clima e foreste



da La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 3 aprile 2007
 
CLIMA E FORESTE
di giorgio nebbia

Sta per nascere, nell'ambito delle scienze economiche la nuova
disciplina del commercio dei mezzi per evitare i cambiamenti
climatici; normalmente si commercia un prodotto industriale come la
benzina o agricolo come il grano o un servizio come la possibilità di
inviare un messaggio o di viaggiare. La nuova disciplina invece dovrà
occuparsi di come compensare coloro che ci permetteranno di evitare,
in futuro, alluvioni o avanzata dei deserti o siccità. Dei
cambiamenti climatici si è parlato molte volte in queste pagine e
ormai i lettori sanno che sono dovuti all'immissione nell'atmosfera
di certi gas, principalmente l'anidride carbonica proveniente dalla
combustione di petrolio, carbone, gas naturale e derivati come le
materie plastiche o altri prodotti sintetici. Quanto maggiori sono i
consumi di combustibili fossili, tanto maggiore è "il calore" di
origine solare trattenuto nell'atmosfera per l'"effetto serra"
provocato da tali gas, tanto maggiore è l'aumento di temperatura
dell'atmosfera, dei mari, dei continenti, tanto maggiori e più
frequenti sono le anomalie climatiche che si traducono in perdite di
raccolti, in ulteriori consumi di energia per il riscaldamento
invernale o il raffreddamento estivo, in tempeste tropicali,
eccetera. Al punto che i governi della Terra hanno dovuto occuparsene
non per amore della natura o dell'ecologia, ma perché i mutamenti
climatici comportano dei costi; se i campi sono allagati i governi
devono spendere soldi per risarcire gli agricoltori, se occorre
limitare i consumi di benzina o di plastica i fabbricanti di
carburanti o di automobili o i consumatori protestano. Un qualche
freno all'aumento della concentrazione atmosferica dell'anidride
carbonica è necessario e qualcuno ha suggerito di frenare tale
aumento incoraggiando, con opportuni compensi economici,
l'ampliamento della superficie terrestre coperta da foreste.
Qualsiasi vegetale "cresce" portando via dall'atmosfera l'anidride
carbonica che, reagendo, grazie alla luce del Sole, con l'acqua, si
combina in materie solide come amidi, cellulosa, lignine e
innumerevoli altri prodotti presenti nella "biomassa" cioè nelle
foglie, nel tronco degli alberi, nelle radici. Un albero non è altro
che una "fabbrica" di prodotti naturali contenenti carbonio "tolto"
dall'atmosfera; ogni chilo di legno porta via dall'atmosfera un paio
di chili di anidride carbonica; un ettaro di bosco assorbe
dall'atmosfera circa 20 tonnellate di anidride carbonica, proprio
quel gas che esce dai tubi di scappamento delle automobili, dai
camini delle fabbriche e delle centrali termoelettriche, dalle
caldaie domestiche, eccetera. Gli alberi, quindi, depurano
l'atmosfera di quei gas che vi vengono immessi dai consumi umani.

Purtroppo nei paesi poveri tropicali gli abitanti tagliano le foreste
per aumentare la superficie coltivata a prodotti alimentari e
commerciali, oppure per vendere il legno, oppure per estrarre dei
minerali dal sottosuolo delle foreste stesse. Nello stesso tempo, in
tali paesi, ci sono grandi estensioni che potrebbero
essere "coltivate" piantando alberi; tali terre sono lasciate
abbandonate perché le popolazioni locali non hanno nessun interesse
economico a coprirle di foreste che non rendono niente. Ecco allora
l'idea di incoraggiare gli abitanti di molti paesi poveri a non
tagliare le loro foreste, versando un compenso per il mancato
reddito, o di pagare un compenso proporzionale alla superficie che
vorranno coprire di alberi. Gli abitanti dei paesi industriali, forti
inquinatori e responsabili dell'effetto serra, possono così mettere
in pace la propria coscienza e continuare ad inquinare pagando
qualche soldo a qualche paese povero che verrebbe così a partecipare
al benessere e alla felicità globale. Qualcuno ha giustamente scritto
che questa maniera di ragionare è come il commercio delle indulgenze
praticato nel Medioevo. Considerazioni etiche a parte, la procedura
di pagare per conservare o aumentare la superficie dei boschi che
depurano l'atmosfera è ormai in moto, con numerose complicazioni
tecniche ed economiche. Il primo problema riguarda il compenso da
attribuire per ogni ettaro di terreno salvato dal diboscamento o per
ogni nuovo ettaro di bosco piantato e coltivato. Alcuni propongono un
compenso di 20 euro per ogni tonnellata di anidride
carbonica "eliminata" ogni anno, il che potrebbe significare che un
paese, o un villaggio, o un coltivatore, avrebbe una "rendita" annua
che potrebbe arrivare a circa 400 euro per ogni ettaro di bosco nuovo
o salvato. I paesi inquinatori dovrebbero stare bene attenti che i
soldi pagati per i boschi che assicurano il "diritto ad inquinare"
corrispondano effettivamente alla creazione e alla conservazione dei
boschi disinquinanti e che non vengano compiute frodi. Le foreste non
sono macchine industriali che pompano via anidride carbonica
dall'atmosfera e basta; le foreste sono delicati ecosistemi che
sopravvivono, e svolgono la loro funzione disinquinante, e crescono e
durano a lungo con un complesso rapporto con altri vegetali e con gli
animali e con i microrganismi del terreno. Inoltre il legno che
continuamente si forma, a mano a mano che gli alberi crescono, deve
essere utilizzato, per esempio come materiale da costruzione, in
alternativa al cemento e al ferro, o come fonte di energia in
alternativa al gasolio. E qui si tratta di riscoprire le conoscenze
sull'uso commerciale e merceologico del legno, dimenticate col
passare dei decenni, con corsi universitari e strutture informative
ed educative, sia nei paesi industrializzati (che si sono dimenticati
delle virtù del legno e le riscoprono solo ora per poter continuare a
far correre le loro automobili e i condizionatori d'aria e i telefoni
cellulari), sia nei paesi poveri che potrebbero diventare una nuova
frontiera di ricerca scientifica e di innovazione. E ci sarà poi da
chiedersi se non sia più conveniente spendere soldi per
razionalizzare e limitare i consumi dei combustibili fossili, per
inquinare di meno nel momento in cui si producono merci e servizi,
considerando che gli esseri umani stanno giocando una partita fra
consumi, inquinamenti e uso delle risorse naturali e che, con tutta
la nostra scienza, sappiamo ancora molto poco delle regole di tale
gioco planetario.