo, hanno aperto un incontro dove gli esperti di EcoFair e nomi noti dell'alteromondismo - dalmaleseMartin Khor, direttore di Third World Network, allo statunitense Peter Rosset, del Centro rurale del Chiapas e Via Campesina, al kenyota Oduor Ong'wen -, Greenpeace e rappresentanti delle associazioni degli agricoltori hanno dialogato e polemizzato con esponenti della Banca Mondiale, del Wto, del governo e dei partiti tedeschi, dai Verdi alla Cdu.Un lavoro intenso svolto anche in cinque Forum specifici, confluito in un faccia a faccia finale tra Khor eWill Martin della Banca Mondiale. Un confronto che ha messo in evidenza ilmodo assai diverso di percepire non solo l'agricoltura ma la stessa vita.
Il punto di partenza del rapporto è la disperazione dei contadini poveri, il degrado degli ecosistemi locali e globali, l'esaurimento del petrolio.Le politiche di aggiustamento strutturale decise dal Fondo monetario internazionale e gli accordi sul liberoscambio non solo non aiutanoma simuovono nella direzione sbagliata.Il rapporto propone prospettive e strumenti politici per creare un sistema commerciale che offra opportunità ai poveri, preservi l'ambiente e aiuti l'agricoltura a passare a un sistema energetico solare.
I ricercatori hanno individuato sette principi che hanno alla base una convinzione: gli interessi pubblici devono essere messi prima dei privati e imercati devono essere strutturati dalla politica.Importante il principio che sottolinea come il coltivare sia dentro una rete sociale e naturale; e come lo scopo dell'agricoltura sia rigenerare terreni, acqua e biodiversità oltre che a produrre cibo, combustibile e fibre. Fondamentale la sovranità alimentare, il diritto cioè dei cittadini a scegliere commerci e investimenti che hanno un impatto sulla loro vita quotidiana.
Vengono poi individuati alcuni problemi principali, che nascono in primo luogo dall'idea ristretta che si ha dell'agricoltura - una macchina per fare soldi e produrre crescita - ignorando che essa è parte della biosfera e della vita rurale,uno spazio abitato da milioni di persone che da essa traggono vita, rapporti e cultura. E ancora dal ritenere le piccole imprese agricole familiari un arcaismo destinato ad uscire dalla storia, quando invece sono la chiave di volta della produttività, della sotenibilità ambientale e dell'occupazione. Le soluzioni suggerite indicano regole politiche e controllo delMercato, che esigono uno spazio politico nazionale più ampio. Il Wto duqnue deve cambiare, altrimenti deve essere creata una nuova struttura nell'ambito Onu.
Il rapporto integrale è sul sito: www.ecofair- trade.org. Il testo è appena uscito in inglese per la Zed Books di Londra e verrà pubblicato in italiano dalla Emi, nella collana di CNS Ecologia Politica diretta da Giovanna Ricoveri.